Le periferie di Roma sono sempre più un parco giochi per palazzinari

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Le periferie di Roma sono sempre più un parco giochi per palazzinari

Siamo andati a fotografare tre quartieri costruiti negli anni Duemila, e poco conosciuti, ma che a nostro avviso spiegano molto bene cosa siano le nuove periferie romane: Porta di Roma (nord), Parco Leonardo (sud-ovest) e Nuova Ponte Ponte di Nona (est).
Leonardo Bianchi
Rome, IT

Palazzi in costruzione a Nuova Ponte di Nona. Tutte le foto di Guido Gazzilli.

Nell'ultimo anno si è tornati a parlare parecchio delle periferie di Roma—vuoi per le esplosioni di rabbia sociale in quartieri come Tor Sapienza, vuoi per episodi di cronaca come quello della signora morta nel suo appartamento e ritrovata dopo due anni. Questa esposizone mediatica, tuttavia, è spesso accompagnata dai soliti, triti riferimenti a Pier Paolo Pasolini e agli stereotipi sulle borgate storiche, come se gli unici strumenti d'analisi disponibili nel 2015 fossero quelli del dopoguerra.

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Eppure, come scrive l'urbanista Enzo Scandurra, "tra quei paesaggi desolati (ma carichi di attese e speranza)" e le sterminate periferie di oggi c'è solamente "qualche pallida analogia." La realtà, infatti, è che cambiato davvero tutto—a partire dalla composizione sociale e dai caratteri antropologici di chi vi risiede, per arrivare più in generale alle condizioni politiche e urbanistiche.

Per documentare questa trasformazione, a fine agosto siamo andati a fotografare tre quartieri costruiti negli anni Duemila, e poco conosciuti, ma che a nostro avviso spiegano molto bene—anche visivamente—cosa siano le nuove periferie romane: Porta di Roma (nord), Parco Leonardo (sud-ovest) e Nuova Ponte Ponte di Nona (est).

La vista da Porta di Roma.

La premessa fondamentale da fare è che, dal 1870 a oggi, Roma si è moltiplicata di dieci volte , allargandosi in tutti i punti cardinali e arrivando a una dispersione urbana incredibile, tanto che i confini della città sono sempre più polverizzati e sfuggenti. Naturalmente tutto ciò non è stato dettato da una pianificazione coerente; piuttosto, è dovuto ai mali atavici della città—la speculazione edilizia, le continue deroghe ai piani, l'abusivismo rampante e lo strapotere dei palazzinari.

Solo nel decennio tra il 1990 e il 2000, ad esempio, si è consumato il 31 percento della superficie agricola, e nel primo decennio del Duemila—riporta il giornalista Francesco Erbani nel libro Roma. Il tramonto della città pubblica—si sono costruiti in media 10mila alloggi all'anno. L'effetto, scrive sempre Erbani, è stato quello di formare un sistema di insediamenti composto di tante "monadi" che non comunicano tra loro e il centro della città, visto che non potranno mai usufruire di un trasporto pubblico degno di questo nome.

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Questa enorme colata di cemento, alla quale non corrisponde un incremento demografico di pari intensità, ha inoltre l'effetto paradossale di non garantire il diritto all'abitazione, visto che le stime più affidabili parlano di 250mila case vuote.

Palazzi a Nuova Ponte di Nona.

Finora l'amministrazione pubblica è riuscita semplicemente a "sanare il preesistente," aggravando ancora di più la situazione e innescando "un processo che può proseguire all'infinito."

Per rendersi conto di cosa abbia comportato questo atteggiamento, basta considerare la questione delle Centralità—uno degli aspetti cruciali del Piano regolatore approvato nel 2008 dalla giunta di centrosinistra di Walter Veltroni, poi ereditato e portato a termine dalla giunta di Gianni Alemanno. Nel piano originario, le Centralità erano 18 e dovevano disegnare una città policentrica e diffusa, capace di ricurire il divario estremo tra il centro e la periferia.

Palazzi in vendita a Porta di Roma.

Le cose, però, sono andate nella direzione opposta. Anche perché, secondo i critici, la scelta delle aree in cui edificare—e qui parliamo di ben 16 milioni di metri cubi di costruzioni—ha coinciso alla perfezione con le proprietà fondiarie delle grandi famiglie di costruttori, e non con le reali esigenze della città.

Il "successo" delle Centralità, appunto, lo si può toccare con mano sia a Porta di Roma che a Nuova Ponte di Nona.

Esterno del centro commerciale a Porta di Roma.

Il primo è l'ingresso nella Capitale per chi viene da nord. Inizialmente, a Porta di Roma doveva sorgere un polo logistico; poi, negli anni Novanta, i nuovi proprietari dell'area avevano cominciato a pressare il Campidoglio per modificare la sua destinazione d'uso e garantirsi maggiori profitti. Ed è così che, a partire dall'inaugurazione nel 2007, il quartiere—raggiungibile solo in macchina—si è trasformato in un conglomerato di palazzi residenziali (con molti appartamenti vuoti o invenduti) che circondano il vero cuore pulsante della zona: il centro commerciale Galleria Porta di Roma, uno dei più grandi d'Europa.

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Dentro il centro commerciale a Porta di Roma.

Il secondo quartiere, che si trova nell'estrema periferia est, è abbastanza simile a Porta di Roma. Anche in questo caso, per arrivarci bisogna prendere la macchina e incolonnarsi su una delle strade più congestionate di Roma, via Collatina. Una volta giunti sul posto, il colpo d'occhio è quello di una serie di orrendi condomini a schiera riservati alla piccola-media borghesia che vuole fuggire dal caos del centro; gru che tirano su altri palazzi; annunci immobiliari ovunque; e un altro immenso centro commerciale, "Roma Est", che rappresenta il fulcro di questo quartiere abitato da poco più di ventimila persone.

Una piazza a Nuova Ponte di Nona.

Nel libro Vite perifiche. Solitudine e marginalità in dieci quartieri di Roma, Enzo Scandurra ha tratteggiato un ritratto del quartiere particolarmente duro, definendolo un "presepe moderno attorno alla mangiatoia del centro commerciale, il 'Regno a venire' uscito dai libri di Ballard, […] la più grande beffa dei sogni degli urbanisti e il trionfo di Caltagirone & co." A quest'ultimo proposito, una delle peculiarità più assurde di Nuova Ponte di Nona è proprio la titolazione delle vie: sono tutte dedicate ai costruttori, e l'arteria principale si chiama viale Francesco Caltagirone.

Dentro il centro commerciale "Roma Est" a Nuova Ponte di Nona.

Un altro quartiere piuttosto emblematico—e anch'esso costruito negli anni Duemila—è Parco Leonardo, che si estende per 160 ettari e rientra formalmente nel comune di Fiumicino. Il nome è una combinazione tra il vicino aeroporto (che si chiama "Leonardo da Vinci") e l'ideatore e realizzatore, Leonardo Caltagirone.

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Leggere la descrizione del quartiere nel sito ufficiale è davvero illuminante. "L'idea guida nella concezione di Parco Leonardo," si spiega, è quella di realizzare una "città del futuro" del tutto autosufficiente ma "in stretta connessione con il territorio." Poco sotto si elencano una serie di problemi che il nuovo quartiere vorrebbe evitare a tutti i costi, tra cui "l'esistenza di piazze ed altri luoghi pensati in astratto che, nella realtà, si sono trasformati in 'non luoghi.'"

Un tratto dell'area pedonale di Parco Leonardo.

Ecco: visto che l'abusata espressione è stata tirata in ballo direttamente dai suoi realizzatori, Parco Leonardo è un "non luogo" per eccellenza. Se si prende il treno, l'ingresso del quartiere è l'immenso centro commerciale da 100mila metri quadri—il quale, stando a una dichiarazione di Leonardo Caltagirone del 2005, è dedicato alla madre Giuseppina Cacciatore, "capace di compiere sacrifici per il nostro bene"—e il senso di spaesamento è amplificato dalla totale assenza di un luogo di aggregazione "pubblico."

Il punto è che definire cosa sia esattamente Parco Leonardo è piuttosto difficile: un quartiere-dormitorio? Una specie di "borgata" del Ventunesimo secolo?

Un parcheggio all'aperto a Parco Leonardo.

La creazione e lo sviluppo di queste nuove periferie, insomma, sono la prova tangibile di come il mercato immobiliare e speculativo abbia ormai raggiunto una forza tale per cui è in grado di pianificare, realizzare e gestire aree sempre più grandi di Roma in maniera pressoché indisturbata, piegando una politica debole ai propri voleri.

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Il risultato è un modello—se proprio lo si deve definire tale—insostenibile sotto ogni punto di vista. "Roma per molti aspetti, in molte sue parti non è più una città," aveva detto qualche anno fa l'urbanista e attuale assessore Giovanni Caudo. "Bensì un territorio urbanizzato formato da isole, frammenti, appendici, propaggini, sacche e strisce, che in mancanza di una vera struttura urbana si organizzerà in ghetti (dove saranno confinati i meno abbienti) ed enclave (dove tenderanno a racchiudersi i più abbienti)."

E alla luce di questi cambiamenti radicali nella conformazione odierna della Capitale, continuare a usare Accattone per descrivere le periferie del 2015 non solo è anacronistico, ma controproducente.

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Interno del centro commerciale di Porta di Roma.

Un'automobile abbandonata a Nuova Ponte di Nona.

Palazzi in costruzione a Nuova Ponte di Nona.

Cartelli a Nuova Ponte di Nona.

L'area pedonale di Parco Leonardo.

Un ufficio vendite a Parco Leonardo.

Palazzi a Porta di Roma.

Spiazzo di cemento a Nuova Ponte di Nona.

Un'automobile in sosta a Parco Leonardo.