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Paris Hilton alla Mecca

Il nuovo negozio saudita di Paris Hilton non è un insulto alla città santa dell'Islam. La Mecca brulica di stronzi da tempo immemore, e se i musulmani cercano un'esperienza di pace e purezza farebbero meglio ad andare in vacanza o fumare erba.

Sono anni ormai che la gente si lamenta di come il governo saudita stia rovinando La Mecca: grazie al consumismo galoppante, l’antica città è invasa da hotel di lusso, un’orribile torre dell’orologio che incombe sulla Ka’ba e numerosi centri commerciali e bagni pubblici, eretti su siti che un tempo ospitavano luoghi sacri. L’ultima novità è che l’impero della moda di Paris Hilton vi ha aperto un negozio, e i musulmani di tutto il mondo sono disgustati per l’evidente avvelenamento della nostra Città Santa.

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Ci sono un sacco di ragioni per disprezzare la custodia saudita della Mecca. Il governo sunnita, sostenuto da squadroni di polizia composti di adolescenti smagriti in divise cachi, opprime qualunque tradizione islamica che esuli dalla sua approvazione, incluso non soltanto lo Sciismo ma anche molte pratiche sunnite. La Città Santa non è un bastione dell’uguaglianza tra i generi, e lo sviluppo costante ha soltanto aggravato le sue disuguaglianze economiche. Per i poveri pellegrini che hanno risparmiato tutta la vita per fare il pellegrinaggio, è impossibile trovare una sistemazione in un luogo qualsiasi nei dintorni della Sacra Moschea.

Sostengo completamente gli sforzi atti a rendere La Mecca una città santa realmente di pace e di giustizia; questa lotta corrisponde all’impegno del pellegrinaggio (lo hajj), ai nostri stessi sforzi per perfezionare il carattere e per fare del bene nel mondo. Il mio problema è quando la gente incasella la sua avversione per l'attuale gestione saudita della Mecca nell'invocazione a ricreare un passato più giusto, un ritorno a un’immaginaria innocenza che la città avrebbe perso nel ventesimo secolo. Mi spiace, ma quell’innocenza non è mai esistita. A parte la Ka’ba, La Mecca è una città come le altre. Le persone che ne percorrono le strade—i pellegrini, le autorità, e la gente comune che semplicemente ci vive—non sono mai state altro che persone. Qualunque marciume troviate in qualsiasi altro posto del mondo esiste anche qui. Non è un’invenzione dello Wahhabismo. Molto prima dell’Islam e per tutta la sua storia, La Mecca ha sempre ospitato poteri ingiusti, povertà, invidia, razzismo, sessismo e intolleranza. Paris Hilton non porta nulla di nuovo in città.

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Non lo dico per denigrare l’Islam. Per me, lo schifo umano della Mecca è il valore stesso dello hajj. Prima di andare in pellegrinaggio nel 2008, il consiglio migliore che abbia ricevuto è stato di ricordare che, per quanto scontrosa potesse essere la gente di lì nei miei confronti, il Profeta aveva subito un trattamento di certo peggiore. Parliamo della città in cui la gente ha tirato intestini di cammello in testa a Maometto; come posso piangere la sua innocenza perduta per un Burger King?

Ho provato a ricordarmelo quando sono entrato in contatto con tutti gli stronzi che hanno punteggiato il mio pellegrinaggio. Sono stato costretto ad avere a che fare con la polizia religiosa che mi urlava contro per le mie pratiche improprie, con altri pellegrini che mi dicevano che sarei andato all’inferno per le mie innovazioni eretiche, e con gente che mi spingeva e calpestava durante le cerimonie rituali. Ho incontrato fautori della supremazia araba che credevano di possedere l’Islam per diritto di nascita, ricchi arroganti, e normali stronzi egoisti che erano gli stessi stronzi egoisti che avrei incontrato in qualunque altra trappola per turisti. Ma il peggior stronzo di tutti alla Mecca ero io, e l’ho capito ad ogni passo. Ero uno stronzo per la mia mancanza di pazienza, la mia irritabilità, i miei stessi pregiudizi, e le mie arroganti convinzioni su ciò che rende “buona” una religione. Ho fallito ripetutamente nel trattare in modo giusto le persone difficili intorno a me. Fortunatamente, quegli stessi fallimenti mi hanno insegnato molto su me stesso.

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Uno dei significati della radice araba di hajj è “superare, confutare.” Lo hajj serve quale sfida contro di sé, e io stesso durante il pellegrinaggio ho avuto un sacco di opportunità di vedere quanto difficile possa diventare. Sono convinto che La Mecca possa essere migliore, e che i musulmani dovrebbero impegnarsi per migliorarla; ma è quella lotta senza fine che rende lo hajj ciò che è.

Sono arrivato alla Mecca da una città americana tutt'altro che perfetta. Come La Mecca, è profondamente umana e di conseguenza piena di stronzi. Quando i musulmani di quella città si sono lamentati di Paris Hilton che apre un negozio alla Mecca, mi sono fatto delle domande sui contenuti della loro vita di tutti i giorni: le trasmissioni che guardano, le canzoni sui loro iPod, i negozi in cui fanno acquisti, i ristoranti in cui vanno a mangiare, le attività sulle loro bacheche di Facebook. Quanto sono pure le loro culture locali da far sì che possano preoccuparsi della purezza di una città che vedranno probabilmente una sola volta prima di morire?

Quando i pellegrini sperano che La Mecca abbia un’innocenza che non può esistere nella loro vita reale, è perché c'è qualcosa che non capiscono. Se cercate un momento magico in cui trovare la pace completa e fuggire temporaneamente dall’orribile merda di questo mondo, dimenticatevi dello hajj, perché quello che volete è una vacanza. Sul serio, andate in crociera. O state a casa e spendete i vostri soldi in erba, perché l’esperienza che andate cercando è più vicina al semplice sballarvi per tre settimane.

Il pellegrinaggio per come avviene davvero, con milioni di esseri umani imperfetti che sgomitano gli uni con gli altri, è uno scontro con la dura realtà; altrimenti, non c’è nulla da confutare. Siate grati del fatto che la Città Santa è governata da cazzoni intolleranti e avidi, perché saranno un perfetto specchio di voi stessi e rappresenteranno un valido avversario. Misuriamo noi stessi attraverso quello che facciamo della Mecca che ci viene data, La Mecca che noi stessi ci diamo.

Benvenuta alla Mecca, Paris. Questa è casa tua.