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A8N6: Il sesto annuale di narrativa

Mio padre alla fine

"Non ho parlato con mio padre per gran parte dell’ultimo anno in cui è rimasto in vita. Avrei dovuto smettere di parlargli anni prima in realtà—è stata una tale liberazione."

Illustrazione di Joe Denardo 
Traduzione di Lorenzo Mapelli

Prima di morire, mio padre si era ritrasferito da Las Vegas al Michigan. Mia sorella gli aveva trovato un bilocale che poteva permettersi di pagare con i soldi della previdenza sociale. Si era comprato un letto nuovo, un divano nuovo e una nuova televisione con alcuni dei soldi che gli erano rimasti, mentre mia sorella gli aveva ridato le cose che aveva messo nel suo garage quando lui stava a Las Vegas. Mia sorella l’aveva aiutato con il nuovo appartamento—a tirare fuori le cose, a montare la linea telefonica e tutti gli altri servizi. Gran parte di queste cose nostro padre non riusciva più a farle da solo, e mia sorella se n’era presa carico.

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Nei suoi ultimi anni, mio padre aveva difficoltà a camminare. Questo era in parte dovuto al suo peso, e in parte al fatto che gli erano cresciuti gli speroni ossei ai piedi (che erano in parte dovuti al suo peso). Gli speroni ossei erano la risposta dei suoi piedi a tutto quel peso che dovevano sopportare. I suoi piedi avevano sviluppato ossa extra per prendersi carico di quel peso extra. Erano l’unica cosa che cercava di fare qualcosa per il peso di mio padre.

Mio padre aveva vari bastoni e deambulatori per potersi muovere, ma le sue difficoltà motorie erano tali che a volte mio padre non usciva di casa per giorni o intere settimane. In queste occasioni, mio padre faceva una lista di cose di cui aveva bisogno—per lo più cibo—che mia sorella poi comprava, portava nel suo appartamento e teneva alla larga da lui.

Subito dopo il suo ritorno in Michigan, aveva cominciato a chiamarmi ogni giorno, e per un certo periodo, parlavo con lui ogni giorno. Senza il casinò, non aveva molto da fare nel suo appartamento, a parte mangiare e guardare la televisione.

Una volta tornato in Michigan, qualcosa in mio padre era cambiato, qualcosa che lo aveva fatto tornare a essere una persona davvero cattiva. Di solito, la cattiveria si palesava sotto forma di semplici insulti o frecciatine, intenti a correggere o contraddire ogni cosa che dicevo, il genere di cose che mi sentivo ripetere quando ero ragazzo. Adesso però, mio padre risultava così patetico da permettermi di ignorare il fatto che quegli insulti erano rivolti a me. Sembrava essere sempre solo, e rispondere al telefono era un modo tutto sommato semplice di tenergli compagnia.

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Durante queste chiamate, mio padre a volte si addormentava. Non importava chi fosse a parlare. A volte, mio padre cominciava a mormorare qualcosa e poi sentivo che cominciava a russare. Altre volte, sembrava che stesse per interrompermi, ma poi lo sentivo russare. Le volte più divertenti erano quando sentivo il telefono che sbatteva per terra e poi nient’altro che rumori di sottofondo.

Le prime volte urlavo il nome di mio padre finché non si svegliava. Dopo qualche tempo, riagganciavo senza fare nulla. Di solito non mi richiamava fino al giorno dopo.

Mio padre aveva anche cominciato a confondersi, o forse ad avere allucinazioni, durante queste conversazioni telefoniche. A volte mi chiamava col nome di suo fratello morto, Kenny. Altre volte, con quello di suo fratello ancora in vita, Walter. Ogni tanto, col nome di uno dei miei cugini, Butch. Questa cosa mi faceva sempre pensare che avrebbe voluto un figlio diverso.

Una volta, di punto in bianco, mio padre aveva cominciato a parlare di chili-dog e armi da fuoco. Un’altra volta, aveva cominciato a ordinare da me cibo cinese ad asporto, prima che lo interrompessi.

Un’altra volta ancora, mio padre aveva cominciato a urlare, È un orso. È un orso. Avevo provato a parlargli, ma senza risposta. Sembrava avesse appoggiato il telefono da qualche parte, e poi si era sentito un forte botto di sottofondo. Quando era tornato al telefono gli avevo chiesto cosa fosse successo. Lui mi ha detto che aveva fatto sparire l’orso.

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Alla fine, le telefonate di mio padre erano diventate talmente frustranti e difficoltose che avevo smesso di rispondergli. Mi erano venuti non pochi sensi di colpa per questo e allo stesso tempo mi ero sentito stupido dopo aver finalmente capito una cosa molto semplice: non ero obbligato a parlare con mio padre, nonostante lui fosse mio padre.

Meno rispondevo, più lui mi cercava. Certi giorni, chiamava dozzine di volte e io rispondevo solo per farlo smettere. Purtroppo, durava solo fino alla fine del singolo giorno—a volte poi si scordava che avevamo parlato il pomeriggio e mi chiamava anche la sera, dicendomi le stesse cose che mi aveva detto poche ore prima. Non riesco a ricordarmi neanche una volta in cui, finita la chiamata, mi sono sentito contento di aver parlato con lui.

Non ho parlato con mio padre per gran parte dell’ultimo anno in cui è rimasto in vita. Avrei dovuto smettere di parlargli anni prima in realtà—è stata una tale liberazione. Ero molto più felice quando non parlavo con lui di quando ci parlavo. Era una forma di auto-conservazione.

Avevo smesso di parlare a mio padre, ma lui non aveva smesso di chiamarmi ogni giorno e di lasciarmi messaggi. All’inizio li ascoltavo, ma erano più o meno sempre uguali: Danny, è tuo padre. Richiamami. Era quasi sempre un’affermazione e un ordine. Voleva ancora dirmi cosa dovevo fare.

Continuavo a non rispondere alle chiamate, e avevo cominciato a cancellare i messaggi senza neanche ascoltarli.

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A un certo punto, io e mia moglie abbiamo persino valutato di cambiare numero di telefono. Ironicamente, sembrava una cosa fin troppo cattiva da fare.

Era passato quasi un anno senza che avessi parlato con mio padre. Mi sentivo più leggero e cominciavo a credere che potessi rispondere di nuovo alle sue chiamate. Verso il Natale del 2004, alzai la cornetta e mio padre era dall’altra parte. Era sorpreso che avessi risposto. Sembrava quasi eccitato che fosse riuscito a beccarmi. Mi chiese cos’avessi fatto in quel periodo e io gli dissi che ero stato molto occupato. Non abbiamo più toccato l’argomento.

In una delle nostre ultime telefonate, mio padre mi disse che era appena stato dal dottore e che aveva preso parecchio peso. Non aveva usato la bilancia da circa un anno perché non riusciva più a vedere oltre alla pancia e leggere i numeri accanto ai suoi piedi, ma anche se avesse potuto farlo, la bilancia non avrebbe potuto lo stesso indicare il suo peso. Per anni, mio padre aveva potuto scoprire quanto pesava solo dal dottore. L’ultima volta però, non era riuscito a sapere il peso esatto. Aveva superato i 225 chili della bilancia del dottore. Pesava più di 225 chili.

La gente davvero grassa si muove in modalità diverse rispetto alla gente che non è davvero grassa. Mio padre, ad esempio, si alzava in piedi in diverse fasi. Dato che era troppo grosso per gran parte dei comuni divani e sedie, spesso si sedeva sul pavimento. Per alzarsi, aveva bisogno di appoggiarsi a qualcosa che potesse tirare o spingere—una porta, una sedia, o qualche altro mobile. Si rotolava sul fianco prima e sulle ginocchia dopo, mentre spingeva su il  torso. Dalle ginocchia, appoggiava la pianta dei piedi a terra, prima uno, poi l’altro. Poi metteva le gambe dritte. E alla fine, riusciva a sollevare il torso e a stare in piedi. Una volta in piedi, rimaneva fermo per un po’. Doveva riposare e riprendere fiato.

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Quando mio padre si spingeva in su, non lo faceva mai a mani aperte. Lo faceva con i pugni chiusi. L’ultima volta che lo aveva fatto con il palmo aperto, si era lussato due dita della mano destra. Non ci sono dita abbastanza robuste da riuscire a sostenere un peso del genere.

Le braccia di mio padre erano sempre state più grandi delle mie gambe.

Le gambe di mio padre erano davvero robuste per il solo fatto che ogni tanto stava in piedi e camminava. A ogni passo doveva portarsi appresso più di 225 chili.

Le gambe dei super-obesi di solito si toccano l’una con l’altra, quindi quando camminano tendono a muoverle verso l’esterno. Inoltre, le braccia vengono come spinte ai lati dai loro torsi in espansione. Le loro proporzioni sembrano sempre di più quelle di un neonato—a parte la testa, che nelle persone super-obese è molto piccola rispetto al resto del corpo.

Quasi ogni persona obesa tende a ingobbirsi. Mio padre sembrava quasi deforme con tutto quel peso che lo spingeva in basso. Avrà voluto tirarsi fuori da quel corpo.

Le braccia delle persone obese, inoltre, sembrano essere sempre troppo corte. A volte, guardavo mio padre che cercava di prendere qualche oggetto e, quando vedeva che le sue mani non ci arrivavano, sembrava come sconcertato. Gli saranno sembrata una sorta di illusione ottica, quegli oggetti che si allontanavano da lui.

Con l’avanzare dell’età, i capelli di mio padre erano diventati grigi, cosa che però lo faceva sembrare sempre più biondo. Inoltre, sembrava che non gli venissero rughe in faccia. Più ingrassava, più la sua pelle si faceva tesa, facendolo sembrare più giovane di quello che era.

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Dopo che avevamo ripreso a parlare, mio padre ricominciò a chiamarmi di nuovo tutti i giorni. Nell’ultima chiamata che ho ricevuto da mio padre, ha lasciato il solito messaggio. Non l’ho richiamato perché sapevo che l’avrebbe fatto lui dopo o l’indomani.

Mio padre non chiamò il giorno dopo e ricordo che ci pensai su quella notte. Pensai che forse gli era successo qualcosa, ma poi me ne scordai per i due giorni seguenti.

Mio padre non mi chiamò neanche per il mio compleanno e pensai che forse gli era successo qualcosa, ma era il mio compleanno e non mi andava di occuparmene in quel momento. Era un sollievo che mio padre non avesse chiamato per un bel po’.

Non mi sento in colpa per non aver parlato con mio padre durante il suo ultimo anno, ma mi sento in colpa per non averlo richiamato quella volta. Così tante volte ho pensato che mio padre sarebbe morto di lì a poco, ma non morì nessuna di quelle volte. Cominciavo a pensare che sarebbe diventato sempre più grosso e avrebbe continuato a vivere così, e che la sua stazza l’avrebbe in qualche modo protetto dalla morte.

Voglio parlare di nuovo con mio padre ora che è morto.

Una volta ho chiamato il vecchio numero di mio padre per vedere se fosse veramente morto. In qualche modo, mi sembrava possibile che potesse ancora rispondere. Un messaggio registrato mi ha avvisato che il numero era stato disconnesso.