FYI.

This story is over 5 years old.

Macro

No, le macchine non ci ruberanno il lavoro

Ogni volta che si parla di robotica, sorge sempre l'immancabile domanda: tutto bene, ma quindi in futuro i robot ci ruberanno il lavoro? Ecco, tanto per cominciare, la risposta è no.

Asimo, il più avanzato robot bipede al mondo. Foto

via Wikimedia Commons

Questo post fa parte di Macro, la nostra serie su economia, lavoro e finanza personale in collaborazione con Hello bank!

Ogni volta che si parla di robotica, sorge sempre l'immancabile domanda: tutto bene, ma quindi in futuro i robot ci ruberanno il lavoro? Ecco, tanto per cominciare, la risposta è no. Non è successo in passato, non sta succedendo ora e non succederà nemmeno in futuro. A rubarci il lavoro sono se mai i computer, ma è già troppo tardi per tornare indietro e quindi tanto vale mettersi l'anima in pace e passare alle buone notizie.

Pubblicità

La buona notizia è che sta succedendo l'opposto: i robot stanno creando lavoro. Secondo una ricerca del dipartimento economico di Deloitte—una delle più grandi aziende di consulenza del mondo—è vero che l'avvento della tecnologia ha, in certi casi, eliminato la necessità di disporre di mano d'opera umana, ma è anche vero che al tempo stesso ha incrementato il potere d'acquisto della restante forza lavoro. Insomma: le macchine ci hanno rubato il lavoro, ma l'aumento del benessere che hanno provocato ha permesso la creazione di altri posti di lavoro.

La ricerca, selezionata per il Rybczynski Prize, esordisce spiegando come nonostante nel corso della storia l'avvento della tecnologia sia stato visto in maniera tutto sommato positiva, "di tanto in tanto questa tendenza sia stata invertita da momenti di decisa paura nei confronti degli effetti negativi, in termini di disponibilità lavorativa, della tecnologia. Dai Luddisti del diciottesimo secolo fino ai movimenti anti-tecnologici odierni, il tema della paura nei confronti delle macchine continua ad essere attuale."

Certo, queste paure non sono esattamente prive di fondamento: il ritmo con il quale la tecnologia sta progredendo è tanto stupefacente quanto inaspettato. Solo pochi mesi fa proprio nella Silicon Valley, la culla dell'innovazione tecnologica mondiale, si è festeggiato il cinquantesimo anniversario di una delle leggi più importanti dell'informatica: la prima legge di Moore. Nel 1965, Gordon Moore—uno dei fondatori di Intel—aveva profetizzato che "le prestazioni dei processori, e il numero di transistor ad esso relativo, raddoppiano ogni 18 mesi." La sorpresa è che dopo ben 50 anni—che nel mondo della tecnologia odierna equivalgono letteralmente a un'eternità—e nonostante qualche saltuario acciacco, la legge ha continuato a rivelarsi vera. Per capirci: la potenza di calcolo bruta dei computer è aumentata esponenzialmente ogni 18 mesi dal 1965 ad oggi, il che significa che una CPU attuale è capace di fare davvero tante, tante operazioni tutte assieme.

Pubblicità

Negli ultimi 50 anni la legge di Moore ha continuato a risultare vera. Il che è piuttosto incredibile se pensiamo che si tratta di una crescita esponenziale della potenza procedurale delle macchine.

Si tratta però di mera capacità procedurale: ciò che ci distingue dalle macchine è il fatto che noi essere umani siamo dotati di un cervello, una coscienza e un pizzico di buon senso per poter effettuare quel tipo di operazioni che una macchina non è pensata per eseguire.

Ed ecco un altro motivo per preoccuparsi: se prima annoveravamo la creatività tra le caratteristiche che ci distinguono dalle macchine, adesso dei ricercatori dell'università di Tubinga infatti hanno insegnato a delle "reti neurali profonde"—una branca di ricerca relativa agli studi sull'apprendimento delle macchine che sfrutta complicati algoritmi per generare strutture di "reti pensanti" particolarmente complesse—a trasformare normali immagini in veri e propri quadri, stilizzati a partire da un'opera di input di un'artista da antologia a scelta.

Le reti neurali profonde sono capaci di riprodurre un'immagine secondo lo stile e la tecnica di un determinato artista elaborando anche solamente un'opera di quel dato artista.

Ma benché le premesse non siano delle migliori, la ricerca di Deloitte assicura che possiamo dormire sonni tranquilli. L'indagine, effettuata su dati provenienti dal Regno Unito, dimostra però prima di tutto la pervasività della tecnologia—ovvero il fatto che la meccanizzazione ha effettivamente diminuito i posti di lavoro disponibili.

Per i ricercatori il primo settore a subirne storicamente le conseguenze è stato quello dell'agricoltura: nel 1871 il 6,6 percento della forza lavoro in Inghilterra e Galles era destinato all'agricoltura; oggi staziona quota 0,2 percento. In termini di numeri, il ventesimo secolo ha eliminato il 95 percento dei posti di lavoro richiesti dall'agricoltura. Lo studio parla anche di un altro settore, ormai così meccanizzato da risultare quasi anomalo: quello del lavaggio dei vestiti. Nel 1901 gli impiegati del settore in Inghilterra e Galles erano 200.000; nel 2011, mentre la popolazione delle due regioni è quasi raddoppiata, gli addetti ai lavaggi si sono ridotti a 35.000. Sono arrivate le lavatrici.

Pubblicità

Un altro settore demolito dall'avvento delle nuove tecnologie è quello dei telefonisti. A partire dagli anni Venti, in appena 30 anni le centraline telefoniche e i centri telegrafici hanno dato lavoro a quasi 120.000 persone. Dagli anni Settanta, il settore si è volatilizzato altrettanto velocemente, reso obsoleto dai ripetitori e dalle reti telefoniche satellitari.

Quindi dov'è che la tecnologia ha generato posti di lavoro? "Il progresso tecnologico ha permesso ai consumatori di soddisfare i bisogni primari a un costo minore, permettendogli quindi di spendere di più nei bisogni secondari e ricreativi. Alcuni di questi settori sono in crescita, come quello delle comunicazioni e quello dell'intrattenimento; più aumenta il potere d'acquisto, maggiori sono i servizi che una volta erano esclusivi delle fasce sociali più elevati a divenire disponibili per tutti," spiegano i ricercatori. Per esempio, nel 1951 nei bar e nei caffè lavoravano circa 40.000 persone, mentre oggi sono circa 180.000—più del quadruplo. Ancora, sempre nel 1951 si contavano poco meno di 100.000 parrucchieri; con l'aumento del potere d'acquisto, nel 2011 quello stesso settore impiegava sostanzialmente il doppio delle persone. "Nel 1871, nel Regno Unito e in Galles c'era un barbiere/parrucchiere ogni 1793 abitanti; oggi è uno ogni 287."

"[Con il progredire delle tecnologie] è aumentata la domanda per servizi specializzati in settori come la sanità, l'economia e i servizi professionali dal marketing, al design fino all'istruzione," continua la ricerca. Per esempio, un settore che in appena dieci anni (a partire dal 2000) ha visto un'impennata nei lavoratori impiegati è quello della contabilità: se a inizio millennio i contabili erano poco più di 100.000, oggi il numero è abbondantemente raddoppiato.

Benché i dati siano relativi alla regione inglese, il discorso può essere tranquillamente generalizzato a tutto l'Occidente. "La tecnologia ha trasformato il concetto di produttività e gli standard di vita, e facendo ciò, ha creato posti di lavori in nuovi settori. Le macchine continueranno a far abbassare i prezzi, democratizzando ciò che una volta era esclusiva delle classi più abbienti e permettendo un afflusso maggiore di denaro, il che ha permesso di aumentare le spese secondarie in settori nuovi e in settori già esistenti. Le macchine si occuperanno dei compiti più ripetitivi e faticosi, ma nonostante ciò negli ultimi 150 anni non sembrano aver mai neanche lontanamente preso completamente il posto degli esseri umani. Non è difficile pensare ad altri settori che hanno indubbiamente bisogno di una nuova iniezione di personale: la cura degli anziani e degli infermi, l'istruzione oltre l'università e l'insegnamento professionale, la sanità e il benessere fisico e mentale," conclude la ricerca.

Dunque non c'è davvero nulla di cui preoccuparsi—o meglio, possiamo preoccuparci di altre cose, visto che i robot non solo stanno creando nuovi posti di lavoro, ma nel frattempo ci stanno sostituendo in quelli più faticosi. I baristi non spariranno mai, ma un domani la tecnologia dietro al bancone potrebbe essere così avanzata che il personale non dovrà fare altro che preoccuparsi di fornire il servizio migliore possibile ai clienti, senza pensare a questioni noiose come i piatti da lavare, i pavimenti da pulire o la spazzatura da buttare.

Segui Federico su Twitter