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"Non siamo razzisti, solo leghisti"

Mentre la situazione nei dintorni di Lampedusa peggiora e il dibattito sulla legislazione italiana in materia d’immigrazione è bloccato da contraddizioni interne al Governo, il 12 ottobre 2013 la Lega Nord ha deciso di ritrovarsi a Torino per...
Leonardo Bianchi
Rome, IT

Foto di Marco Valli/Cesura.

Mentre la situazione nei dintorni di Lampedusa si fa sempre più drammatica e il dibattito sulla legislazione italiana in materia d’immigrazione è sostanzialmente bloccato, il 12 ottobre 2013 la Lega Nord ha deciso di sfilare per le strade di Torino per manifestare contro l’immigrazione clandestina.

La chiamata alle armi l’aveva fatta Matteo Salvini con un video caricato il 10 ottobre sul suo canale YouTube: “Non c’è più spazio per nuova immigrazione in Italia, e anzi l’immigrazione clandestina […] va combattuta, va affrontata e le espulsioni vanno rese più rapide.” La scelta è caduta su Torino perché si tratta di una città che “in troppi quartieri è in mano ad altri, a gente che non è qua per integrarsi ma è qua per impossessarsi, per occupare, per violentare, per scippare, per decidere come noi dobbiamo vivere a casa nostra.”

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Salvini è lo stesso che l'11 ottobre, alla notizia del naufragio di un barcone a 60 miglia dalle Isole Pelagie (con 34 morti accertati finora), aveva subito individuato i colpevoli e commentato così su Facebook: "Canale di Sicilia, si rovescia una barcone con 250 persone a bordo, avvistati CADAVERI IN MARE. Le coscienze sporche dei BUONISTI, dei solidali e degli accoglienti, sono sempre più SPORCHE. Assassini!"

Viste le premesse e il tono della manifestazione, centri sociali, società civile e diversi movimenti/associazioni hanno organizzato una serie di contromanifestazioni in più punti di Torino. L’obiettivo comune è quello di protestare contro il raggruppamento leghista che rischia di “creare un’immagine che non esiste, quella di una città razzista e xenofoba.” Per scongiurare problemi di ordine pubblico la polizia ha praticamente blindato il centro della città, allestendo una sorta di zona rossa con tanto di camionette blindate e grate di ferro. Sono stati persino lucchettati tutti i bidoni dell’immondizia lungo il percorso del corteo leghista.

Quest’ultimo parte verso le 16.30 nei pressi della stazione di Porta Nuova e attraversa la parte di via Roma che arriva in piazza San Carlo, dove si trova il palco da cui parleranno i vertici del partito. Pur essendo una manifestazione “federale”, i numeri sono tutt’altro che impressionanti: le camicie verdi non sono più di 1.500-2.000, e l’età media è parecchio alta.

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Un cartellone spiega i motivi della manifestazione: “Perché siamo qui? Perché ci vergogniamo di essere italiani / Perché abbiamo meno diritti dei clandestini / Perché la legge è più severa con noi / Perché a casa nostra non ci sentiamo sicuri / SVEGLIAMOCI.” Le parole d’ordine sono più o meno le solite: i leghisti temono l’invasione, odiano Kyenge/Boldrini/Pd/grillini e vogliono che tutti tornino a casa loro.

Un messaggio chiaro e forte :-) #LegaTorino2013 pic.twitter.com/jBwxPKL2g3

— Serena Masetto (@SereMasetto) October 12, 2013

L’eurodeputato Mario Borghezio è in prima linea a reggere uno striscione, ed è carichissimo. Di fronte alle telecamere spiega che in Europa “chi parla chiaro d’immigrazione prende il 25 percento, come la Le Pen in Francia, come i nostri amici in Austria. Noi non dobbiamo essere gli sfigati del 4-5 percento.” Secondo Borghezio, la via maestra per aumentare i consensi è solo una: “Bisogna parlare chiaro sull’immigrazione: clandestini, fuori dai coglioni! Né razzismo né xenofobia, però parole chiare.”

In piazza Cln, poco prima di piazza San Carlo, avviene il primo contatto tra un gruppo di cittadini e i leghisti. Una signora, che regge in mano un cartello “Italiani popolo di immigrati”, urla con gran foga: “Leghisti, vergognatevi!” Per tutta risposta, questi fanno gestacci e, per un motivo che mi sfugge, scaricano insulti sulla Presidente della Camera: “Boldrini, Boldrini, vaffanculo!” Nella piazza principale, poco prima che Calderoli (in giubbino verde attillato) faccia partire il comizio, una donna in pseudo-burka cammina tra i militanti leghisti, fa scoppiare un palloncino che tiene in mano e scappa in chiesa per togliersi i vestiti, accompagnata dallo stupore e dagli improperi delle camicie verdi.

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Nel frattempo, il corteo in piazza Castello—composto dai centri sociali Askatasuna e Gabrio, anarchici, Sinistra Proletaria, Cub e antirazzisti vari—comincia a muoversi per arrivare in piazza San Carlo.

La polizia in assetto antisommossa non è però troppo d’accordo, e sbarra la strada con decisione.

Il primo tentativo di sfondare il cordone delle forze dell’ordine avviene in via San Tommaso. La polizia risponde con una carica d’alleggerimento.

Il corteo prosegue fino a piazza Solferino. Gli antirazzisti corrono cercando di sfondare nella laterale via Arcivescovado. La polizia, impreparata e colta di sorpresa, disperde il corteo lanciando un paio di lacrimogeni (non ad altezza uomo). Il gas, come mi dice un mediattivista torinese presente in piazza, è “molto intenso”: “rimaneva nell’aria e ti bruciavano gli occhi anche con fumo completamente disperso.”

In piazza San Carlo, intanto, Roberto Calderoli ringhia dal palco che la responsabilità degli sbarchi delle ultime settimane è “di chi alimenta l’illusione che si può venire e che ci sarà il bengodi per tutti.” Poi si rivolge a chiunque voglia modificare la legge sull’immigrazione: “Chi tocca la Bossi-Fini muore.” Dopo di lui parla Giancarlo Giorgetti, capogruppo della Lega Nord alla Camera. “Ci vuole il coraggio e la pazzia della Lega per portare in piazza quello che pensa la gente comune!”, esordisce Giorgetti. Poi lamenta la mancanza di regole che alimenta la piaga dell’immigrazione clandestina: “Tutti fanno quel cazzo che vogliono e la gente arriva soprattutto perché qui si consente di fare quello che altrove è proibito.” Il breve comizio di Giorgetti finisce scandito dagli applausi: “Solo grazie alla Lega la gente silenziosa può far sentire la propria voce!”

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Verso le cinque e mezza è il turno di Matteo Salvini, che è davvero in palla. Come prima cosa, Salvini saluta i partecipanti alle contromanifestazioni: “Ringrazio i democratici, pacifisti e non violenti che hanno provato ad aggredire il corteo: sono la prova che il cervello umano in certi casi si sviluppa e in altri no.” Segue l’immancabile attacco all’Europa dei burocrati: “Barroso, Van Rompuy, Malmström, Schulz: questa Europa è una schifezza, e prima ribaltiamo questa Europa meglio è per noi e gli africani che sono sfruttati.”

Salvini prosegue facendo un esplicito riferimento al ministro Kyenge: “In Congo ci sono i genitori 1 e 31; in Padania ci sono mamma e papà. Se vi va bene è così altrimenti tornate con la barchetta nel vostro Paese, anche se siete ministri.” L’eurodeputato denuncia poi “il razzismo delle parole,” che ovviamente non è il suo ma quello degli altri: “Nessun telegiornale parla più di clandestini, sono 'migranti', profughi, fratelli, sorelle.” Breve pausa scenica: “Non sono migranti: sono clandestini. Punto.”

Da leghista, inoltre, Salvini si è “rotto le palle” di sentirsi “il cattivo della situazione.” I valori in cui crede il suo partito, infatti, sono tutti positivi e innocui: “La Lega crede nelle diversità, vuole serenità, è il partito dell’amore nel senso che noi chiediamo solo di poter stare tranquilli a casa nostra a prescindere dal coloro della pelle.” Secondo Salvini i “cattivi” sono altri, e si trovano molto più in alto di lui: “I veri cattivi, quelli senza vergogna, coscienza e scrupoli, quelli che speculano sulle tragedie sono le Boldrini, le Kyenge, i grillini, i Presidenti della Repubblica non miei ma di qualcun altro.” L’applauditissimo intervento finisce così: “Oggi a Torino c’è brava gente, c’è gente perbene!”

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La cosa ironica è che esattamente dietro Salvini c’è Mario Borghezio, l’esponente più estremista della Lega che nel 2005 è stato condannato in via definitiva a due mesi e 20 giorni di reclusione per incendio doloso. I fatti risalgono al 1 luglio del 2000, proprio a Torino. Stando alle cronache dell’epoca, quella sera una settantina di leghisti, armati di fiaccole e guidati da Borghezio, stava manifestando contro gli spacciatori extracomunitari. Un gruppetto si staccò dalla massa per scendere sotto un ponte e prendersi cura di alcune baracche di immigrati: “Un immigrato che si trovava sul Lungodora disse di aver notato un militante scagliare una torcia accesa sulle masserizie della baracca in cui abitava un compagno.”

Dopo l’intervento di Salvini tocca al governatore della Lombardia, Roberto Maroni. Anche lui inizia subito con una decisa sferzata d’amore: “La macroregione del Nord dice NO ai clandestini. Lo sappia il Governo.” Maroni, che invita Alfano a telefonargli per avere indicazioni su come fermare gli sbarchi, conclude con una specie di giuramento di fedeltà eterna: “Sono orgoglioso di essere leghista e a chi mi dice sei un razzista, io rispondo: sei un coglione. Questa è la risposta, testa alta di fronte a queste coglionate. Orgoglio di essere leghisti!”

Il corteo antirazzista, bloccato più volte dalla polizia, arriva fino in via Madama Cristina. Qui la testa del corteo vede la via sguarnita e prova a forzare. Le forze dell’ordine arrivano da una via laterale, e gli scontri proseguono.

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In via Madama Cristina vengono sparati altri lacrimogeni e volano manganellate. Gli attivisti rispondono lanciando petardi e improvvisando una barricata con i cassonetti dell’immondizia. Alla fine della giornata saranno quattro le persone fermate dagli agenti.

Anche la manifestazione leghista sta per volgere al termine. L’onore di chiudere il comizio spetta a Umberto Bossi, che rivendica la bontà della legge che porta il suo nome e quello di Fini: “Io ho la coscienza a posto, la legge è fatta con equilibrio e serietà.” Nel caso in cui venisse cambiata, Bossi avverte che “un miliardo di cittadini” dall’Africa sarebbero pronti a sbarcare sulle nostre coste. Dopo un breve comizio, il Senatur grida “Padania libera!” e i militanti rispondono in coro “Secessione! Secessione!” Un Borghezio oltremodo esaltato accompagna la folla dal palco facendo il gesto della vittoria.

Finalmente è finita. I leghisti sciamano verso i pullman guardati a vista dai poliziotti, e sembrano genuinamente soddisfatti per la “riuscita” della manifestazione, nonostante piazza San Carlo fosse abbastanza desolata e riempita solo per metà.

La desolazione respirata in piazza, del resto, rispecchia molto bene quella della Lega Nord in questo momento. Sebbene nell’ultima settimana il Carroccio abbia guadagnato un punto percentuale nei sondaggi—passando dal 4.5 al 5.5 percento—il partito appare sempre più vecchio, spompato, insicuro, e senza idee.

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Il Governo Letta intanto ha varato l’operazione “Mare sicuro”, che consiste in un piano di pattugliamento militare del Mediteraneo. I dettagli del piano li riporta il Corriere della Sera: “Sei mezzi navali, almeno quattro elicotteri e altrettanti aerei dovranno vigilare notte e giorno la ‘rotta’ dei profughi per poter intervenire subito nel soccorso delle imbarcazioni in difficoltà e così cercare di evitare altre tragedie.”

Si tratta però di una misura temporanea. L’impressione generale, infatti, è quella di un esecutivo politicamente incapace di affrontare il problema in materia organica. Il dibattito sulla legislazione italiana, interamente plasmata dalla Lega Nord negli ultimi dieci anni, si è intanto avvitato sulle contraddizioni interne del governo delle larghe intese: Alfano e il Pdl non vogliono assolutamente toccare la Bossi-Fini; Enrico Letta, invece, si è detto disponibile a modificarla.

Non sorprende, dunque, che in un marasma del genere i messaggi più semplici e aggressivi siano quelli destinati a far breccia in un’opinione pubblica spaventata e impaurita, che, come ha sottolineato il giornalista francese Bernard Guetta, ritiene l’Unione Europea responsabile delle tragedie del mare, ma allo stesso non vuole concederle più potere, la critica continuamente e ribadisce con forza che all’interno della Fortezza Europa non c’è più spazio per altre persone.

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