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Poltronette

Pacific Rim: "I Robot falli grandi come me"

Come Guillermo Del Toro trasforma un film su robottoni e mostri in qualcosa di più.

PA-POOM.

Pacific Rim è il primo film in cui non ho tifato per i mostri.

Sia chiaro, sono presenti: un mostro a forma di squalo martello, un mostro a forma di coltello a serramanico, un mostro a forma di Bulbasaur, un mostro a forma di Pterodattilo Oscuro. Non è che ci sia da lamentarsi; soprattutto, è quasi impossibile non sperare che creature tanto nobili dominino la Terra. Eppure.

Guillermo del Toro, ogni volta che dirige un film, lo fa in maniera iconica. Ho incontrato più persone che, per citare Il labirinto del faunosi mettevano le palme delle mani sugli occhi, aprendole a ventaglio, di quante avessero effettivamente visto il film.

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Il regista è, anche, diventato un maestro dei film sofferti—spesso gli propongono un film, lui se lo mette bene in testa, inizia a lavorare con uno sceneggiatore, si emoziona tutto. Poi il progetto va in fumo. Lo stesso è accaduto anche al suo proposito di dirigere un adattamento di Alle montagne della follia di Lovecraft. Del Toro voleva un film con scene vietate ai minori e un budget da 150 milioni di dollari. La Universal gli ha chiuso le porte in faccia (poco dopo la Universal tenterà lo stesso trattamento anche con World War Z). Del Toro ha pianto.

Poi, un giorno, uno degli sceneggiatori di quei progetti mai realizzati, Travis Beacham, va a fare la sua passeggiata quotidiana sulla spiaggia di Santa Monica. I bagnanti sono meno del solito: una nebbia leggera si alza dal mare. Più in là, una ruota panoramica è quasi totalmente immersa nella foschia. Ispirato dalla vista, Beacham si immagina UN ROBOT GIGANTE E UN MOSTRO GIGANTE CHE COMBATTONO.

Del Toro ne legge il trattamento e il resto va da sé o, come più probabilmente avrà detto lui, "Figuriamoci, lo faccio io."

KH-POOW.

Ciò che ne esce è Pacific Rim, che nasce come e vuole essere innanzitutto un omaggio alla tradizione giapponese dei robottoni e un film per le famiglie, ma, a livello cinematografico, riesce a essere molto di più.

Innanzitutto, è gigantesco. È inutile parlarne a lungo, se ne è già detto fin troppo, ma non ci ho creduto finché non l'ho visto. Pacific Rim è gigantesco. È una cosa cui non siamo ancora abituati. Una cosa che, quando, a metà film, hanno cominciato a evacuare la sala IMAX più grande della Gran Bretagna per un falso allarme, ho pensato fossimo sotto attacco.

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In Transformers, l'unica cosa che è inquadrata in maniera così gigante sono le tette di Megan Fox. Qui, a un certo punto un robot trascina una petroliera come fosse una clava per le strade di Hong Kong, e ciò che vediamo sullo schermo non è un glorioso trionfo di CGI, è proprio un robot che trascina una petroliera come fosse una clava. Per le strade di Hong Kong.

Guillermo del Toro non è una di quelle fighette come Peter Jackson, che fanno la dieta e poi si mettono a dirigere Lo Hobbit. Del Toro avrebbe dovuto dirigere Lo Hobbit, e poi non ha più potuto; è uno che si consuma fino al più minimo dettaglio, lavora 20 ore al giorno, ha riflettuto a lungo sull'uso del 3D in Pacific Rim: lui quelle creature e quei robot li voleva Davvero Giganti, e non voleva sentire parlare del 3D, ne temeva l'effetto miniaturizzante. Poi ha cambiato idea. La taglia delle cose non è stata intaccata.

Il 3D non è dei migliori, ma il film richiede, che dico, implora, la visione in IMAX. Percorrere lo schermo dal basso in alto è uno sforzo ampiamente gratificante. Alla fine del film, dovrebbero consegnare agli spettatori un questionario intitolato “Torcicollo o giraffa?”

OH, AWWW!

Il punto di partenza del film è piuttosto semplice: ce lo insegna il detto, conosciamo più lo spazio del fondo degli oceani, e proprio da un portale sul fondo dell'Oceano Pacifico cominciano a emergere mostri (Kaiju) intenzionati a distruggere l'umanità. L'umanità, dalla sua, ha imparato a contrattaccare le creature con dei robot giganti (Jaeger) comandati, di volta in volta, da due piloti che, ahimè, vengono per lo più decimati.

La sorpresa iniziale è che non ci si sofferma, se non per una parentesi introduttiva, sul come, o sullo scoppio della minaccia. Il fatto che i mostri abbiano attaccato il mondo è dato praticamente per scontato.

In un montaggione che avrebbe potuto essere più lungo, Pacific Rim rende omaggio a quella parte di World War Z (il libro) che World War Z (il film) ha trascurato: l'aspetto più mondano e meno epico di una distruzione a livello globale. Vediamo l'impatto globale che Kaiju e Jaeger hanno, a livello psicologico e di cultura popolare; vediamo quanto la guerra abbia consumato inesorabilmente le risorse umane ed economiche; vediamo i costruttori di un muro di difesa lamentarsi dei propri sforzi vani, nel vedere il muro distrutto dai Kaiju.
Ma Pacific Rim vuole essere un film per famiglie, e dopo poco abbandona l'approccio socio-antropologico e abbraccia scene di battaglia con cose gigantissime di forme svariate e personaggi delineati con l'Uni Posca meno sottile, eppure—eppure, funzionanti nel loro ruolo. Ci sono l'eroe tormentato, l'asiatica con un forte senso di vendetta, l'U.S. Marshal onorevole, gli scienziati slapstick. Nessuno dei personaggi è trascurato atal punto da essere lì soltanto per recitare un paio di battute in funzione della storia. Del Toro tiene molto ai suoi protagonisti, ma tiene soprattutto al fatto che l'affetto che prova lui sia lo stesso che proviamo noi. Anche le battute facilone sono affidate a un cast che sa renderle, seppur prevedibili, un neo vezzoso sul volto di un film che non si prende sul serio.

Il superamico e stimato collega Gabriele Ferrari definisce Pacific Rim "un film per nerd fatto da un nerd"; Pacific Rim è senz'altro un film fatto da un nerd, fatto con tanto amore che chiunque sappia riconoscerlo—e abbia un collo da buttare via per una sera—potrà apprezzarne il contenuto.

Nel post precedente: Si sta come, d'autunno, sugli alberi, Stoker