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Caro Gramellini, adesso basta però

Ogni mattina Gramellini raccoglie un po' di attualità e la trasforma in opinioni in 22 righe—molto spesso oggetto di critiche.
Gramellini

Dopo le polemiche sul Caffè di Gramellini su Silvia Romano, la giovane cooperante rapita in Kenya [e che esordisce con "Ha ragione chi pensa, dice o scrive che la giovane cooperante milanese rapita in Kenya da una banda di somali avrebbe potuto soddisfare le sue smanie d’altruismo in qualche mensa nostrana"], riproponiamo questa nostra analisi del 2016.

Come ormai accade troppo spesso, negli ultimi giorni la mia bacheca è stata letteralmente invasa da uno degli ultimi "Buongiorno" di Gramellini. Il tutto è stato accompagnato da reazioni equamente divise: c'era chi criticava lo scritto, e chi adesso non è più tra i miei amici di Facebook.

Il tema di questo particolare scritto del vice-direttore della Stampa era quello dei "musulmani non integralisti," ai quali indirizzava una sorta di lettera aperta in cui chiedeva di prendere apertamente le distanze dalla strage di Nizza. Si tratta di un'argomentazione ampiamente discussa, alla quale vengono fatte periodiche critiche e rimostranze, e che i politici e gli opinionisti di varia estrazione riversano con fare accusatorio su tutti i musulmani ogni volta che c'è un attentato di matrice islamica. Ma Gramellini è diverso dai vari Feltri e Belpietro; e per questo, nel titolo compare l'espressione conciliante "Caro musulmano, i tuoi fratelli adesso siamo noi." Eppure in tutto il pezzo sono disseminati inopinati paragoni con il terrorismo di estrema sinistra degli anni Settanta in Italia—incluso il riferimento al sindacalista Guido Rossa, ucciso dalla Brigate Rosse—e continue contrapposizioni tra "noi" e "tu" (cioè "loro," i musulmani). L'evidente tentativo è quello di intercettare il pensiero comune, e per questo Gramellini chiede che "nella tua moschea si parli la lingua che a scuola parlano i tuoi figli: francese in Francia, italiano in Italia," perché alla fine "l'Occidente ti ha accolto" e "ora sei uno di noi." Non vado oltre: mi limito solo a registrare che, di fronte a questo concentrato di banalità, era inevitabile che i destinatari dell'appello non la prendessero troppo bene. E infatti la critica più condivisa è arrivata proprio da una giornalista italiana e musulmana che, in un articolo, ha respinto "l'abbraccio" di Gramellini e l'ha accusato di aver definitivamente "oltrepassato quel confine sottile che separa il populismo dall'islamofobia." Ma questo sui "fratelli musulmani" è solo l'ultimo di una serie di articoli criticabili che dal 1999 Gramellini firma [prima sulla Stampa, poi sul Corriere]. Con gli anni, l'importanza del Buongiorno gramelliniano è incrementata fino a essere al centro di raccolte, come "una tazzina di parole"—ossia una rubrica che "racconti i fatti della vita, cercando di trarne qualche significato in 22 righe, il tempo necessario a bere un caffè: a detta del barista questa confezione raccoglie il meglio dei suoi aromi." Con l'esplosione definitiva di Gramellini—divenuto poi opinionista di punta di Che Tempo Che Fa e scrittore di due romanzi, il secondo dei quali il più venduto del 2012—questa ricerca del significato in ogni evento della vita si è fatta più disperata e trasversale: ogni avvenimento è un pretesto per parlare di macrotemi sui quali Gramellini sembra spesso non avere una competenza concreta, ma solo un'idea vaga. Qualche giorno fa per esempio era girato parecchio il Buongiorno sulla storia dello stipendio cinese di Graziano Pellè. L'articolo in questione parte con un attacco celato dietro della presunta ironia arguta: "Graziano Pellè, il rigorista azzurro che come un banchiere di Siena millantava di fare il cucchiaio ai tedeschi e ha finito per scavarci la fossa, andrà a fare cucchiaini in Cina per la modica cifra di un milione e duecentomila euro al mese." Dopo aver introdotto il personaggio, Gramellini si lancia in un discorso da banco del mercato in cui si lamenta del mondo che, ahinoi, va a rotoli—"Se uno fa notare che guadagnerà da solo come mille dipendenti di un call center, le cornacchie del turbocapitalismo starnazzano: è il mercato! è il mercato!"—per poi concludere infilando un'irresistbile parodia del titolo della sua rubrica—"Buongiolno"—e una modesta proposta per mettere Pellé al suo posto—cioè "in cucina a lucidare cucchiai." Nei Buongiorno, però, non c'è solo la negatività. Come ha scritto nella quarta di copertina della prima raccolta, oltre a piangere si ride e si inizia anche a sperare nel futuro. Nasce con questo intento, probabilmente, un altro dei post più recenti di Gramellini: quello sulle donazioni di sangue in Puglia, all'indomani del disastro ferroviario. Questa volta l'editorialista prende in esame i giovani, che descrive come vessati da una società che non li comprende, e che anzi li frustra e li condanna a una vita di sofferenze e ingiustizie. I giovani—che solo qualche anno fa Gramellini descriveva come fannulloni che non si applicavano per diventare panettieri—hanno però il coraggio di guardare avanti e pensare agli altri. E così, dopo aver fatto gli esami (perché estremamente ligi), corrono a donare il sangue e rispettano file che mai da nessun'altra parte avrebbero rispettato, solo per il gusto di aiutare gli altri. Alla fine Gramellini arriva persino a individuare il male che aveva afflitto la generazione precedente—quella della "lesa speranza," qualsiasi cosa questa espressione voglia dire. Sempre per restare sulla speranza, diversi Buongiorno sono dedicati alle storie strappalacrime, quelle che ti convincono che il mondo sia davvero un posto fantastico, in cui esistono persone come Valentino, il bambino puro, e il mendicante coscienzioso ma senza nome. Personalmente è uno dei miei preferiti: si parla di un "bambino precapitalista" che—noncurante del valore dei soldi—dà una banconota da 50 euro a un senzatetto, il quale però gliela restituisce perché non gli appartiene. Nel mezzo c'è spazio per un fugace sguardo al mondo negativo dell'adulto comune, che si precipita fuori a recuperare i soldi e pensa subito male di chi è meno fortunato di lui. Bellissimo, no? Ma anche andando indietro nel tempo, emerge in egual modo il Gramellini-pensiero. C'è, per esempio, un Buongiorno del 2014 nel quale Gramellini parla di una linea 69 di Borgaro Torinese, un comune nella provincia di Torino. In questo "sobborgo", "un sindaco di Renzi e un assessore di Vendola" hanno proposto di creare due tipi di tratte: una che porti dal centro al campo rom a uso esclusivo di chi nel campo rom ci vive, un'altra che faccia la tratta normale a uso esclusivo di chi nel campo rom non ci vive. Gramellini parla velocemente di apartheid e lascia intendere che la scelta possa non essere correttissima, ma nonostante ciò si guarda bene "dal demonizzarne le motivazioni." Tra le posizioni spacciate per scomode da Gramellini, ma che in realtà intercettano i sentimenti più di pancia di chi lo legge, c'è sicuramente anche il suo Buongiorno sul caso Matei, imbevuto di giustizialismo e populismo penale.

Gramellini parla di Doina Matei facendo leva sulle emozioni contrastanti che un caso del genere ha causato, chiedendosi se sia legittimo che una persona condannata per omicidio faccia sfoggio della sua felicità, stigmatizzando la sua assenza di sensibilità e concludendo con un pensiero che ogni volta che rileggo mi lascia sempre più basito: "Viene il sospetto che per lei la pena, oltre che breve, sia stata inutile." A proposito di emozioni, leggevo la traduzione di un articolo che parlava del fallimento del giornalismo del 2016, che non dà più notizie ma "vende emozioni." Ecco: Gramellini è da anni che segue religiosamente il diktat del "vendere emozioni"; e in un certo senso è sempre stato molto fedele alla sua linea—non c'è mai stato un "periodo d'oro" in cui Gramellini era meglio di adesso. Del resto, i suoi editoriali e le sue idee sono sempre state retrive, e il Buongiorno ha sempre rappresentato quella forma di opinionismo che ha ammorbato il giornalismo italiano dal dopoguerra in avanti—quel modo di piegare la realtà alle proprie sensazioni, sganciandola dai fatti, che anzi sono piegati a sostegno della tesi e mai viceversa. In pratica, è l'incarnazione del conservatorismo che si spaccia come progressismo o umanitarismo illuminati. Mentre la società e i mezzi d'informazione andavano avanti, l'obiettivo finale degli editoriali del vice-direttore della Stampa è rimasto immutato: semplificare fino all'esasperazione faccende che, nel frattempo, sono diventate sempre più complesse e difficili da spiegare. E per questo, il mio personale livello di esasperazione ha ampiamente surclassato quello dell'indignazione. Sul serio, non riesco nemmeno più a incazzarmi: chiedo solo di potermi svegliare una mattina senza dover incappare per forza di cose nella solita poltiglia pseudobuonista e reazionaria.

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