Dentro il Miracle Village, la comunità per chi compie reati sessuali

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Dentro il Miracle Village, la comunità per chi compie reati sessuali

Le foto di Sofia Valiente raccontano la vita dei detenuti nel Miracle Village, in Florida: uomini e donne che si portano appresso un'etichetta indelebile, ma i cui reati spesso non sono quelli che ci aspetteremmo.

Sofia Valiente

Nel gennaio del 2013 la fotografa americana Sofia Valiente è andata a vivere al Miracle Village, in Florida, una comunità isolata che ospita solo condannati per reati sessuali.

Per coloro che vivono al Miracle Village riuscire a reintegrarsi nella società è molto difficile. La gente al di fuori li considera solo per i loro errori, hanno poche possibilità di essere accettati e vivono in alloggi condivisi, accomunati dalla loro sofferenza. Nella maggior parte dei casi tutta la loro vita sarà così, una specie di punizione perpetua.

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Quando qualcuno viene condannato per un crimine sessuale, viene registrato, etichettato e marchiato con il simbolo di tutti i criminali che sono venuti prima di lui. Noi non ci aspettiamo che vengano riabilitati e forse non lo vogliamo nemmeno—vogliamo semplicemente che ci stiano lontano. Il più lontano possibile.

Valente ha iniziato a frequentare regolarmente il Miracle Village e alla fine ha deciso di trasferirsi lì per cinque settimane. A dicembre 2014 è tornata per altre sei settimane per immortalare la vita dei residenti. Si è trovata davanti una comunità tranquilla e rapporti umani molto forti, frutto dell'isolamento dal resto del mondo. Valiente è riuscita a guadagnarsi la fiducia della comunità e, attraverso i suoi ritratti, ha dato voce alla vita di alcune tra le persone più emarginate della società occidentale.

VICE: Sofia, puoi spiegarmi qual è stato il tuo approccio a questa comunità? Avevi dei preconcetti?
Sofia Valiente: È stato un processo delicato. Non avevo idea di cosa mi sarei potuta aspettare e pensavo alle peggiori ipotesi. Ogni volta che un crimine sessuale compare sui giornali si diffonde una paura generale. Ma dopo aver parlato con alcuni dei residenti ho scoperto che non sono dei mostri. Non sono diversi da me e da te ed è stato proprio questo che mi ha spinto a realizzare il progetto.

Sapevo benissimo che alcuni di loro potevano essere potenzialmente pericolosi, quindi ho cercato di stare sempre attenta. Ma presto ho capito che avevano molta più paura loro all'idea di rimanere soli con me di quanta ne avessi io.

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Come hai fatto a entrare al Miracle Village?
Un mio amico lavora per il quotidiano locale della città in cui si trova il Miracle Village e me ne aveva parlato. La cosa mi ha incuriosito molto e un giorno ho preso la macchina e ci sono andata. Avevo già in mente il progetto, quindi quando sono arrivata l'ho proposto a ciascuno individualmente. Quasi tutti hanno accettato.

Che tipo di crimini hanno commesso queste persone?
La natura dei crimini varia moltissimo. Ci sono ragazzi giovani che sono stati condannati per aver avuto rapporti consenzienti con ragazze minorenni—ad esempio c'era un ragazzo di 18 anni che aveva una fidanzata di 16. Poi c'era un uomo condannato per possesso di materiale pedopornografico, che è illegale indipendentemente da come sia finito sul computer di quella persona. Alcuni uomini invece erano accusati di aver molestato dei minori, ma nessuno di loro era un vero pedofilo—nella struttura non accettano pedofili, stupratori seriali o gente che ha commesso crimini violenti.

Qual è il caso più strano che hai visto?
Il caso più assurdo è quello di uomo che ha urinato in pubblico. Un bambino l'ha visto e la madre ha chiamato la polizia.

E come sta affrontando la cosa?
Quando parlo con lui gli chiedo "Non sei arrabbiato?" ma lui è sicuro di sé e non gli interessa cosa pensa la gente. Lascia che tutto passi. Ha un legame molto stretto con la chiesa metodista della città di Pahokee—fa il cuoco lì, frequenta tutti i loro corsi biblici, quello è il suo posto. Beveva molto, prima, ed era ubriaco il giorno in cui si è messo a urinare in pubblico. Ma l'esperienza della condanna e della prigione gli ha fatto scoprire una nuova strada.

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C'erano anche altri casi assurdi. Ad esempio la storia dell'unica donna della comunità, Rose, mi ha davvero colpito. Veniva da un passato di abusi ed era molto povera. Viveva in una roulotte e lavorava da Taco Bell. Suo marito la picchiava e la violentava, esperienza di cui riusciva a malapena a parlare, perfino con me. Ha cercato di lasciarlo e di andarsene ma lui diceva che non le avrebbe permesso di tenersi i bambini. Le ha mosso diverse accuse, e in questi casi, i giudici non richiedono prove.

Pazzesco.
Non vede i suoi figli da allora. A stento è in grado di scrivere e non è assolutamente nelle condizioni di difendersi. La sua storia mi ha reso davvero triste e ci ho pensato molto. La cosa peggiore che possa capitare a una donna è che le portino via i figli.

È una storia tragica.
Ecco, questa è una pagina di diario che ho scritto su Rose mentre ero in comunità:

Sono andata da Rose…per chiederle di scrivere qualcosa. Ha sempre cercato di evitarmi, non vuole che io la fotografi. Ma volevo che lei scrivesse qualcosa, che raccontasse con le sue parole quello che le è successo. Voglio difenderla, le credo.

Ha cercato di allontanarmi…finché non ce l'ho più fatta. Le ho detto "Sono stanca. Non sono come gli altri che stanno qui dentro, voglio che il mondo sappia. E non ti farei mai del male."

Lei mi ha risposto, "Tesoro, non sei tu il problema. È che non voglio parlare di queste cose. Mi sono chiusa, perché era l'unica cosa che potevo fare…mio zio, mio fratello, mio marito, tutti mi hanno violentata e io non sopporto di parlarne e non lo farò. Ma ti voglio bene."

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Mi sento stupida e egoista…perché non ho pensato a lei…e perché ci sono cose che non capisco.

La comunità è davvero tranquilla come sembra?
Assolutamente. Il punto è che tutti condividono lo stesso stigma e questo annulla le gerarchie che normalmente sono presenti nella società. Succede qualcosa, a un uomo, quando viene privato della sua individualità.

Questi uomini, privati della loro individualità e della loro vita—senza alcuna reale possibilità di riaverla—si sentono solo definiti dai propri errori?
La possibilità di avere un'individualità non esiste per loro. Nella nostra società veniamo definiti in base al lavoro che facciamo, al luogo in cui viviamo, a quello a cui apparteniamo. Tutte queste cose non esistono all'interno della comunità. Non possono fingere, neanche se lo volessero. Questo è un ambiente molto sereno, dove i detenuti si accettano tra loro senza essere investiti dal giudizio del mondo esterno. La comunità è un grande sistema di reciproco sostegno, in cui ognuno può contare sugli altri.

Pensi che i detenuti vogliano reintegrarsi nella società?
Penso che essere riconosciuti in quanto esseri umani dotati di un proprio vissuto sarebbe già un grande passo per loro. Hanno mostrato un grande rispetto per il fatto che io venivo da fuori e che mi ero presa la briga di ascoltare le loro storie. Sono poche le persone che lo fanno.

Come passano le loro giornate?
Ognuno impiega il tempo in modo diverso. Alcuni riescono a trovarsi un lavoro—molti ragazzi giovani ad esempio fanno lavoretti nelle proprietà che si trovano lì intorno. Ma quello che vogliono davvero è andare avanti e voltare pagina. Non vedono l'ora che finisca la libertà vigilata per avere meno restrizioni.

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Quante probabilità ci sono che questo accada davvero?
È difficile. Loro sanno che queste restrizioni non sono solo fisiche. Uno degli uomini di cui parlo nel mio libro ha trascorso un sacco di tempo in un bar nella speranza di incontrare qualcuno. Ha chiesto a una cameriera di uscire e lei ha accettato. Ma dopo che lui le ha raccontato della sua condanna, la donna ha lasciato il lavoro e ha cambiato numero di telefono.

Nessuno vuole correre il rischio.
Non posso dire di non capire questo tipo di reazione. Appena senti le parole "condanna per reato sessuale" pensi subito il peggio.

Pensi che l'atteggiamento della società nei confronti dei condannati per reati sessuali possa cambiare?
Credo che dovrà cambiare. Specialmente se si tratta di ragazzi giovani che hanno semplicemente commesso un errore mentre stavano scaricando dei file e che si sono ritrovati con una condanna a vita sulle spalle. Non dovrebbero essere costretti a soffrire per sempre, specialmente dopo aver scontato per intero la loro pena.

@_marcusthompson

Miracle Village è un libro prodotto e pubblicato da Fabrica, il centro di ricerca sulla comunicazione di Benetton.