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Come la Grecia è arrivata a questo punto, e cosa cambierà adesso

Con una decisione sorprendente, il governo greco ha indetto un referendum sulla prosecuzione delle negoziazioni tra Atene e i suoi creditori internazionali. Ecco perché i giorni a venire saranno decisivi per il futuro dell'Europa.

Alexis Tsipras subito dopo l'annuncio del referendum. Foto di Panagiotis Maidis,

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Questo post fa parte di Macro, la nostra serie su economia, lavoro e finanza personale in collaborazione con Hello bank!

Con una decisione che ha sorpreso l'Europa, il governo greco guidato da Alexis Tsipras ha indetto un referendum sulla prosecuzione delle negoziazioni tra Atene e i suoi creditori internazionali, imponendo la chiusura delle banche, il blocco del denaro in uscita verso l'estero e la sospensione delle contrattazioni alla borsa di Atene. Mentre i greci si accalcano ai bancomat per ritirare i loro ultimi risparmi, sono in molti a temere che lo scenario futuro per la Grecia e per l'Europa sia destinato a farsi sempre più catastrofico. Ecco cinque punti fondamentali per arrivare preparati alla settimana che definirà il futuro del continente.

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Un governo senza soldi che combatte l'austerità

Festeggiamenti per la vittoria di SYRIZA alle ultime elezioni. Foto di Dimitris Michalakis.

Lo scorso 29 gennaio—al culmine di una crisi che ha condotto la Grecia a perdere metà del suo prodotto interno lordo e che ha fatto salire la disoccupazione al 25 percento (e quella giovanile al 50 percento)—i cittadini greci hanno scelto Alexis Tsipras, leader del partito della sinistra radicale SYRIZA, come nuovo primo ministro.

Il programma di Tsipras era chiaro: rompere le "gabbie dell'austerità" e interrompere immediatamente i programmi di tagli che la Troika dei creditori—composta da Fondo Monetario Internazionale, Commissione Europea e Banca Centrale Europea—aveva imposto ai governi precedenti. Queste politiche erano state richieste in cambio di prestiti per circa 250 miliardi di euro, il cui obiettivo era permettere al governo di pagare i propri debiti evitando che altri stati dell'area Euro fossero contagiati.

Nel bilancio del governo greco, infatti, non c'è sufficiente denaro per pagare sia gli interessi sui propri debiti che le pensioni e gli stipendi dei propri cittadini. Con numerose scadenze in arrivo—la prima è una rata da 1,5 miliardi a favore del FMI, ma da qui ad agosto Atene dovrà pagare in totale circa 17 miliardi—questo dilemma si è fatto subito insostenibile per il nuovo governo.

Come e perché sono saltate le trattative

Il Ministro delle Finanze greco Varoufakis. Foto

via Flickr

Per risolvere questa situazione, il governo di Tsipras ha chiesto alla Troika di rinegoziare l'ultima tranche (pari a 7,2 miliardi di euro) di un programma di aiuti iniziato nel 2012, che ha portato alla Grecia prestiti per un totale di 130 miliardi di euro––il 90 percento dei quali sono tornati ai creditori sotto forma di pagamento degli interessi sul debito. Quei soldi sono fondamentali per il governo di Atene: se non arrivassero, il governo greco non sarebbe in grado di pagare la rata dovuta domani—il 30 giugno—al Fondo Monetario Internazionale, entrando in una situazione dai contorni preoccupanti per la stabilità delle finanze e delle banche del Paese.

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Le negoziazioni si sono protratte per sei mesi, e lo scorso fine settimana è sembrato che le due parti fossero piuttosto vicine: meno di 2 miliardi di euro dividevano le due proposte. Ma le trattative sono saltate quando, tra giovedì e venerdì, i creditori si sono rifiutati di considerare ulteriori controproposte greche, convinti di aver concesso già troppo a uno stato sull'orlo del fallimento. Così Tsipras ha deciso di abbandonare il tavolo delle trattative ed è tornato in fretta ad Atene per indire una consultazione popolare, lasciando la parola al popolo greco: siete favorevoli o contrari alle proposte dei creditori?

"Abbiamo ricevuto il 36 percento dei voti", ha scritto su Twitter il ministro delle finanze greco Varoufakis per spiegare la decisione, "ma per una decisione di questo genere abbiamo ritenuto di aver bisogno del 50 percento + 1. Qualche obiezione?"

— Yanis Varoufakis (@yanisvaroufakis)26 Giugno 2015

A prescindere dal risultato del referendum, la Grecia può uscire dall'euro

In caso vinca il sì, Tsipras si è detto pronto a tornare a Bruxelles per portare a termine gli accordi—ma, a quel punto, difficilmente avrebbe la credibilità per farlo. Questo significa che ci sono tre possibilità: la prima è che Tsipras non si dimetta, vada in Europa ad accettare tutte le condizioni dei creditori e torni in patria sconfitto; la seconda è che Tsipras venga sfiduciato dal Parlamento greco e si formi immediatamente un nuovo governo con un'altra maggioranza; la terza è che Tsipra si dimetta, costringendo il paese a nuove elezioni mentre si accumulano le scadenze fiscali e incombe il rischio del fallimento—tutto questo in una situazione di incertezza che non farà che accelerare la possibilità di un default.

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Se invece vincesse il no, "l'intero pianeta interpreterebbe questa scelta come una presa di distanza della Grecia dall'Europa," ha dichiarato il presidente della Commissione Europea Juncker. E in effetti se dovesse vincere il no, Tsipras avrebbe un mandato popolare molto chiaro contro le proposte della Troika, e sarebbe molto difficile per i creditori opporsi alla volontà del popolo greco.

Questo, però, diminuirebbe drasticamente le possibilità di raggiungere un accordo tra le parti ed esporrebbe comunque la Grecia al fallimento e al collasso del sistema bancario, lasciando al governo una sola possibilità: uscire dall'euro e nazionalizzare buona parte delle banche. I primi sondaggi dicono che il 47-57 percento dei greci sarebbe favorevole all'accordo con i creditori, contro un 29-33 percento di contrari. Ma a dominare sono in realtà gli indecisi e la sensazione è che la settimana a venire sarà determinante nell'orientare l'opinione pubblica greca su quello che sta succedendo.

Chiudere le banche era l'unico modo per arrivare al 5 luglio

Code ai bancomat ad Atene dopo l'annuncio della sospensione delle trattative. Foto di Panagiotis Maidis,

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Quando ha annunciato il referendum, il governo greco ha anche indetto la chiusura delle banche, il blocco del denaro in uscita verso l'estero (il cosiddetto "controllo dei capitali") e la sospensione delle contrattazioni alla borsa di Atene.

La verità è che non c'erano alternative: subito dopo l'annuncio dell'interruzione delle trattative, i cittadini greci si sono riversati ai bancomat—anche questi chiusi e riaperti solo oggi pomeriggio con un limite ai prelievi fissato a 60 euro al giorno—per tentare di ritirare più denaro possibile. Una vera e propria "corsa agli sportelli" che, nel giro di 24 ore, ha fatto sì che dalle banche greche venisse ritirato oltre un miliardo di euro, l'uno percento dei depositi totali e 30 volte più della media rispetto ai fine settimana precedenti.

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La ragione di questo è molto semplice: se la Grecia dovesse uscire dall'euro sarebbe costretta a dichiarare bancarotta su una serie di debiti pre-esistenti e a stampare nuova moneta con cui effettuare vari pagamenti. Il che porterebbe a una svalutazione immediata della nuova moneta, così che chiunque non abbia trasferito all'estero il proprio denaro vedrebbe i propri risparmi perdere buona parte del loro valore. A quel punto, invece, chi avrà ritirato i propri risparmi potrebbe convertire gli euro in nuove dracme ottenendo guadagni proporzionali alla svalutazione della nuova moneta.

Ma questo è un problema per la tenuta del sistema bancario nel suo complesso che, per accontentare tutti i richiedenti denaro, potrebbe finire il denaro in cassa ed essere costretto a interrompere i pagamenti, innescando una serie di fallimenti a catena che porterebbero velocemente al collasso del paese. E dato che anche gli investitori stranieri vorranno fare la stessa cosa, è stata chiusa anche la borsa—anche se quelle aperte hanno comunque mandato segnali non incoraggianti e numerosi titoli della periferia europea, come quelli delle banche spagnole e italiane, hanno mostrato segni di possibile contagio. Al momento non è chiaro per quanto tempo le banche rimarranno chiuse, e non è da escludere che anche dopo il referendum il rischio non sia ancora abbastanza contenuto da permetterne la riapertura.

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Adesso la palla è nel campo della Banca Centrale Europea

Una riunione del consiglio direttivo della Banca Centrale Europea. Foto

via Flickr

A questo punto, è chiaro che uno dei principali protagonisti di tutta questa vicenda si chiama Mario Draghi. Nel 2012 aveva promesso di "fare tutto quello che serve per preservare l'euro" e nelle prossime settimane queste parole saranno messere a dura prova.

Dopo la notizia del referendum, la prima decisione presa dalla BCE è stata quella di non sospendere—ma nemmeno aumentare—l'ELA, ossia il canale finanziario a disposizione delle banche dei paesi membri, da cui queste possono attingere per avere liquidità sufficiente e rispondere alle esigenze dei propri clienti anche durante una crisi di liquidità. Secondo l'economista Charles Wyplosz, poiché a causa della corsa agli sportelli la domanda di liquidità è aumentata in modo significativo, la decisione della BCE di non aumentare il denaro a disposizione delle banche greche va vista come una limitazione dei fondi disponibili e ha di fatto messo in moto un processo che si concluderà con l'uscita della Grecia dall'euro.

D'altro canto, il margine di manovra di Draghi è limitato dall'opposizione della Bundesbank, la banca centrale tedesca, che critica fortemente l'estensione della liquidità alle banche greche—che utilizzano almeno 8-9 miliardi degli 89 messi a disposizione per finanziare il governo comprando titoli di stato greci.

La decisione è valida fino a mercoledì, quando la Banca Centrale Europea—alla luce del probabile mancato pagamento della rata del debito con il FMI—dovrà decidere se continuare a tenere aperti i rubinetti, restringerne la portata o chiuderli definitivamente, causando anche in questo caso il collasso del sistema bancario greco.

Per la BCE sarà molto difficile continuare a finanziare le banche greche se il programma di salvataggio sarà dichiarato ufficialmente sospeso, ma nonostante questo l'istituto guidato da Draghi ha dichiarato di voler mantenere la stabilità dell'area euro con ogni mezzo a sua disposizione. Si tratta tuttavia di acque inesplorate: le prossime settimane saranno decisive per determinare la portata dei cambiamenti in atto e il futuro del continente europeo. Solo una ritrovata volontà e unità politica potranno dare le risposte che tecnici e burocrati non sono stati fino a oggi in grado di offrire.

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