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reportage

La città costruita dal razzismo

Viaggio a Orania, l'enclave afrikaner più controversa del Sudafrica.

Un tema ricorrente della storia afrikaner è quello secondo cui questo popolo avrebbe antenati israeliti. E non si trova solo nel duro calvinismo della loro Chiesa Olandese Riformata: fin dalla grande migrazione del Grande Trek, quando gli antenati condussero i carri trainati dai buoi nell’entroterra in cerca di una vita libera dal controllo britannico, il canto di “Let my People Go” è un mantra boero. Come riconoscimento per il pellegrinaggio degli afrikaner, negli anni Trenta il governo costruì l’enorme Voortrekker Monument. Cinquant'anni dopo i Voortrekker, la Guerra Anglo-Boera—un atto da Davide e Golia, completo di campi di concentramento inglesi—enfatizzò il paragone con gli ebrei, alimentando così il complesso delle persecuzioni. Da questo punto di vista, l'apice dell’Apartheid potrebbe essere interpretato come un tentativo afrikaner di arrivare all’autodeterminazione, per allontanare il semplice fatto che, a lungo andare, la storia coincide con la demografia.

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Bene, ora la demografia è storia. Hanno combattuto. Hanno perso. Fine. L’afrikaans, un tempo lingua principale, è solo una delle dieci lingue ufficiali del Sudafrica. Non più membri di spicco della società, della polizia e dell’esercito, oggi gli afrikaner devono competere per i posti di lavoro proprio con quelle persone che un tempo sovrastavano.

Ma nei primi anni Novanta, proprio mentre crollavano le vecchie usanze, una piccola società di irrinunciabili aveva iniziato a raccogliere leggi e manoscritti, avvolgendo l’Arca dell'Alleanza con la plastica da imballaggio e pianificando un nuovo pellegrinaggio. Questa volta, però, il piano avrebbe funzionato. Niente dubbi. Niente pasticci. Questa volta avevano pensato a tutto.

Avrebbero ricominciato. Nel loro nuovo mondo non ci sarebbe stato spazio per i sistemi che li aveva portati al crollo. Invece di dover gestire le tensioni di una società economicamente integrata ma socialmente segregata, gli afrikaner avrebbero potuto andare avanti e fare tutto il lavoro da soli. Avrebbero semplicemente tagliato fuori dal giro l’Uomo Nero. Selfwerksaamheid—che letteralmente significa “lavorare insieme per noi stessi”—sarebbe stato il motto del nuovo ordinamento. La loro nuova casa doveva essere un luogo in cui gli afrikaner sarebbero stati liberi di mantenere vive le loro tradizioni, dove avrebbero potuto parlare l’afrikaans e dove tutto sarebbe stato rose e fiori.

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Ma per istituire questa società—il Volkstaat—prima di tutto avevano bisogno di un posto. Ed è qui che entra in scena Orania.

Se il Sudafrica fosse un bersaglio per le freccette, Orania ne sarebbe il centro. A circa 1200 chilometri da Città del Capo, Durban e Johannesburg, si trova sul lato opposto, a tre ore di distanza su una strada sterrata che parte da Colesburg. Nel 1990 era una città fantasma, costruita dal Ministero dei Sistemi Idrici per ospitare gli operai che stavano lavorando alla costruzione di un canale di irrigazione lungo quasi 100 chilometri. Sembrava invendibile, anche alla modica cifra di 3 milioni di rand (circa 280.000 euro). Ma alla fine fu comprata dall’ex presidente del Broederbond, l’equivalente afrikaner della massoneria. Gli piacque, e decise di viverci per un breve periodo sperando di portare con sé alcuni dei suoi amici più stretti—circa 50.000 persone, per cominciare.

Quell’uomo era Carel Boshoff III, un tizio abbastanza ottimista. Circa vent'anni dopo, quando VICE ha fatto il suo ingresso in città in un arido mercoledì di gennaio, la popolazione di Orania era ferma intorno alle 700 persone—ma si parla di 700 cittadini completamente bianchi, burgher di lingua afrikaans e dai saldi principi religiosi. La città è in effetti una proprietà privata, e alle persone di colore è proibito stabilirvisi (nonostante non manchino, a partire dagli stessi Bosoff, astuti appigli legali). Orania è un monumento al sogno perduto: un sogno in cui i bambini bianchi e i bambini bianchi giocano insieme in perfetta armonia. “Immagina di vivere in un posto in cui non devi guardarti le spalle mentre cammini per strada,” questo il messaggio subliminale veicolato dai video promozionali che vengono trasmessi al centro informazioni turistiche.

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In aggiunta alla bandiera e alla stazione radio, dal 2004 il "Volkstaat" possiede una propria moneta. Si chiama Ora e vale esattamente quanto il Rand sudafricano. I rand che entrano col cambio valute sono custoditi in conto corrente ad alto tasso d’interesse, un sistema che attualmente porta 100.000 rand extra nelle casse del comune. Tutte le banconote di Ora raffigurano un ragazzino che si rimbocca le maniche, simbolo della città. L’immagine deriva da un modo di dire del dottor Verwoerd, il primo ministro conosciuto come “l’architetto dell’Apartheid.”

Verwoerd disse che se gli afrikaner volevano ottenere l’autodeterminazione, avrebbero dovuto rimboccarsi le maniche e fare da sé. Da allora, il ragazzo che ha fatto da modello per l’immagine originale, Ben De Klerk, ha preso a cuore il motto. Qualche anno fa si è rimboccato le maniche e ha lasciato Orania. Ora è un dottore e vive in Canada.

La R369, la strada principale che divide a metà la zona, appartiene al governo. Su entrambi i lati, gli abitanti di Orania hanno edificato delle barriere che possono essere chiuse quando è necessario tenere alla larga il mondo esterno. All’interno hanno costruito un supermercato, un distributore di benzina, un impianto per la lavorazione delle noci pecan, una caffetteria, un bar, una drogheria, un laboratorio di ceramica, un deposito di attrezzi da fattoria e un’agenzia immobiliare.

Pare che quest’ultima faccia affari d’oro. Mentre la popolazione totale è cresciuta solo di 100 persone negli ultimi dieci anni, il turnover abitativo procede a ritmi piuttosto elevati. I prezzi variano—la fascia più bassa apre le offerte a 250.000 rand (circa 24.000 euro), arrivando fino a 900.000 rand (circa 86.000 euro) per le proprietà di recente costruzione lungo il fiume.

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“Orania non è per tutti,” afferma il dottor John Strydom, responsabile delle pubbliche relazioni della città, “Facciamo di tutto per convincere alcune persone a non trasferirsi. Perché? Perché alcuni vengono qui pensando di aver trovato la soluzione a tutti i loro problemi. Ma in realtà la vita qui può essere piuttosto dura. Gli stipendi non sono molto alti.”

Ed è proprio questa l’altra faccia della medaglia del fare tutto da soli: bisogna fare tutto da soli. Bisogna fare il lavoro manuale, ed è difficile convincere qualcuno da fuori a trasferirsi in una comunità isolata dal mondo se l’unico lavoro che potrebbero trovare è quello del giardiniere. Ma gli abitanti di Orania sembrano aver individuato una soluzione al problema. Sul lato opposto della città si trova il quartiere dormitorio di Elim. In passato, Elim era il quartiere per gli operai “di colore” che lavoravano al canale. Oggi le autorità hanno sviluppato un progetto per portare laggiù gli afrikaner squattrinati che devono disintossicarsi, facendo pagare loro 450 rand al mese per vivere in questi casermoni un po' fatiscenti, senza dar loro alcolici e sottoponendoli a una rieducazione cristiana.

Poi li mandano a lavorare. Gli fanno fare qualunque cosa, dal raccolto delle noci pecan alla costruzione e alla pulizia delle case. Ci sono sempre cose da fare in una città di pionieri come questa, specialmente perché un terzo della popolazione di Orania è composto da pensionati.

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Per altri Orania è un ricovero di sollievo. “Alcune di queste persone sono state colpite duramente dalla criminalità,” spiega John mentre ci accompagna per la strada che porta alla nuova spa della città. “Vengono sequestrati o rapinati, e non riescono più a stare nel mondo esterno. Perciò si trasferiscono qui per due o tre anni. Superano le loro paure e poi tornano nelle città.”

La sua teoria sembra trovare riscontro. Al centro informazioni turistiche la sosia di June Whitfield che sta allo sportello ci racconta di come l'abbiano scippata davanti a casa sua, a Johannesburg. Mentre visitiamo il museo Verwoerd (in cui il pezzo forte è la sedia su cui stava il Grande Leader quando è stato ucciso nel 1960, ancora sporca del suo sangue), incontriamo un contadino di 82 anni di Vryburg, con i calzini al ginocchio, i baffi corti e le vecchie maniere campagnole. Sta vendendo tutto per trasferirsi qui dopo che la moglie è stata picchiata con una pistola dal figlio di uno dei suoi operai. Verwoed, ci dice, era una brava persona. Però forse era un po' troppo buono con i neri. "Gee hulle n vinger dan vat hulle die heule arm," sussurra attraverso la dentiera (“Dategli un dito e si prenderanno tutto il braccio.”).

Carel Boshoff IV è il figlio del fondatore della città, nipote di Verwoerd e il nuovo amministratore delegato della società per azioni che controlla gli affari di Orania. Di fatto ne è il sindaco e il leader intellettuale, e sta a capo della sezione locale del partito Fronte della Libertà Più. Verso mezzogiorno sfreccia verso il bar centrale sulla sua Lancia rossa. Con degli occhiali dalla montatura sottile, Boshoff IV è gioviale mentre ci propina discorsi che sicuramente ha già ripetuto svariate volte a politicanti meglio informati e più sfacciati di noi, infilandoci continui riferimenti all'idea greca della città-stato e paragoni con Israele. Recentemente è andato in Etiopia per fare ricerca sulle leggi dell'Unione Africana riguardo ai movimenti separatisti. Durante il volo di ritorno la hostess di colore non l'ha servito.

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“I giornalisti neri mi chiedono sempre se possono venire a Orania,” dice, “e io rispondo ogni volta di sì. In molti mi chiedono se sono serio… Rispondo 'Sì, sono serio esattamente come voi.' A nessuno piacerebbe trasferirsi in un posto in cui non può praticare la propria cultura. Chiunque voglia trasferirsi deve essere approvato dal governo. A tutti facciamo due domande. La prima è: puoi mantenerti? Perché nella nostra società non ci sono molti aiuti. La seconda è: ti impegnerai per gli obiettivi della nostra società, cioè l'autodeterminazione degli afrikaner? Se parlano inglese e sono neri ma abbracciano totalmente la nostra causa allora possono trasferirsi."

Altri ci sconsigliano di prendere le sue dichiarazioni come l'unica voce di Orania. “Ci sono molte fazioni qui. Agli esterni vogliono dare quest'immagine di unità, ma la verità è che nemmeno loro hanno ancora capito da che parte andare, e quindi ci sono persone molto determinate e molto idealiste che spingono in direzioni diverse. Perché pensi che esistano ben sette chiese in una città di queste dimensioni? Ognuno forma il suo piccolo gruppo.”

Dall'altra parte della città, la piscina municipale si riempie del rumore dei passi dei piccoli bambini bianchi che lasciano le loro biciclette incustodite fuori dall'ingresso. In cima al parcheggio c'è l'emblema di Orania, più volte bersagliato dalla satira. Si tratta del Monumento Koeksister. A prima vista sembra la tipica opera d'arte astratta cittadina. Si tratta di tre strisce intrecciate che rappresentano il dolce tipico sudafricano coperto di sciroppo chiamato proprio koeksister.

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Esattamente sopra il monumento, in linea sulla collina, c'è un semicerchio di busti posti sotto la bandiera della città. “Regali non richiesti” mormora John. “Vengono dagli edifici governativi, sono i busti di quei Presidenti e Primi Ministri che non sono più riconosciuti come politically correct. Ce li hanno dati e noi abbiamo trovato il modo di usarli.”

C'è DF Malan, il primo Primo Ministro dell'Apartheid, l'uomo che ha dato il via alla moda dei leader nazionalisti di essere calvi, cicciottelli e con gli occhiali. Poi ci sono JG Strijdom, il secondo Primo Ministro ugualmente entusiasta dell'Apartheid e morto mentre era in carica, e HF Verwoerd, che era il John Kennedy del Sudafrica—un leone del segregazionismo, eliminato all'apice della carriera, nel 1966, subito dopo essere stato eletto per un secondo mandato. Nel 1995, Nelson Mandela è venuto qui a prendere un tè in segno di riconciliazione con la vedova dell'uomo che lo aveva sbattuto in carcere per 27 anni, la novantatreenne Betsie Verwoerd, nonna di Boshoff. Per anni, la sua salute sempre più precaria era una delle attrazioni della città. La donna ha preso la sua ultima tazza di tè nel 2000. Ora la sua tomba occupa un grande spazio nel cimitero cittadino, affiancata da una lapide a simboleggiare le ossa del marito, che attualmente è sepolto a Pretoria. Ora come ora comunque, non è detto che vi sarà una nuova sepoltura. “Stanno ancora discutendo a riguardo” si lamenta Boshoff IV. La casa dove abitava è diventata il Museo Verwoerd, e la metà frontale dell'edificio è stata mantenuta esattamente com'era quando è morta.

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Verwoerd è stato pugnalato da un messo parlamentare di nome Dmitri Tsafendas, il quale sosteneva che un verme solitario dentro di lui gli avesse ordinato di uccidere il Primo Ministro. Verwoerd è morto dissanguato sul pavimento del Parlamento a causa di due coltellate al collo. Come per ogni martire, a causa dell'assenza di prove sono nate diverse ipotesi di complotto. “Il 98 percento dei sudafricani crede che ci sia qualcosa di molto sospetto nella faccenda,” dice John sottolineando il fatto che Verwoed fosse “un leader molto amato. Non solo in questo Paese, ma in tutto il mondo.” Sei sicuro, John?!

Di notte girovaghiamo per le strade buie e silenziose, mentre i sistemi di irrigazione spruzzano acqua nei praticelli (come in Israele, anche qui hanno reso fertile il deserto attraverso progetti di ingegneria civile di primo livello). Ci imbattiamo in una festa di ragazzini. C'è un barbecue, ci intrufoliamo.

C'è un po' di imbarazzo mentre procediamo per il patio, ma, alla fine, i ragazzi mostrano il loro lato migliore, noi il nostro, e tutto va bene. Sono brave persone. La maggior parte di loro viene da città più grandi. In media le famiglie si fermano qui otto anni. Due di loro sono le figlie di John. Dicono di voler assolutamente interagire con gente di colore—è uno dei motivi per cui sono ansiose di andare all'università. Anche per altri è lo stesso. Tutti dicono che torneranno qui dopo aver concluso gli studi, per costruire il loro sogno, ma molti non lo faranno. Per quanto reputino utile vivere in una riserva etnica, come molti adolescenti idealisti, finiranno per lavorare nelle grandi città, farsi nuovi amici, e andare avanti. “La cultura afrikaans sta scomparendo,” si lamenta un ventenne dalle guance rosse e con la riga in mezzo. “Una volta c'erano tanti programmi in afrikaans. Ora praticamente non ce sono, e nemmeno i cartelli stradali sono scritti in afrikaans.”

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“Se i miei figli provano a tornare qui, li ammazzo” dice il proprietario del locale mentre versa un altro cuba libre. “Non c'è nulla per loro. È un bel posto per crescere i bambini, ma poi devono uscire nel mondo e farsi una vita da soli.”

Fuori, in veranda, sotto le tende blu che riparano dal sole ancora caldo della sera, incontriamo Geoff, che si fuma una sigaretta. “Niente foto, per favore,” ci sorride. Geoff è razzista. “Tutti quelli che si trasferiscono qui e poi dicono di non essere razzisti sono dei bugiardi. Io sono razzista.” All'inizio la sua schiettezza fa quasi piacere, finché non inizia a ripetere “kaffir” e a raccontare quanto è stato facile corrompere un vigile nero. Geoff ha 70 anni ed è un ex poliziotto. Ai bei vecchi tempi stava per le strade, a reprimere le rivolte. Immaginatevelo come la versione pensionata di Verkram ne La mischia di Tom Sharpe—felicemente sadico, ipocrita ma candido. Mentre si dilunga nelle sue teorie, il proprietario del locale alza il volume di Lil' Wayne alla radio per coprire la sua voce. “Non prenderlo sul serio,” bisbiglia mentre Geoff se ne va. “Per favore. Non rappresenta il pensiero di tutti.”

Sul retro del locale incontriamo la donna dell'autolavaggio. “Mi piace stare qui”, dichiara, prima di lanciarsi in una lunga e complicata storia sulla sua fuga da un gruppo di gangster nigeriani, iniziata dopo che aveva scoperto una truffa con le carte di credito mentre lavorava come guardia a Durban. “Tutti abbiamo le nostre ragioni…” È un posto razzista? “No comment,” fa una smorfia benevola.

“Be' penso che le persone vogliano vivere con i propri simili. È naturale, no?” afferma la signora Jooste. È la vedova di Chris Jooste, un altro dei padri fondatori di Orania un tempo a capo del South African Bureau For Racial Affairs. La donna è brusca nelle risposte, come se si stesse rivolgendo a un ragazzino stupido e pigro. Dietro le sue spalle la direttrice del giornale locale ci osserva con occhi di falco. Dopo si avvicina e ci dice un sacco di frasi che cominciano con “Quello che credo che Mevrou Jooste stesse cercando di dire era in realtà…”

Se si hanno determinate inclinazioni ideologiche, probabilmente Orania è un bel posto in cui vivere. L'atmosfera è molto cordiale. È anche uno dei posti più noiosi e inutili del Creato. E le due cose sono collegate. Il fatto è che la visione di Orania della cultura e della storia afrikaner è irrimediabilmente stucchevole, come lo era l'ideale nazionalista tedesco della cultura folkloristica. È qualcosa di artificioso, ritoccato e decorato goffamente.

Ce la faranno? È improbabile. Sono già stati superati. Grazie alla costruzione di caseggiati chiusi da cancelli, il Volkstaat è stato costruito altrove, in maniera più socialmente accettabile. I caseggiati pian piano si uniscono per formare un arcipelago di isolati bianchi e sicuri. I Boshoff però, come ricordano sempre, pensano a lungo termine. A lungo termine alla maniera di Israele. Un secolo, un secolo e mezzo. Si vede dal modo in cui hanno sistemato le tombe nel cimitero. Per ora ce ne sono poche, ma sono disposte in modo che in futuro formino un grande e grazioso cerchio, in linea con la società dei loro sogni, dalla culla alla tomba. Ma prima dovranno seppellire ancora tante persone. Auguri.