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Macro

Il modello Uber è il futuro dell'economia?

Secondo un recente studio, grazie alle piattaforme che accorciano la distanza tra produttori e consumatori, in futuro non ci saranno più lavoratori dipendenti. Si chiama "1099 economy" e pare sia il futuro del lavoro.

L'interno di un magazzino di Amazon. Foto

via Flickr

Questo post fa parte di Macro, la nostra serie su economia, lavoro e finanza personale in collaborazione con Hello bank!

In America la chiamano "1099 economy"—l'economia di chi fa piccoli lavori su commissione e li deve notificare all'Internal Revenue Service, l'agenzia delle entrate statunitense, attraverso il cosiddetto "modulo 1099".

Secondo uno studio di Intuit, nel 2010 i lavoratori indipendenti—ossia coloro che usufruiscono del modulo 1099—erano circa il 30 percento del totale. Dunque a quanto pare si tratta di un mercato molto più grande di quanto si pensi, e secondo alcuni è il futuro del lavoro—tant'è che di recente TechCrunch è arrivata ad affermare che "in futuro non esisteranno più lavoratori dipendenti."

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Del resto, non è un mistero che il lavoro stia venendo sempre più delocalizzato: i grandi leader di settore che gestiscono in modo quasi monopolistico una fetta di mercato stanno scomparendo, per lasciare spazio a numerose piattaforme dedicate a decine di settori diversi. Vuoi guidare? Lavora per Uber. Vuoi affittare la tua casa? Vai su Airbnb. Non hai voglia di pulire casa? Handy fa per te. La macchina ce l'hai già ma non se ne parla di parcheggiare? Luxe si occupa anche di questo. Viene gente a cena e tu comunque continui a non saper cucinare? Lascia perdere, c'è Justeat.

Le percentuali del lavoro freelance, via

Quando si parla di 1099 economy, però, non si fa riferimento solamente a realtà settoriali come queste. La distanza tra consumatore e produttore si sta accorciando sempre di più: Amazon, nato come gigantesca libreria online, è ora una delle piattaforme di passaggio obbligate per chiunque voglia vendere libri su internet, che si tratti di una grossa casa editrice o di un privato. Facebook ha aperto un portale, internet.org, che offre a chiunque non possa permettersi una connessione a internet la possibilità di accedere ai "servizi base sul web"—e per essere uno di questi "servizi di base" basta far lavorare la propria azienda per Zuckerberg.

Di recente, un articolo del Guardian ha definito questo nuovo modello di mercato una "economia delle piattaforme" o addirittura un nuovo tipo di "capitalismo delle piattaforme." Per cui forse in futuro non saranno i robot a rubarci il lavoro, ma i computer.

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L'MIT Technology Review definisce una piattaforma di mercato come "uno standard che permette agli altri di connettersi ad esso, munito di un modello di funzionamento che regola chi gestisce che cosa." Secondo Marshall Van Alstyne, professore dell'Università di Boston, le aziende "tradizionali" stanno facendo parecchia fatica ad affrontare questo cambiamento di mentalità. "La maggior parte delle aziende vuole competere in questo mercato aggiungendo nuove caratteristiche ai propri prodotti. Non hanno ancora cominciato a immaginarsi nuove community o reti di persone attorno ai propri prodotti."

Basti pensare agli smartphone: i due padroni del mercato, Apple e Google, non hanno fatto altro che fornire a tutti una piattaforma per l'innovazione pronta per essere utilizzata. Avrebbero potuto investire nella ricerca e nello sviluppo e arrivare a concepire loro stessi dei servizi come WhatsApp, Instagram o Tinder, ma non ne hanno avuto bisogno. È bastato mettere in contatto i consumatori—ovvero chi possiede uno smartphone—e i produttori—ovvero gli sviluppatori di app. Il resto è storia. E sappiamo tutti quanto sia determinante il ruolo di Apple e Google nel mercato mondiale delle applicazioni per smartphone.

Il punto è questo: sempre più servizi che all'inizio sono concepiti come prodotti una volta immessi sul mercato si trasformano in piattaforme per tutta una rete di prodotti che prima consideravano come dei concorrenti.

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Una mappa dei paesi in cui Uber ha problemi legali. Immagine via

Come dimostra il caso di Uber, però, uno dei punti deboli di questo tipo di economia è il suo essere totalmente deregolamentata. Per fare un esempio, al momento Google possiede uno dei più grandi database sul traffico del mondo: non c'è alcun servizio particolare dietro, ma solo un semplice impiego dei dati che l'azienda già possiede. Google calcola l'intensità del traffico in ogni singola area del mondo semplicemente utilizzando i GPS presenti su qualunque telefono Android, o grazie alle informazioni che immagazzina attraverso le proprie applicazioni su telefoni non-Android. Come ci si dovrebbe comportare in questo caso? Questi dati dovrebbero essere a disposizione di tutti? Google dovrebbe diventare la base su cui costruire qualunque tipo di servizio basato sulle informazioni sul traffico?

Il capitalismo delle piattaforme è pervasivo, e controlla la merce di scambio più ambita in questi anni: le persone. Quando nel dicembre dello scorso anno un autista Uber è stato accusato di aver stuprato una sua cliente a Nuova Delhi, il servizio è stato bandito nella capitale indiana e il governo ha minacciato di allargare l'ordinanza in tutta la nazione. Uber ha risposto mettendosi al servizio di tutti coloro che usavano la sua piattaforma e ha lanciato un nuovo dipartimento, uberAUTO, che mette in contatto gli utenti della app con gli autisti degli auto risciò della città.

Questo significa che l'economia delle piattaforme non vuole collegare i potenziali utilizzatori di un servizio con chi lo potrebbe fornire, ma solo fornire un accesso ai lavoratori indipendenti a chi ne ha bisogno. Nel caso di Uber, il target non è chi vuole una berlina nera con autista e vetri semioscurati, ma piuttosto chi ha bisogno di spostarsi—e io lo userei in ogni caso, che si tratti di berlina nera, risciò, Fiat Duna, scooter o bicicletta, a patto che mi porti da un punto A a un punto B in un tempo ragionevole.

In modo simile, Amazon si è imposta come leader nel settore degli acquisti online non grazie ai prodotti in vendita, ma grazie alla semplicità del servizio. Amazon non ha creato una vetrina per persone che volevano determinati prodotti, ma ha semplicemente messo in contatto normali clienti con normali venditori, eliminando la parte "scomoda," ovvero quella che prevede di recarsi fisicamente in un negozio e acquistare qualcosa.

Oggi sembra voler subappaltare anche questa scomoda faccenda dello stoccaggio e dell'invio del materiale, e sta progettando una app per permettere a tutti di diventare postini. Si chiama economia delle piattaforme, e sembra che per ora stia facendo contenti tutti, tranne quelli che non la vogliono adottare.

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