Perché non smetterò mai di prendere il Prozac

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salute mentale

Perché non smetterò mai di prendere il Prozac

Quando sei depresso non osi neanche andare in metro, per paura che ti verrà da buttarti sotto—e sai benissimo che sarebbe un atto del tutto egoista e che avrebbe un impatto orribile su tutti i presenti.

Nick Scott

È quando la gente fa domande che ti senti al massimo dell'impotenza. Della colpevolezza. Perché sei depresso? Cosa ti fa sentire così giù? Come se non ti sentissi già abbastanza male, devi razionalizzare, o comunque fornire una spiegazione soddisfacente della tua depressione.

Non è sorprendente che uno dei sintomi della depressione sia il disprezzo di sé. Ovvio che ti odi se non hai nessun motivo per sentirti così male. E sì, sapere che ci sono persone che muoiono di fame o che non hanno una casa—e quindi che avrebbero tutte le ragioni per essere miserabili—peggiora solo le cose. Sei straziato dalla tua autoindulgenza.

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Ma la depressione non ha proprio niente di autoindulgente. È semplicemente uno squilibrio chimico che ti fa sentire disperatamente triste e/o terrorizzato da tutto ciò che ti sta intorno. Non serve avere la nausea esistenziale. Non serve che gli eventi cospirino contro di te. Non serve perdere il lavoro—anche se ovviamente tutto ciò aiuta. Basta un intoppo del cervello. E quando c'è questo intoppo, la vita perde ogni parvenza di oggettività e ogni cosa smette di avere senso.

Così, per esempio, non riesci ad alzarti dal letto la mattina, e te ne stai avvolto nel piumone, al buio, per sempre. Oppure ti alzi e finisci per scoppiare in lacrime al supermercato, dal nulla. (Ho pianto per anni, ogni volta che io e la mia ragazza andavamo da Sainsbury's a fare la spesa il sabato mattina. Non so perché, anzi quel posto mi piace anche, comunque a un certo punto lei ha deciso che era più facile andare da sola). Oppure ti ritrovi a sfidare le auto, buttandoti in mezzo alle macchine per attraversare nella speranza che succeda il peggio. O non osi neanche andare in metro per paura che ti verrà da buttarti sotto—e sai benissimo che sarebbe un atto del tutto egoista e che avrebbe un impatto orribile su tutti i presenti.

Volevo provare sentimenti che riflettessero il mondo reale—essere contento perché succede qualcosa di bello, e triste perché succede qualcosa di brutto

O ancora hai paura di guardare le persone negli occhi, per paura di essere smascherato, anche se non sai esattamente che forma prenderebbe questo smascheramento—perché sei scemo, saccente, insensibile, ipersensibile, non ti piace qualcuno, non hai niente da dire, e così via. O sei così rinchiuso nel tuo mondo che finisci per non capire neanche le cose più semplici: qualcuno ti chiede l'ora e tu sei incapace di rispondere, perché l'unica cosa che senti nella testa è l'ago del metronomo che ticchetta da una parte all'altra, soffocando ogni altro pensiero.

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Un anno sono andato in vacanza in Grecia. Io e la mia ragazza non avevamo un soldo, e passavamo ogni ora del giorno e della notte su una spiaggia di nudisti, circondati da edonisti narcisisti. Ogni giorno speravo che piovesse. Non per avere una scusa per andare via dalla spiaggia, ma perché mi avrebbe dato un motivo per sentirmi di merda. "Abbiamo fatto tutta questa stada per vedere le bellezze della Grecia e ora diluvia. Che fregatura." E per tutta la mia vita adulta, questa è stata la mia ambizione: volevo provare sentimenti che riflettessero il mondo reale—essere contento perché succede qualcosa di bello, e triste perché succede qualcosa di brutto.

Ma è la maledizione del depresso, vedere negata questa richiesta apparentemente così semplice. A meno che non prenda delle pillole. Per tutta l'adolescenza e la giovane età adulta ho resistito agli antidepressivi. Probabilmente è così perché il dottore mi ha messo sotto antidepressivi quando avevo l'encefalite, e dopo quella volta non mi sono più fidato delle diagnosi degli esperti. Le pillole sono un segno di fallimento, pazzia, solo a un passo dall'elettroschockterapia e non troppo lontano neanche dalla lobotomia totale. Tutto tranne le pillole.

All'età di dieci anni mi portarono da una psichiatra dell'ospedale. Mi chiese di parlare di come mi sentivo e poi decise che avevo la sindome di Munchausen per procura, e non l'encefalite, e che era tutta colpa della mia povera mamma. Alla fine saltò fuori che lei—la psichiatra, non mia mamma—era completamente fuori di testa e che aveva l'abitudine di correre su e giù per l'ospedale, nuda, allo scoccare della mezzanotte.

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Qualche anno più tardi, in preda a una depressione genuina (molti sopravvissuti all'encefalite soffrono di depressione per una serie di motivi: perché il loro cervello è stato manomesso, perché rimangono con una disabilità oppure perché fanno fatica a continuare ad andare avanti dopo la malattia), sono andato da un altro psichiatra. Quanto gli piaceva sentirmi parlare di quello che mi faceva stare male, e come si sentiva perspicace quando mi suggeriva che la mia depressione aveva a che fare con quello che avevo passato! Io non sapevo che cosa ci facessi lì, ad ascoltare un uomo che si sorbiva tutta la mia storia di vita per poi giungere a una conclusione che già conoscevo. Non volevo comprensione o compassione, volevo aiuto. E a parte questo, lo psichiatra era un tipo strano—uno abbastanza simpatico, ma molto strano. Dovevo starmene lì seduto nella stanza con tutte le finestre aperte, perché il suo stomaco era stato talmente rovinato dall'operazione che piritava per l'intera durata di ognuna delle nostre sessioni.

Poco dopo, provai di nuovo le pillole. Mi rendevano catatonico. Pillole per zombie. Mentre prima volevo semplicemente dormire tutto il giorno, ora non avevo scelta. Di certo se sei così rincoglionito non ti senti malissimo, ma che vita è? Ho smesso di prenderle.

Il cambiamento fu incredibile. Non divenni una di quelle persone felici e solari di cui cantavano i REM, ma smisi di piangere ogni due minuti

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Per i dieci anni successivi sono sopravvissuto senza pillole né psichiatri. Piangevo tutti i giorni, mi avvolgevo nel piumone e andavo avanti. Nella mia vita tutto andava bene—avevo il lavoro dei sogni al Guardian, una partner fantastica, figli, amici—ma continuavo a sentirmi di merda.

I depressi tendono a attrarsi a vicenda. Li annusi da lontano un miglio. È per quello, probabilmente, che mi sono avvicinato così alla mia migliore amica Fiona. Fiona era la segretaria della sezione cultura del Guardian, ma capiva le cose molto meglio dei critici che andavano a parlarle dopo aver visto qualcosa e poi le rubavano le frasi migliori. Fiona era la classica depressa che non aveva niente per cui essere depressa. Era intelligente, amabile, amata, e unica. Ma nessuna di queste cose poté aiutarla a sopportare la vita, e così si suicidò.

Pochi mesi più tardi ebbi una crisi. Sapevo che aveva a che fare con Fiona e che era inevitabile. Andai da un dottore e gli dissi che volevo suicidarmi, e che avevo bisogno di qualcosa che mi facesse sentire meglio subito. Mi mandò all'ospedale psichiatrico, dove mi misero sotto antidepressivi. Negli anni Novanta il Prozac era ancora relativamente nuovo. I REM ne avevano scritto in una canzone, "Shiny Happy People". E quella era la paura diffusa—che fosse una forma frivola di stordimento chimico. Mi dissero che avrei avuto la nausea per un paio di settimane (fu così) ma che avrei dovuto insistere.

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Il cambiamento fu incredibile. Non divenni una di quelle persone felici e solari di cui cantavano i REM, ma smisi di piangere ogni due minuti. Il metronomo smise di ticchettare, potevo finalmente dire l'ora alla gente, e divenni una persona relativamente "regolare". Diane, la mia partner, era contraria agli antidepressivi perché aveva visto gli effetti che i primi avevano avuto su di me. Ma ora insisteva perché continuassi a prenderli.

Avevo letto storie di gente che diventava matta e uccideva sotto Prozac, e mi preoccupavo. Ma io non ho mai avuto la tentazione di uccidere qualcuno. Ho letto che rende più difficile l'eiaculazione (è vero, ma è buono avere una sfida), e che ti fa perdere le emozioni (ne ho ancora moltissime, ma piango meno facilmente di quanto non facessi ai tempi di Sainsbury's). Ho provato a interrompere un paio di volte, e ogni volta mi sono sentito malissimo. Mi sono chiesto se fosse la depressione o perché avevo sviluppato dipendenza dal Prozac. Probabilmente entrambe. Poi ho smesso di preoccuparmi.

Il Prozac mi ha reso la vita più vivibile, e a chi importa se sono dipendente? Sono 18 anni che questo dono del cielo di forma cilindrica metà verde metà bianco mi tiene compagnia. Lo prendo da troppo? Forse. Sono dipendente? È possibile. Potrò mai smettere di prenderlo? Probabilmente no. Mi importa? Per niente.

Segui Simon su Twitter: @shattenstone

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