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Abbiamo chiesto agli abitanti dei Parioli se sono pronti per i centri d'accoglienza

A Roma apriranno nuove strutture d'accoglienza anche nei municipi del centro. Ci chiedevamo se gli abitanti dei Parioli fossero a conoscenza della loro sorte, così siamo andati a domandarlo direttamente a loro.

Foto di Niccolò Berretta. Le foto sono state scattate in giorni diversi rispetto alla gita degli autori.

Vi ricordate di quando vi parlammo della "nostra" Torpignattara nei giorni di Torpigna is Burning? È passato qualche mese, e allʼepoca il quartiere-simbolo della Roma multietnica veniva squassato da proteste e poco limpidi "comitati antidegrado" il cui messaggio ultimo, a volerlo ridurre ai minimi termini era: basta monnezza e soprattutto basta immigrati. "Il Comune dovrebbe pensà a ripartirli pe' tutto il territorio de Roma," ebbe a dirci una pasionaria di zona: "Un tot di negri in proporzione, diciamo un certo numero per ogni quartiere. Sennò poi qui so' troppi e ai Parioli so' troppo pochi."

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Devono averla ascoltata anche a Tor Sapienza, dove di lì a qualche settimana sarebbe esploso il caso del centro di prima accoglienza di viale Giorgio Morandi: "Qui non siamo razzisti, ma perché i rifugiati non li mandano mai ai Parioli?", si chiede ad esempio un video. E quando è arrivata la notizia che alcuni migranti già residenti (o meglio reclusi) al centro di Tor Sapienza sarebbero stati spostati allʼInfernetto, identico è echeggiato il ritornello: "Perché questi disperati non li portano ai Parioli?"

Fatto ancor più significativo, all'epoca era stato lo stesso sindaco Marino a suggerire la soluzione-Parioli per gli "oltre 7.400 tra rifugiati e richiedenti asilo," almeno a parole. Oggi, a qualche mese di distanza, quell'opzione potrebbe diventare realtà: la prefettura di Roma ha infatti pubblicato un bando di gara per l'apertura di nuovi centri d'accoglienza nei municipi del centro—inclusi i Parioli—con l'obiettivo di garantire "l'equilibrata distribuzione degli ospiti su tutto il territorio provinciale" ed "evitare impatti eccessivamente problematici sul tessuto sociale."

A noi intanto è rimasto il dubbio: gli abitanti di Parioli sono consci della solerte attenzione a loro dedicata dalla Roma borgatara e ai nuovi "piani di accoglienza"? Come lo vedono un centro di prima accoglienza dalle parti di piazza Euclide? Ma soprattutto: cosa sono veramente i Parioli?

Costretti dagli eventi abbiamo deciso di andare a vedere. Da dove abitiamo non sono nemmeno dieci chilometri, ma la sola idea di un viaggio da quelle parti ci richiede lo stesso sforzo di preparazione di una traversata transoceanica.

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Perché ecco, questi benedetti Parioli, il quartiere della Capitale a cui per convenzione vengono associati tutti i pregi, le virtù e gli abissi morali di quella cosa informe chiamata Roma-Bene, sono per chi vi scrive più una landa mitica che un toponimo su Google Maps. Da bravi abitanti di Torpigna il cui mondo si arresta allʼinvalicabile limes di Ponte Casilino, non sappiamo nemmeno bene dove si trovino.

Quando chiediamo in giro indirizzi e dritte il più possibile precise, rimediamo perlopiù sguardi perplessi ed espressioni corrucciate: cʼè chi ci assicura che i Parioli stiano su via Nomentana, chi i pariolini li ha visti allʼEur, chi ci consiglia di studiare prima i classici, tipo qualche vecchio numero della fantomatica rivista Parioli Pocket.

Insomma, è chiaro che se proprio vogliamo andare a ficcare il naso da quelle parti, non sarà una semplice gitarella a Roma Nord: sarà una missione etnoantropologica vera e propria.

Sappiamo comunque che da Roma Est parte un tram, il 19, che qualche visionario testimone ci assicura sbuchi proprio da quelle parti, una specie di carovana interclassista che lentamente macina chilometri su chilometri per collegare la borgatarissima Centocelle alla altezzosa piazza Ungheria. Muniti di biglietto perché il viaggio è lungo e il rischio controllori alto, saliamo sullʼaffollato convoglio in un grigio pomeriggio.

Quando, dopo un tempo che ci appare interminabile, scendiamo finalmente alla fermata designata, subito si respira un'altra aria, forse la stessa che Colombo respirò arrivato per la prima volta in America. Solo che Colombo credeva di essere sbarcato in Cina, e anche noi in effetti abbiamo clamorosamente toppato meta: quando al primo che passa chiediamo "ehi, come va qui a Parioli?", quello ci risponde che stiamo a malapena oltre via Tagliamento, praticamente Quartiere Coppedè. Insomma ci tocca risalire sul tram e scendere qualche fermata oltre.

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Dopo momenti di inenarrabile confusione, arriviamo infine alla destinazione giusta (lo capiamo perché la targa sul muro dice "Viale Parioli"), e un poʼ a sorpresa veniamo colpiti dallʼatmosfera di pacifica convivenza multietnica del quartiere. Sul serio, è roba che fa impallidire il nostro famigerato Casilino-Prenestino, che pure dovrebbe essere lʼangolo più meticcio di Roma: per dire, ovunque ci giriamo notiamo mamme filippine che portano a spasso i loro teneri bimbi, che però, in uno spiazzante miscuglio di geni, sono tutti biondi e con gli occhi azzurri. In realtà, quelle che spingono i passeggini sono semplici baby sitter.

Un posto che però restituisce sul serio il respiro internazionale dellʼarea, è la palestra che si chiama Hard Candy, come il disco di Madonna. Entriamo e ci spiegano che è la palestra di Madonna. Il posto è una specie di opera dʼarte concettuale sul fitness che non dispiacerebbe a Jeff Koons, e le receptionist sono sorridenti e professionali; purtroppo quando chiediamo che tipo di clientela frequenti il posto, ci rispondono che sono informazioni riservate.

Giusto accanto a Hard Candy cʼè anche la LUISS. Ci intratteniamo con delle studentesse fresche di esame per saggiare più da vicino gli umori del quartiere, e quelle ci chiedono che facciamo da quelle parti. Non sapendo che inventarci, rispondiamo che da mesi in zona da noi non si parla dʼaltro, e che i Parioli sono ormai un tema caldo: "Cʼè stato tutto un casino," raccontiamo noi, "un casino con gli immigrati. Cʼè chi propone di trasferirli in massa da voi, e quindi siamo venuti a vedere come si troveranno dopo Tor Sapienza. Avete presente Tor Sapienza?" Ne hanno sentito parlare, rispondono loro.

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Ci dicono comunque che non credono che ai Parioli sorgerà mai un luogo del genere. Per la particolare conformazione morfologica della zona?, chiediamo noi. No, perché gli abitanti "non lo permetterebbero in alcun modo." Però se vogliamo parlare di integrazione, possiamo parlare della LUISS: "qui gli studenti sono seguiti benissimo e messi a loro agio." Appuntiamo doverosamente sui nostri taccuini: finora, è la notizia più succosa che abbiamo rimediato.

Finora, dunque, abbiamo visto che le strade portano bei nomi—via Mafalda di Savoia, per esempio. Volete mettere con, chessò, via Campobasso?—e le case, sia quelle di inizio Novecento che quelle in stile moderno, tradiscono sempre una certa diafana armonia. Le strade sono pulite e ben curate, in giro cʼè poca gente perché è chiaro che stanno tutti a lavorare, non come da noi, che è tutta ʼna caciara.

Però ecco, non vorremmo che il nostro sguardo fosse viziato dal tipico pregiudizio in positivo del forestiero. Forse Parioli non è quel paradiso che ci appare mentre studiamo le volte in stile imperiale di una palazzina anni Venti. Forse cʼè un lato nascosto. Forse anche Parioli is burning. La conferma ci arriva quando arriviamo a piazza delle Muse, dove, secondo nostri informatori, si troverebbe un bar che funziona come frequentato ritrovo dei giovani di zona.

Purtroppo quando nel più irreale silenzio raggiungiamo il suddetto bar, è tutto deserto. Decidiamo comunque di prenderci un caffè e fare quattro chiacchiere con il gestore del bar. Come lo vede un centro immigrati al parchetto davanti? "Ma che scherziamo? Come minimo je menano." Gli chiediamo che aria tira in zona, e lui avvalora quello che allʼinizio era solo un vago sospetto: Parioli non è il paradiso. Parioli è lʼinferno. Un posto de-gra-da-to, nientemeno. Altro che Tor Sapienza. Un esempio? Il parcheggio che hanno costruito lì sotto: non ha mai funzionato.

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Ci sembra un poʼ poco, ma è solo lʼinizio: la conferma definitiva sul disastroso stato in cui versa la zona, arriva da una coppia di signori di mezza età che incontriamo a via Eleonora Duse. Secondo i due, Parioli è semplicemente uno schifo. Cʼè sporcizia, cʼè degrado, il quartiere è abbandonato a se stesso, dove sono le istituzioni? "Lo vedete voi, in che condizioni stiamo."

Il degrado dei Parioli.

Noi spontaneamente volgiamo lo sguardo agli alberi in fiore, i marciapiedi piastrellati e lindi, e le amene facciate dei villini con giardino, ma loro ci indicano un non meglio identificato punto in lontananza, che sulle prime non riusciamo a decifrare. "Guardate lì." Lì dove? "Lì, per la miseria!" Alla fine capiamo: a circa un centinaio di metri di distanza, cʼè un cassonetto. Hanno rubato gli altri? "Macché, non lo vedete che è pieno?" E poi le strade: foglie di alberi ovunque. Uno pensa che Parioli sia un idillio borghese dove il clima è sempre mite, e invece… Foglie di alberi sui marciapiedi. È praticamente una pattumiera a cielo aperto.

Una buona regola di ogni indagine etnoantropologica che si rispetti, è quella di non applicare i criteri della propria cultura a tradizioni che con quella cultura non hanno nulla a che vedere. Quindi figuriamoci se ci mettiamo a raccontare ai due che da dove veniamo i marciapiedi a volte manco ci stanno, e che i cassonetti vengono intasati da materassi, frigoriferi, lavatrici e divani.

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Dopo aver preso un gelato facciamo la conoscenza di tre ragazzi piazzati davanti a un centro scommesse. Loro a Parioli si trovano bene, ma è vero che è tutto uno schifo: i furti sono numerosi, il quartiere di notte diventa una terra di nessuno, crocevia di malviventi e pocodibuono, praticamente l'altra faccia della luna.

Ci chiedono da dove veniamo, e noi rispondiamo "Casilina". Non capiscono. "Roma Est." Niente. "Pigneto, perdio." Ancora nulla. Proviamo con "Tor Sapienza": mezzo telegiornale lʼavranno visto, no? "Ah sì, è quel posto che sta fuori Roma, giusto?" Ma quale fuori Roma, è addirittura dentro il Raccordo Anulare. "Ma come, non è dove ci stanno gli zingari?" Forse intendevano il centro immigrati? "Zingari, immigrati, non sono la stessa cosa?" Voi un centro immigrati a Parioli come lo vedreste? "No, noi gli zingari da ʼste parti non ce li vogliamo". Li abbandoniamo portandoci appresso un pesantissimo senso di disagio, oltre che le coppette di gelato ormai vuote (che non sappiamo dove buttare: di cassonetti non ce ne sono).

Piazza Euclide.

Nelle mitografie parioline, cʼè in ogni caso un posto che sembra ricorrere con una certa insistenza: il bar di piazza Euclide. Da quel che capiamo, è dove il giovane pariolino medio si rifugia, dove fa branco, dove va a divertirsi, ed è quindi dove puntiamo nella speranza di unʼautentica full immersion in quel mondo i cui protagonisti portano tutti camicie Ralph Lauren e scarpe Hogan.

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Oltretutto siamo ormai in orario-aperitivo, ci sembra il momento giusto: ovviamente però, quando arriviamo in loco, anche questo bar è drammaticamente vuoto. Scopriremo più tardi che era il bar sbagliato (quello giusto era sullʼaltro lato della piazza), ma sul momento quello che possiamo fare è chiedere ragguagli agli unici ragazzi che troviamo seduti a un tavolo. Sono tre diciottenni che si affrettano a mettere in chiaro che loro non sono veramente dei Parioli: ci passano giusto il pomeriggio e hanno frequentato un liceo di zona, ma riescono comunque a fornirci un ritratto da manuale della fauna locale. Il pariolino secondo loro è:

ricco
stronzo

Fine dellʼaffresco sociologico. Ma come si divertono questi fantomatici pariolini, che fanno? Giocano a palla al parcheggio qui davanti, rispondono i tre. Ogni tanto passano la notte nei locali di via Veneto. Oppure se ne vanno al mercato di viale Parioli, dove di sera cʼè una specie di pub/beershop che vende birre artigianali. È la dritta che aspettavamo.

Quando arriviamo allo stilosissimo beershop ricavato dentro il mercato, troviamo finalmente quello su cui tanto avevamo fantasticato: dei sani rappresentanti della popolazione indigena in età compresa tra i 18 e i 30 anni. Pariolini doc, si intende.

Dopo aver rimediato un paio di poco gentili epiteti da giovani dallʼaria sprezzante che evidentemente hanno subodorato le nostre origini deʼ periferia, riusciamo infine ad agganciare un ragazzo la cui felpa ha subito conquistato la nostra attenzione: Imperivm Roma, cʼè scritto sopra. Avrà sui 25 anni e porta stampata sul volto quella tipica espressione altera e annoiata che pare di rito a queste latitudini.

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Il suo accento è pura Roma Nord: è difficile da descrivere, diciamo che è un italiano più o meno forbito e dalla cadenza vagamente stanca, con solo poche sfumature di romanesco e le parole che si allungano sul finale in una specie di vezzo blasé. Quando gli chiediamo se davvero Parioli è in preda al più dissoluto degrado, risponde secco: "Sì." Un esempio? "Rispetto al passato ci sono più persone coi tatuaggi."

È una risposta illuminante: da quel che capiamo, il degrado pariolino non è tanto faccenda di cassonetti pieni e buche per le strade; è più una decadenza morale: "I pariolini di adesso, tendono a imitare i borgatari. Sono affascinati dalla figura del coatto. Alcuni atteggiamenti sarebbero stati inaccettabili solo pochi anni fa."

Lo spaccato che ci dipinge il ragazzo dalla felpa Imperivm, è affascinante: "Il pariolino è unʼaltra cosa, non può contaminarsi con elementi estranei, soprattutto se di periferia. Parioli è un mondo a parte: il pariolino non si veste semplicemente in un certo modo; il pariolino si sente in un certo modo. Questi ragazzi di buona famiglia che si tatuano, è come se ne tradissero lo spirito. E la conseguenza è stata che lo stesso quartiere, è stato infine invaso dai coatti."

Il tradimento del pariolino che si lascia contaminare dal fascino della borgata, avrebbe insomma alterato lʼidentità più intima del quartiere: "Oggi in zona ci abitano persino alcune famiglie di origine borgatara. Magari hanno fatto i soldi, e pensano che venire a Parioli sia come uno status. Questo una volta non sarebbe mai successo. Non lʼavrebbero permesso." Un poʼ come con un moderno centro immigrati.

Da come parla, il nostro interlocutore sembra non tradire alcun rimpianto per il declino del quartiere, o per meglio dire dei suoi abitanti. La sua è unʼanalisi "a freddo", obiettiva, non compromessa da sentimenti di sorta. Si esprime con tono piano e distaccato, ed è come se quel mondo di cui pure è esponente-tipo, lo osservasse dal di fuori, da lontano. Come se insomma, il mito-Parioli fosse già faccenda da libri di storia.

Quando è ora di riprendere il 19 in direzione Roma Est, ci sentiamo come scampati a unʼesperienza troppo altra per essere digerita nel breve volgere di una giornata. Questa landa mitica chiamata Parioli esiste, e a seconda dei punti di vista può essere sia un posto molto bello che un posto molto brutto: da una parte, ha comunque conservato la composta eleganza del quartiere-bene; dallʼaltra, è come se le sue strade trasudassero una specie di malattia, di nevrosi, di malessere al tempo stesso umano, psicologico e… beʼ, sociale, sebbene del genere Anche i ricchi piangono.

O forse siamo noi che siamo troppo impressionabili. Quello che sappiamo, è che solo quando in lontananza intravediamo le familiari, titaniche forme del tratto soprelevato della tangenziale Est, ci sentiamo finalmente al sicuro.

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