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Qualcuno ama ancora i due marò

A quasi due anni dallo scoppio del caso marò, la vicenda—tuttora poco chiara—è diventata una specie di crociata per salvare l'Onore Della Patria. Siamo stati all'ultima marcia di solidarietà organizzata a Roma.
Leonardo Bianchi
Rome, IT

Sono passati quasi due anni dal 15 febbraio del 2012, quando al largo delle coste dell'India meridionale Ajesh Binki e Valentine Jelastine, due pescatori indiani erroneamente scambiati per pirati, vengono uccisi dai proiettili partiti dalla petroliera Enrica Lexie e presumibilmente sparati dai militari italiani a bordo della nave.

Da allora la vicenda dei "due marò"—Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, ancora in India in attesa del processo—ha imboccato una strada divergente dalla realtà fattuale ed è diventata una crociata per salvare l'Onore Della Patria™, minacciato sia dall'inettitudine dei nostri politici che dalle perfide trame degli indiani.

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Il 23 novembre 2013 le famiglie di Girone e Latorre hanno convocato a Roma una "marcia di solidarietà" per "richiamare l'attenzione sulla triste vicenda" di due uomini "ingiustamente trattenuti in India" e "dimostrare quanto alto sia l'interesse e l'amore degli italiani tutti nei confronti di questa enorme ingiustizia." Come specifica l'apposita pagina Facebook, l'evento si ripromette di avere "connotazioni assolutamente pacifiche, apolitiche ed apartitiche."

Arrivo in piazza Bocca della Verità verso le 15. Il corteo è già riunito, inquadrato e pronto a partire. È un tripudio di fiocchi gialli, labari, stendardi, insegne, cartelloni, striscioni, rulli di tamburi, trombe, fanfare e motivetti militari.

I cartelloni delle varie associazioni spiccano sia per la perentorietà dei loro messaggi,

che, indubbiamente, per la sopraffina composizione grafica.

Il grosso del corteo è formato dalle associazioni di militari ed ex militari, compresi molti alpini. La testa è "guidata" dai membri del Gruppo Nazionale Leone di San Marco, che gridano a intervalli regolari il motto del Reggimento San Marco: "per terra, per mare, San Marco!"

Nemmeno la pioggia scrosciante e il freddo pungente riescono a piegare la forza d'animo di chi è accorso per riportare a casa "i nostri leoni."

Sul serio, pensate che qualche goccia di pioggia possa fermare persone del genere?

I manifestanti si incolonnano seguendo il ritmo dei tamburi e scandendo incessantemente "Marò liberi!" I patrioti sfidano a petto in fuori le avversità meteorologiche e riscaldano l'atmosfera con il sacro fuoco statolatra, mostrando grinta e determinazione.

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All'altezza del Teatro Marcello un gruppo di giovani percorre la via nel senso opposto di quello dei manifestanti, urla fragorosamente "Io sto con i marò," sventola i tricolori e raggiunge la coda del corteo. Non c'è alcun simbolo di partito, come richiesto dalle famiglie dei soldati, ma ci sono davvero pochi dubbi sul fatto che si tratti di CasaPound.

Il ruolo dei fascisti del terzo millennio nella vicenda dei due marò ha raggiunto picchi di notevole comicità. Per diverso tempo i maggiori quotidiani, su tutti Libero e Il Giornale, avevano dato ampio risalto alla perizia di un "super-tecnico", tale Ing. Luigi Di Stefano, che avrebbe provato la totale innocenza dei militari e fatto a pezzi l'accusa indiana. La perizia, che in realtà faceva acqua da tutte le parti, era stata addirittura illustrata in una conferenza alla Camera dei Deputati. In seguito si è scoperto che Di Stefano non ha mai ottenuto il titolo di ingegnere, ma in compenso è un dirigente di CasaPound.

Lo scorso 2 aprile il figlio di Luigi Di Stefano, Simone (uno dei leader di CasaPound nonché candidato governatore alle ultime regionali in Lazio), aveva ipotizzato una "piccola guerra" con l'India per "sottrarre i nostri soldati dalle galere indiane." Di Stefano aveva poi puntualizzato che di guerre "se ne sono fatte tante nel mondo: questa volta, per l'onore dell'Italia, dobbiamo fare una guerra." Pare però che l'idea di mettersi contro un gigante da oltre un miliardo di abitanti non abbia riscosso un enorme successo nel Belpaese.

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Giunti al Campidoglio, diversi manifestanti fanno partire una timida contestazione al sindaco Ignazio Marino: "Marino cialtrone / rimetti lo striscione." Il momento più solenne della manifestazione arriva subito dopo, quando i vari spezzoni si mettono a cantare l'inno di Mameli davanti all'Altare della Patria. CasaPound, invece, preferisce intonare Fratelli d'Italia all'altezza del balcone dal quale Lui arringava la folla durante i bei tempi andati.

Sebbene il diluvio non accenni a placarsi, i Patrioti intendono andare fino in fondo e raggiungere la meta finale: piazza Santi Apostoli, che si trova qualche metro più in là di piazza Venezia. La gioia per essere riusciti a compiere l'ardua traversata, durata all'incirca mezz'ora, esplode incontenibile.

Le centinaia di manifestanti occupano la piazza e l'ammiraglio Paolo Pagnottella, presidente dell'Anmi (Associazione Nazionale Marinai d'Italia), impugna il microfono per iniziare il breve comizio conclusivo. È il momento di tornare seri.

"Questa non è una protesta," dichiara Pagnottella. "I militari non protestano ma obbediscono agli ordini, e i nostri militari hanno obbedito agli ordini del legittimo governo italiano. È impossibile che due soldati d'Italia siano prigionieri di un governo che non ha diritto di trattenerli. Massimiliano e Salvatore danno l'esempio, sono degni dell'applauso del popolo italiano e non della sua dimenticanza."

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Parlano anche la fidanzata di Latorre, la madre di Girone e infine la moglie di quest'ultimo, Vania, che legge un messaggio inviato dal marito: "Ogni giorno che passa sento sempre più il dovere di mantenere alto l'onore di un soldato italiano e della nazione. Nella nostra situazione qualunque soldato e qualsiasi Paese lotterebbe per far sì che vengano riconosciuti i diritti propri e internazionali e nel nostro caso anche la propria innocenza."

L'evento si scioglie con l'ennesimo inno di Mameli. Improvvisamente dalla selva di ombrelli emerge Gianni Alemanno, che ormai tutti davamo per disperso.

Poco lontano scorgo Magdi Cristiano Allam, ex vicedirettore del Corriere della Sera e fondatore del movimento politico Io Amo l'Italia. Sin dal 2012 Allam si è speso con grande impegno a favore dei marò, e io non posso assolutamente trattenermi dal chiedergli il suo parere sul caso. Il politico mi risponde che "il trattenere in modo arbitrario i due marò in India rappresenta una sconfitta dello Stato, che ha ceduto sul piano della sovranità nazionale. Di fatto abbiamo privilegiato l'interesse materiale rispetto alla salvaguardia della centralità della persona quale depositaria di valori inviolabili alla vita, alla dignità e alla libertà." I due marò, insomma, sono inconsapevolmente "diventati un simbolo della necessità di riscattare la nostra sovranità, di affermare il primato dello stato di diritto, di salvaguardare un modello di civiltà che metta al centro la persona e non la moneta. Sono anche diventati il simbolo della necessità di prendere le distanze da questa Unione Europea che è asservita all'euro e alla moneta."

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La posizione di Allam è tutt'altro che minoritaria, visto che la maggioranza dell'opinione pubblica italiana conosce solo i contorni di un affaire veramente intricato e complesso. Il problema è che questi contorni, ossia i frammenti informativi che si sono sedimentati nella coscienza collettiva, sono completamente distorti.

Qualche mese fa è uscito un documentatissimo saggio, I due Marò. Tutto quello che non vi hanno detto, scritto dal giornalista Matteo Miavaldi dell'agenzia specializzata China Files. Il libro, oltre a ricostruire puntualmente tutta la vicenda, decostruisce la montagna di bufale e imprecisioni disseminate da un giornalisti, politici, politicanti, partiti e associazioni tutti/e rigorosamente di destra.

L'elenco delle mistificazioni è impressionante. Sin dall'inizio ci hanno ripetuto che le acque del Kerala sono infestate dai pirati, mentre non è per nulla così; che i "due leoni" marciscono in luride prigioni indiane (peccato che i militari siano sempre stati "ospiti" presso guesthouse governative o addirittura in hotel a 5 stelle); che gli spari non sono venuti dall'Enrica Lexie, ma da imbarcazioni greche e/o cingalesi; che l'incidente è avvenuto in acque internazionali (in realtà si è verificato nella "zona contigua"), e dunque la giurisdizione spetta all'Italia; e molto altro ancora.

La "narrazione tossica" è arrivata a un tale livello d'intensità da provocare ripercussioni devastanti anche sull'azione diplomatica italiana. Fin dal 15 febbraio 2012 la diplomazia ha usato tutti i trucchi del mestiere, inclusi naturalmente i risarcimenti alle famiglie delle vittime (10 milioni di rupie, quasi 300mila euro) e al proprietario del peschereccio (1.7 milioni di rupie, 23mila euro). L'aver decimato il banco dell'accusa non è bastato, e il culmine del disastro è stato raggiunto l'11 marzo del 2013 con la scellerata decisione—effettuata dall'ex ministro degli Esteri Giulio Terzi—di trattenere i marò in Italia, dove si trovavano in licenza temporanea per le elezioni. La reazione indiana, rabbiosa e alle soglie della legittimità internazionale, ha costretto Terzi a tornare immediatamente sui suoi passi, rispendendo i militari in India e facendo perdere la faccia all'intero Paese.

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A seguito di un simile fallimento diplomatico e delle dimissioni di Terzi, l'attenzione sulla vicenda si è visibilmente affievolita. Gli ultimi sviluppi, tuttavia, sono molto interessanti. Il 13 novembre l'inviato del governo Staffan De Mistura ha fatto il punto della situazione davanti alle commissioni Esteri e Giustizia del Parlamento. Recentemente, inoltre, si è svolta la deposizione via videochiamata degli altri quattro marò che, assieme a Latorre e Girone, componevano il Nucleo militare di protezione dell'Enrica Lexie. Entro due settimane la polizia indiana dovrebbe presentare il rapporto d'accusa contro i marò e dare il via al procedimento.

Il processo potrà chiarire uno dei punti più opachi dell'intera questione, ossia se a premere il grilletto siano stati Latorre e Girone (che erano i sottoufficiali più alti in grado sulla nave) o altri militari italiani. Secondo alcune indiscrezioni apparse tempo fa su Repubblica, e riportate in un articolo del 14 novembre pubblicato su China Files, "i fucili incriminati non sono siglati con le matricole di Latorre e Girone, ma con quelle dei sottufficiali Andronico e Voglino, due dei quattro marò interrogati […] in videoconferenza."

Insomma, la questione è ancora tutta da chiarire e rimane delicata proprio perché attraversa il diritto, gli affari, la politica internazionale, l'economia, la difesa e altri campi estremamente sensibili. Purtroppo l'impressione è che la strumentalizzazione continuerà ancora a lungo. Per rendersene conto basta guardare la puntata di Mezzi Toni (rubrica su TgCom24 curata del giornalista Toni Capuozzo), andata in onda la sera stessa della manifestazione. A un certo punto Capuozzo, mentre discetta con "l'ingegnere" Luigi Di Stefano, si rivolge al suo interlocutore in tono scherzoso: "Parliamo qui come due pensionati sulla panchina dei giardinetti."

L'immagine, indubbiamente, è perfetta. Forse però sarebbe il caso di invitare i "pensionati" a smettere di parlare a vanvera, e di lasciare che a occuparsi di certe questioni siano, finalmente, le persone che vivono nel mondo reale.

Segui Leonardo su Twitter: @captblicero. Foto di Federico Tribbioli.

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