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Diamoci una calmata su Pasolini

Lo scorso due novembre è stato il 40esimo anniversario della morte di Pier Paolo Pasolini, e tutti abbiamo ricordato, condiviso articoli, preso posizione, rivisto la nostra posizione o osservato gli altri farlo.

Lo scorso due novembre è stato il 40esimo anniversario della morte di Pier Paolo Pasolini. Ma di certo lo sapete già, e non (solo) perché lo avete studiato all'università o apprezzate la sua opera o semplicemente perché siete italiani. Lo sapete perché online non si parlava d'altro, e praticamente tutti abbiamo ricordato, condiviso articoli, preso posizione, rivisto la nostra posizione o osservato gli altri farlo.

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Il culmine si è raggiunto qualche ora fa, quando il regista Gabriele Muccino ha scritto un post su Facebook in cui criticava Pasolini, definendolo un "non regista che usava la macchina da presa in modo amatoriale" e praticamente arrivando a imputare al suo eclettismo il declino del cinema italiano. Un'uscita infelice fatta nel modo, nel tempo e nel luogo sbagliati, che ha causato una valanga di commenti, critiche, insulti e addirittura segnalazioni che hanno portato alla sospensione per 24 ore della pagina Facebook di Muccino.

Ma lasciando perdere quel che Muccino può pensare di Pasolini e del cinema di Pasolini o quel che possiamo pensare di Muccino come regista, può avere senso ragionare a mente fredda e lucida sul caos di polemiche e opposti estremismi che negli ultimi giorni ha avvolto questo anniversario. Pasolini è stato una figura colossale della storia culturale italiana dell'ultimo secolo, e su questo credo non ci siano dubbi. Ma il fatto che a distanza di 40 anni possa scatenare un dibattito del genere—sia che lo si celebri sia che si dica che dobbiamo dimenticarlo—è qualcosa che va affrontato.

Anche perché i rischi, al di là delle opinioni, sono l'appropriazione e i continui tentativi di appiattire la figura di Pasolini, di depotenziarla e di trasformarla in un'icona buona un po' per tutti, una specie di supporto culturale in grado di nobilitare qualsiasi narrazione e retorica.

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Non è un mistero che Pasolini abbia subito da sempre questo trattamento. In generale viene letto poco e citato molto, perché il suo essere sempre stato imprevedibile fa sì che le sue opere, decontestualizzate, si prestino un po' a ogni scopo. C'è il Pasolini anarchico, quello comunista, quello reazionario, quello che sta con la polizia, quello che va con i ragazzini, quello che sa ma non ha le prove. Praticamente anche tutte le narrazioni e le retoriche che in vita Pasolini non avrebbe probabilmente mai approvato né avvallato oggi hanno una versione di Pasolini a cui rifarsi.

Per questo motivo le celebrazioni insistite della sua figura mi sembrano quasi sempre profondamente inautentiche—prima bisognerebbe chiarire una volta per tutte chi e cosa si sta celebrando, altrimenti diventa un'auto-celebrazione di una retorica per la quale Pasolini è soltanto un pretesto.

Allo stesso tempo, tuttavia, la tendenza a negare in modo netto e quasi scocciato ogni importanza alla sua figura è altrettanto improduttiva. È un po' come Breat Easton Ellis che insulta David Foster Wallace perché non sopporta l'aura di culto che gli si è sviluppata intorno dopo la morte. Solo che anche in quel caso a fare la figura dello stupido è Ellis, non il fan club di Foster Wallace.

L'unica cosa che questi due modi di reagire all'ingombro causato dalla figura di Pasolini hanno in comune, forse, è che entrambi testimoniano la difficoltà della cultura italiana di creare nuove icone. Il punto non è essere pro o contro Pasolini, non è volerlo dimenticare o ricordare a tutti i costi, ma è riuscire a metterlo in prospettiva. Un'operazione che per qualche motivo non siamo più in grado di fare, ma che è uno dei motivi per cui ha potuto esistere uno come Pasolini.

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In un certo senso infatti tutto questo dibattito non aiuta nemmeno a conoscerlo, dato che le continue polemiche sulla sua figura fanno ombra alla sua produzione, che viene letta sempre meno e finisce per diventare una specie di propaggine inutile di un organismo dotato di un altro significato e altre funzioni.

Fino a rendere possibili tweet come questo:

via Twitter

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