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reportage

Delle Olimpiadi di Sarajevo non sono rimaste che le rovine

Trent'anni fa, in questi stessi giorni, a Sarajevo si tennero i Giochi Invernali. Otto anni dopo la città e i suoi abitanti furono travolti dalla guerra. Le Olimpiadi di Sochi sono appena finite, e ho pensato fosse il momento giusto per andare a...

Trent'anni fa, in questi stessi giorni, a Sarajevo si tennero le Olimpiadi Invernali del 1984. Dieci anni dopo, il villaggio olimpico, la città e i suoi abitanti furono travolti da una feroce guerra le cui conseguenze sono ancora oggi visibili. Le Olimpiadi di Sochi sono appena finite, e ho pensato fosse il momento giusto per andare a Sarajevo e visitare l'ex villaggio olimpico. Volevo incontrare qualcuno che avesse vissuto i giochi e la tremenda guerra infuriata per tre anni e mezzo, dall'aprile 1992 al febbraio 1996.

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Non ero mai stato in Bosnia. All'aeroporto sono stato accolto da Tanya e Ken, entrambi nati a Sarajevo. Hanno passato gli ultimi anni della loro adolescenza nascosti in cantina, mentre fuori la guerra infuriava. Dall'aeroporto ci siamo subito diretti in città, lasciandoci alle spalle lungo la strada le macerie dei bombardamenti. Ho chiesto a Tanya, vistosamente incinta, della sua vita durante la guerra, e questo è ciò che mi ha raccontato:

“Avevo 17 anni, andavo al liceo, e non avevo idea che di lì a poco sarebbe scoppiata la guerra. Nella mia scuola, a quei tempi, c'erano studenti di ogni etnia ed eravamo cresciuti insieme. La prima esplosione di violenza a cui ho assistito, o di cui abbia avuto testimonianza, è stata durante le proteste che hanno portato alle barricate. Era marzo, nel 1992. Poco dopo la città è stata posta sotto assedio. È successo durante la notte, all'inizio di aprile."

“Mia madre, una bosniaca musulmana, mi disse che i soldati serbo-bosniaci avevano assediato la città insieme all'Armata Popolare Jugoslava (JNA) e che la gente moriva per strada. Quando le ho chiesto il perché, mi ha risposto che stavano tentando di liberare la Bosnia dai musulmani, che componevano la maggioranza della popolazione di Sarajevo."

“Politicamente, a quei tempi, la Bosnia voleva seguire l'esempio di Croazia e Slovenia, che avevano ottenuto l'indipendenza pochi anni prima. Il 22 febbraio 1992, in Bosnia ed Erzegovina si tenne il primo referendum nazionale sulla questione dell'indipendenza e della separazione dalla Jugoslavia. Il referendum fu boicottato dai serbi bosniaci e dai loro rappresentanti, ma il risultato del voto del 22 febbraio volse a favore dell'indipendenza. Un mese dopo scoppiò la guerra."

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“Durante le prime settimane, l'esercito serbo-bosniaco tagliò le comunicazioni con l'esterno bombardando l'ufficio postale e le linee telefoniche. Poi tagliarono l'elettricità e la rete idrica e circondarono la città. Quello fu l'inizio di un incubo durato quasi quattro anni.”

I cerchi olimpici nel centro di Sarajevo.

“Le condizioni di vita durante la guerra erano tremende,” ha continuato Tanya. “Avevo 17 anni, ma sono cresciuta molto in fretta. Non potevamo uscire perché c'erano cecchini e bombardamenti. Ho perso molti amici e visto tantissimi cadaveri—troppi per tenere il conto. Sono diventata totalmente insensibile. Ogni giorno c'era qualcuno che moriva. Volevo soltanto che finisse. La mia famiglia iniziò a scambiare gioielli con la farina per fare il pane. Non abbiamo mangiato frutta per tre anni.”

Bambini alla base della pista di Igman.

La pista da bob olimpica sul Monte Trebević così com'è oggi. Lunga tre chilometri, si fa strada tra gli alberi fino alle tribune sottostanti, ora ridotte in macerie dai bombardamenti.

I resti di un edificio bombardato. Sullo sfondo c'è la collina dedicata alle vittime della guerra.

La fine della pista da bob sul Monte Trebević.

Questo tunnel è stato costruito dall'esercito bosniaco durante la guerra, per collegare la città con i territori dall'altro lato dell'aeroporto di Sarajevo—l'aeroporto era controllato dalle truppe delle Nazioni Unite. L'esercito bosniaco usava questo tunnel per inviare cibo e aiuti umanitari nei quartieri assediati di Sarajevo. Ha anche aiutato l'esercito a eludere l'embargo internazionale sulle armi e a far entrare di contrabbando delle armi in città.

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L'uscita nord del tunnel era nascosta in una casa a soli 160 metri dall'aeroporto. Durante la guerra, il tunnel è stato perennemente in uso. Ogni giorno era attraversato da 3/4.000 persone, soldati e civili.

Qui è dove sono stati premiati gli sciatori vincitori delle Olimpiadi del 1984. È anche il luogo dove sono stati fucilati molti prigionieri durante la guerra del 1992-1995.

Nelle colline intorno al villaggio olimpico furono piazzate migliaia di mine. Molte restano tuttora inesplose.

Un cimitero nel centro sciistico di Igman rende omaggio ai soldati bosniaci che hanno perso la vita sulle colline intorno a Sarajevo durante la guerra.

Snezana aveva 24 anni quando la città ospitò le Olimpiadi. “Erano giorni bellissimi. Squadre, atleti e un sacco di persone arrivarono da tutto il mondo per vedere la nostra città. Dieci anni dopo, vivevamo nell'inferno. Questo edificio dietro di me era l'Hotel Olimpico di Igman, dove si sono tenute le gare di sci. È anche il posto in cui mio marito è stato incarcerato e torturato durante la guerra. Era un croato-bosniaco cattolico e fu catturato dall'esercito bosniaco. Riuscì a scappare soltanto perché uno dei soldati che lo tenevano prigioniero era stato un suo compagno di scuola: lo riconobbe e una notte lo fece fuggire. Poi corse per 30 chilometri attraverso colline minate, fino in città. Sono stata davvero felice di rivederlo.”

La vista da un motel abbandonato vicino alla pista da bob sul Monte Trebević. Durante le Olimpiadi del 1984 in questo edificio alloggiavano ospiti e spettatori. Ai tempi della guerra, era una postazione di artiglieria dalla quale i serbo-bosniaci cannoneggiavano la città.

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Tanya e Mirsada Kosic, sulla tomba di uno dei dieci parenti stretti che hanno perso durante la guerra.

Mirsada Kosic faceva l'ostetrica, sia durante le Olimpiadi che durante la guerra. Ha fatto nascere centinaia di bambini durante l'assedio di Sarajevo, a volte in condizioni precarie. Mi ha raccontato con grande sofferenza il suo ricordo più brutto della guerra:

“Era il 26 maggio del 1992. L'ospedale era sotto attacco su tutti i lati da parte dei serbo-bosniaci, e abbiamo perso sei neonati. È stata la notte più brutta della mia vita.”

Due mesi dopo, suo fratello venne ucciso in un agguato, lì vicino.

Su Sochi:

Sochi era la fiera degli eccessi ben prima delle Olimpiadi