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Μodă

Mi sono vestita seguendo i consigli di una 'psicologa della moda' milanese

La psychostylist è la nuova figura professionale alla frontiera tra psicologia e moda. Sono andata a trovarne una a Milano per chiederle qualche consiglio per affrontare i brutti momenti esistenziali senza i jeans addosso.

Io con tutti i miei problemi ancora irrisolti. Foto di Anna Adamo/Cesura.

Non so se vi è mai capitato che qualcuno vi dicesse che tutto dipende dalla vostra scarsa igiene mentale. Personalmente, le pratiche di igiene mentale che esercito con maggiore frequenza consistono nel delegare. Delego agli altri la colpa e a vari psico-specialisti la cura. Quando il meccanismo si vizia e inizio a dare la colpa agli psicoterapeuti, la cura slitta a comprare "vestiti", ovvero cose nere e cose di jeans.

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Finora è sempre andata piuttosto bene. A un certo punto però deve esserci stato un cortocircuito di ricerche tra "jeans milano" e "junghiani milano", ed è così che ho scovato nell'internet una figura che sembrava bypassare tutta questa storia del delegare, presentandosi come la soluzione definitiva a una serie di problemi psicologici e vestimentari: la psychostylist.

Se non avete idea di cosa sia una psychostylist—come non ce l'avevo io fino a qualche giorno fa—vi basterà sapere che è una persona che cerca di guarire il dentro delle altre persone curandone il fuori. Ovvero, vi insegna a vestirvi in modo da combattere la falsa e poco lusinghiera immagine che avete di voi stessi e tirar fuori la femminilità, che è anche l'accettazione di sé. In molti casi, se siete femmine.

Sono anni che le persone che mi circondano cercano di intervenire sul mio abbigliamento, ma l'idea di farmi insultare da una psychostylist mi sembrava molto meno banale. Così sono andata a trovare Cecilia Calzolari Irace in compagnia di una fotografa. Da fuori il suo negozio in via Brera, a Milano, sembra un negozio di abbigliamento come un altro; all'interno, una tenda divide la parte "commerciale" da quella più privata. È qui che Cecilia riceve le clienti e organizza corsi, ed è qui che insieme alla sua assistente riceve anche noi.

Le rivolgo subito qualche domanda preliminare, quelle che di solito non ho il coraggio di fare agli psicologi perché ho paura che ci leggano delle risposte di domande che non hanno nemmeno il bisogno di fare a me. Per esempio, "come sei diventata una psychostylist?" "credi in un approccio dinamico in psicologia?" "veramente pensi di capire me più di quanto mi capisca io?"

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Non so quale sia il percorso-tipo di una psychostylist, ma Cecilia mi racconta che ha cominciato con la laurea in storia dell'arte, che le ha dato le basi estetiche della professione, per poi concentrarsi sulle interazioni: "non credo alle scuole e alle specializzazioni, la cosa fondamentale è la relazione con gli altri, ascoltare." Non si ritiene una guru, ma la sua missione, spiega, è "tirare fuori la spiritualità, magari dimenticata, magari mortificata, dalle persone, la loro vera essenza."

La mia psychostylist mi consiglia come colori-guida il rosa e il rosso ciliegia.

Ecco dunque: le spiego di essere lì per vedere se è possibile tirare fuori questa spiritualità che di sicuro in me giace sopita, e per capire se davvero con un abbigliamento che di mio non sceglierei mai—l'ho capito già dalla dichiarazione "la soddisfazione nel mio lavoro è far vestire una donna come non si sarebbe vestita mai, perché ha superato i suoi fantasmi"—cambierà anche il modo in cui affronto le giornate (le giornate fanno schifo).

Per semplificare il nostro percorso maieutico decidiamo di creare gli outfit per le situazioni psicologiche che io personalmente attraverso ma anche per quelle che più o meno tutti nella vita ci siamo convinti di avere, almeno una volta. Prego, non c'è di che.

Ecco che indosso le scarpe dell'abbandono. In mano Cecilia tiene lo spolverino lamé traforato che mi aiuterà a catturare un po' di luce e superare l'impasse.

ABBANDONO / LUTTO

"Quando siamo in un momento difficile," mi spiega Cecilia, "possiamo seguire due strade. Se rifiuto tutto, voglio che gli altri mi lascino in pace, mi chiudo e manifesto questo mio disagio, mi vesto di nero, non mi trucco. Elaboro il lutto e me lo metto addosso." Fin qui, niente di strano. L'altra reazione invece, quella che consiste nel "provare a essere diverse, più leggere," implica grandi quantità di gialli e arancio, che "aiutano a incamerare luce."

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Essendo il primo outfit che mi viene proposto, faccio notare che farmi vestire così è come dirmi di passare la domenica a fare circuit training in un parco pubblico. Crudele, e presumibilmente non succederà. Non possiamo piuttosto sviluppare il tema "jeans tutto il giorno"? Insomma, non solo è il modo più facile che conosco per risultare trasparente, ma è anche una questione di stile.

Ma no, è anche importante mettersi "qualcosa di insolito che ci faccia rivalutare i nostri limiti"—che è il motivo per cui mi trovo in una tuta-peplo con dei tacchi a spillo. La mia obiezione sullo stile non è passata inosservata: "E poi," prosegue Cecilia, "la gente mi dice 'non è il mio stile'. Ma non è che tutti abbiamo uno stile, sai. Poi certo io non direi mai 'lei non ha nessuno stile signora,' perché mai mi permetterei di offendere. Per cui ok, ognuno ha una sua idea di sé ed è giusto che la segua. Però poi guarda caso quando parlano un po' con me poi cambiano idea."

Ok. Non mi offendo, comunque.

DISADATTAMENTO

Un mio calmissimo psicoterapeuta amava dirmi che vivo al 50 percento nel mio cervello senza riuscire a uscirne, al 20 percento nella realtà e al 30 percento di nuovo nel mio cervello in reazione a una realtà che non mi piace. Il disadattamento esiste, e questo è il modo più semplice di spiegarlo: QUELLO CHE SUCCEDE ≠ QUELLO CHE SUCCEDE SECONDO VOI.

Esposto questo problema a Cecilia, ne ho in risposta una velocissima inversione a U: "È importante vestirsi in modo essenziale. Mantenere un contatto con la realtà che sia anzitutto fatto di geometrie e pesi. Un impermeabile lungo, molto francese, nero. Un bracciale pesante, materico. Righe orizzontali, niente che possa distrarre e che anzi aiuti a mantenere il focus."

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Quando dico che non avere uno zaino mi fa sentire un po' incompleta, Cecilia decide di zavorrarmi ulteriormente al pavimento con orecchini-lampadario e braccialetti di piombo.

DEPRESSIONE / MAL DI VIVERE / INSODDISFAZIONE

A questo punto sono ormai piuttosto rassegnata alla terapia d'urto, e consapevole del mio destino le chiedo un rimedio per i giorni in cui non leverei proprio il pigiama, e anzi non ho nemmeno voglia di alzarmi da letto.

L'essere umano è l'unico animale che può rinunciare a dare una risposta adattiva a quello che lo circonda, gettare la famosa spugna e chiudersi fuori dall'esistenza. Fortunatamente è anche l'unico animale che può scegliere una camicetta gialla e dei pantaloni palazzo indaco.

"Già nella quotidianità vedo che chi entra in negozio ed è depresso o in un brutto momento non vuole comprare per sé," spiega Cecilia. "Magari accompagna qualcuno oppure ha bisogno un vestito per una occasione. Di sicuro non entra per curiosare."

"E poi non dimenticare che le persone più in difficoltà molto spesso sono anche in difficoltà con il proprio corpo, soprattutto in questa città. Ed ecco che allora il dolore di non fare parte di un tutto, quello dei secchi e allampanati, porta a non accettarsi."

La solitudine delle taglie 44 è una bella metafora di quello che succede a tutti quando avere a che fare con il consesso umano ci getta nel panico. "In questi casi di ansia generalizzata, confusione, e magari una più profonda depressione bisogna affidarsi al colore e alla stratificazione. Così ci si sente al sicuro, magari anche con un bel paio di occhiali scuri, ma allo stesso tempo ci si afferma in modo perentorio."

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Imparo dunque che il giallo "è il colore dell'apertura," quello con cui si comincia a non passare inosservati "non solo davanti agli altri ma anche davanti a se stessi." Per essere sicura di non farmi passare inosservata, Cecilia mi dota anche di uno spolverino bianco e di una borsa con le frange. Quando faccio il madornale errore di abbottonare i polsi e il collo, poi, mi spiega che "tutto deve rimanere aperto, arioso: lo scambio tra dentro e fuori deve essere fluido."

BORDERLINE

È con crescente demoralizzazione che arranco fuori dal mio camerino per affrontare quello che tutti avete pensato di avere ogni volta che avete lanciato un bicchiere. Wikipedia dice: "Il disturbo borderline di personalità è caratterizzato da vissuto emozionale eccessivo e variabile, e da instabilità riguardanti l'identità dell'individuo. I soggetti borderline tendono a soffrire di crolli della fiducia in se stessi e dell'umore, ed allora cadere in comportamenti autodistruttivi e distruttivi delle loro relazioni interpersonali."

La psychostylist, invece, dice: "Una personalità tale ha bisogno di portare tutto il suo mondo appresso, e questo mondo è simboleggiato dalla perla di Maiorca," utile a non perdere il proprio centro e a ricordarsi della luce anche nei momenti di maggiore buio e ira. "Per questo la maglia a rete leggera, ariosa. Inoltre, la differenza dei pesi tra il piumino e la maglia ricorda la continua duplicità in cui incorre una persona simile."

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All'outfit si aggiungono un pantalone bianco fluido, per recuperare ogni moto ondivago dell'esistenza, e l'ennesima borsa. "Ma tutte queste borsette che non so come tenere in mano saranno così fondamentali?", chiedo. Sì, pare a Cecilia e pare anche a Freud.

Le scarpe e le borse, mi spiega, sono oggetti psicologici per eccellenza. "Le scarpe sono estrinsecazione del feticcio, e la borsa subito dopo, è espressione dell'apparato genitale femminile." Anzi: la donna "con la scarpa può anche ingannare, e per questo se si vuole conoscere una donna bisognerebbe sempre uscirci più volte per vedere che scarpe sceglie ogni volta, e solo allora tirare le somme."

Scopro poi che la scarpa è fondamentale anche per capire un uomo. Come quella volta che per un programma tv Cecilia ha dovuto avere a che fare con Costantino il tronista. Lui aveva dei Timberland slacciati e lei ha capito immediatamente che meritava non solo di essere distrutto in quanto a stile, ma anche rimbalzato. "L'ho fatto a pezzi. Anche se non ha rinunciato a dirmi fino alla fine che, 'no ma a me piacciono le donne mature'. Ah grazie!"

Così si crea l'empatia tra medico e paziente.

LUNEDÌ

Il lunedì è un disturbo psicologico a sé. Se non soffrite il lunedì, anche questa settimana soffrirete un altro giorno. Vestitevi così, quel giorno: "Un vestitino nero traforato con una sottoveste. Occhiali da sole colorati e perle esagerate, come se fosse già venerdì. Anche senza tacchi. D'altra parte l'unica cosa che si può fare il lunedì per stare un po' di buon umore è fare finta che sia già venerdì sera."

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Eccolo, penso mentre mi reinfagotto nei miei vestiti che mi mettono così tanto a mio agio, eccolo il segreto a cui oppongo il mio sentito rifiuto—essere positivi. A ciò segue un momento che attendo da anni di aspettative distorte: Cecilia prende il posto che mia madre ha sempre rifiutato e mi spiega la vita di relazione.

D'altra parte, se il suo matrimonio dopo 25 anni ancora funziona, un motivo ci sarà: "ci amiamo e rispettiamo, e poi lui fa l'uomo e io la donna. La casa, la famiglia è appannaggio mio e io non potrei vedere un uomo con l'aspirapolvere." I trucchi sono due, "essere geisha", e ricordarsi che con il modo di vestire "si ottiene tutto, basta sapere cosa vuoi." Mi sembra che non abbiamo calcato abbastanza la mano su quel basta sapere cosa vuoi.

A questo punto, però, sono tre ore che mi vesto con cose che nemmeno sapevo esistessero. È già mortificante. Adesso devo anche necessariamente scoprire cosa c'è di sbagliato nelle mie relazioni? È troppo.

Mentre me ne vado, mi chiedo se sono stata incastrata in una trovata di marketing per vendere più pantaloni palazzo. Probabilmente no. Forse, penso mentre mi ritrovo nuovamente coi talloni a terra a urtare le persone per strada pensando a tutt'altro, portare un paio di tacchi che si incastrano in ogni fuga tra i sampietrini mi costringerebbe a fare più attenzione alla realtà? Forse se ogni mattina usassi il mio tempo per ragionare sulle perle da indossare non potrei sprecarlo a entrare in ansia per la giornata che mi aspetta?

Perciò, mi dico mentre lascio Brera verso la Barona, io ci proverò. Magari i tacchi no, ma il rosso, il giorno di merda che passa in sordina con un bel vestito corolla, gli orecchini colonna ionica.

Due giorni dopo, credo che questo fenomeno per cui sto ancora vestita come la tipa del cartellone delle donne indipendenti si chiami "rifiuto delle cure."

Comunque nel frattempo ho bloccato il mio ex fidanzato.

Segui Elena su Twitter: @GabbaGabbaHeil