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Quel che resta della sinistra italiana

Abbiamo cercato di capirlo a Bologna, dopo aver ascoltato Saviano e Rodotà.

Mentre a Roma si festeggia la Repubblica con una parata militare, che è un po’ come rallegrare la cena di Natale del Telefono Azzurro picchiando un bambino, a Bologna quel che resta della sinistra italiana si riunisce per Non è cosa vostra, manifestazione organizzata da Libertà e giustizia. Per chi non fosse un giurista, un magistrato o Ezio Mauro, Libertà e giustizia è un’associazione che, oltre ad avere un nome molto ambizioso in un periodo in cui già avere un lavoro che ti permetta di sfamarti e cambiare una volta al mese la cover del tuo iPhone con una con più finte scaglie d’oro sembra un’utopia, riunisce buona parte dei grandi vecchi della sinistra italiana. Lo scopo è organizzare battaglie civili sotto la guida di Gustavo Zagrebelsky, l’ex presidente della Corte Costituzionale che ogni tanto scrive quegli editoriali su Repubblica che saltate a piè pari per andare alle foto di Balotelli in gita di piacere a Scampia o dentro una velina.

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Il tema di Non è cosa vostra, benché pressoché tutti i media abbiano preferito titolare sulle parole strappate a Rodotà nel backstage su Grillo, è la difesa della Costituzione dai tentativi di riformarla con persone affidabilissime e rispettose delle regole come Berlusconi. Il che come dire ha senso, altrimenti non si spiegherebbe perché tutta questa gente dovrebbe riunirsi per sentire cosa ha da ribattere Rodotà all’ultima cazzata sparata da Grillo.

Non lo so ma qualcosa mi dice che se continuano così un giorno potrei perdere fiducia nei quotidiani italiani. Per adesso mi sono limitato a sostituire la lettura del Fatto Quotidiano con quella dei fondi del caffè, fanno titoli meno urlati e fascistoidi e se ci versi sopra della grappa migliorano. 

La manifestazione, come tutti quelli che hanno fatto il Dams avranno capito dalla qui foto sopra, è in piazza Santo Stefano che, come tutti quelli avrebbero desiderato fumare un cilum con un ex presidente della Commissione europea sanno, è a pochi passi da casa di Romano Prodi, il quale però non si fa vedere.

“Vi giuro volevo scendere ma dopo pranzo ho incominciato a guardarmi una puntata di House of cards e sapete come vanno queste cose, alla fine ne ho viste quattro. Ormai erano le 19 e mi sono ricordato che Rodotà va a dormire a quell’ora. A quel punto ne ho messa su un’altra. Peter Russo mi ricorda molto Veltroni da giovane,” ha spiegato l’ex premier a dei giornalisti che esistono soltanto nella mia testa. In compenso c’è l’altro trombato per il Quirinale, la vera pop star della sinistra italiana Stefano, young blood, Rodotà.

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L’orario d’inizio della manifestazione è fissato all’una e mezza sotto il sol leone, una scelta così strategica che ti viene naturale il dubbio che sia stata fatta da qualcuno del PD. Dubbio che però è facile dissipare, basta ricordarsi che stiamo parlando di un evento in difesa della Costituzione, la legge fondamentale dello Stato posta alla base della convivenza civile del Paese. Non il tipo di cosa che possa interessare al PD.

Apre l’incontro Zagrebelsky secondo il quale il presidenzialismo sarebbe un sistema un pelo rischioso se applicato in un Paese a forte presenza di fenomeni corruttivi, quale, stando a indiscrezioni, sarebbe l’Italia. Sostiene anche che fare shopping dalle costituzioni altrui, senza pensare alle specificità italiane, non sarebbe un buon modo per cambiare in meglio la propria.

Alla fine ringrazia anche la chiesa di Santo Stefano e il suo parroco, il quale senza temere la ridondanza si chiama Stefano, per aver concesso la disponibilità del sagrato. Ora tu pensi che partano salve di bestemmie da una parte considerevole del pubblico come se all’improvviso non fossimo più a Bologna ma a Belluno e qualcuno avesse appena detto che si è estinta l’uva. Arriva invece un enorme applauso che mi lascia stordito e bisognoso di bromuro. Forse dovrei provare a chiedere al generoso Don Stefano.

Scortato da più guardie del corpo di un vescovo messicano arriva sul palco Saviano. È accolto così calorosamente che per un momento credi quasi che sappia scrivere, poi ti ricordi quanto sia impossibile andare oltre la quinta pagina di Zero Zero Zero se nella vita hai letto una cosa qualsiasi, inclusa la confezione delle Macine Mulino Bianco. Quello è il momento in cui capisci che qui non si applaude lo scrittore ma il simbolo, l’uomo che per parlare di criminalità organizzata si è rovinato la vita.

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Saviano fa un semplice discorso di buon senso sulle infiltrazioni mafiose nell’economia legale. Spiega come in tempi di credit crunch sia estremamente facile per le organizzazioni criminali diventare padrone di fatto di piccole, medie e qualche volta anche grandi imprese, soprattutto al nord. Tira fuori dei temi di cruciale importanza che in un Paese che tenesse a se stesso dovrebbero occupare i giornali e i telegiornali ma che in Italia sono confinati alle apparizioni del martire Saviano, ovvero tutta l’antimafia che l’Italia è disposta a concedersi in uno dei suoi tipici moti di paraculaggine e ferocia. Si parla di mafia? Ah, c’è Saviano. Non c’è Saviano? Allora si parla di chi vincerà X-factor quest’anno. Non è colpa sua certo, ma è l’altro lato dell’essere diventato una semi-divinità agli occhi dell’elettorato di sinistra più conformista.

I relatori a Non è cosa vostra sono una sfilza infinita, fra i quali Beppe Giulietti di Articolo 21 che s’infervora e alza la voce così tanto che la signora cinquantenne alle mie spalle incomincia a dargli ragione prima ancora che finisca le frasi applaudendo l’enfasi. Peccato che Giulietti non venda sul suo blog i DVD dei suoi ultimi spettacoli comici.

La vera pop star della piazza però è Rodotà. Nonostante gli 80 anni fa un lungo discorso talmente lucido da farmi tornare in mente il mio professore di lettere al liceo quella settimana in cui ci fu sciopero dei negozi di liquori.

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Parla di “desertificazione europea dei diritti”, difende la scuola pubblica, rivendica la vittoria del referendum bolognese e a momenti viene giù la piazza. Nonostante l’endorsement funzionale di Grillo probabilmente sarebbe stato un buon presidente, anche meglio di quello che è rimasto a casa a guardarsi House of cards.

Il solco fondamentale della giornata è questo, difendere la Costituzione non in quanto tale ma come strumento di garanzia di democrazia, partecipazione e solidarietà. Tutte cose buone e giuste e però il problema per cui piazze come queste diventano sempre più irrilevanti salta subito agli occhi. Tutta la partita è giocata in difesa ed è una specie di rito morale, quasi consolatorio.

Rodotà mentre concede il bis ai suoi fan.

La sinistra negli ultimi trent’anni è stata risucchiata dal ciclone neoliberista mondiale e ne è uscita con le ossa rotte. È stata incapace di reagire e soprattutto di avere un piano di azione che non fosse provare a difendere timidamente, facendo appello a grandi principi morali, quello che le stavano rubando.

Ora, se giochi tutte le tue partite in difesa, non ci vuole un genio per capire come andrà a finire sul lungo periodo. Quando vinci non guadagni niente ma quando perdi, perdi qualcosa del tuo patrimonio (in questo caso le leggi che esprimono i tuoi valori). Pur ammettendo per ipotesi che tu sia bravissimo a difenderti, cosa che potrebbe sostenere qualcuno che ignori l’esistenza di Luciano Violante, qualche volta perderai e prima o poi finirai per rimanere senza più un cazzo in mano. È matematico.

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Senza contare che la retorica della difesa finisce per deprimerti. Spaccare un po’ di culi e conquistare nuovi territori è il genere di cosa che ti galvanizza e ti fa pensare che si può essere di sinistra senza essere necessariamente allegri come Civati.

Quando però poi ti trovi davanti a un parterre di relatori in cui non c’è quasi nessuno sotto i 70 anni, formato quasi esclusivamente da professori ordinari e giuristi, è facile intuire che la loro percezione di come buona parte della Costituzione sia già andata puttane da mo’ per tutti quelli che hanno meno di 40 anni in questo Paese non possa che essere decisamente offuscata.

Possibile poi che nessuno capisca l’assurdità nell’indicare, come farà qualcuno durante la manifestazione, il pur bravo Rodotà come leader ideale dell’universo delle associazioni o di un nuovo partito? Significherebbe mettere un ottantenne a capo di un qualcosa che dovrebbe difendere il futuro. Benvenuti in Italia.

A quell’età puoi essere ancora lucido ma non hai l’elasticità mentale di leggere i cambiamenti abbastanza in fretta, e soprattutto non puoi avere idea di cosa stia succedendo alle nuove generazioni.

Leggere sul giornale che molti giovani lavorano e non guadagnano abbastanza per vivere, non è la stessa cosa che aprire il portafoglio e trovarlo fottutamente vuoto. È una di quelle cose che influenzano la tua Weltanschauung.

È troppo chiedere di essere rappresentati da qualcuno che conosca la geopolitica e almeno una volta nella vita abbia giocato a GTA? Essere giovani non significa necessariamente essere intelligenti e preparati, anzi, ma non è possibile che in tutto il cazzo di Paese non ci fosse una persona  sotto i 50 anni da far parlare dal palco dell’ultima sinistra rimasta?

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C’è Saviano direte voi. Certo c’è Saviano. Ed è esattamente l’emblema della generazione dell’uno su mille ce la fa. Quello che ha azzeccato il giusto tema al momento giusto, con il giusto titolo, con la giusta casa editrice (quella di Berlusconi, non che sia una colpa: è un dato di fatto).

Fatte le debite proporzioni e tenendo presenti le conseguenze nefaste che questo successo ha avuto sulla vita personale di Saviano, siamo di fronte alla riproposizione delle dinamiche del talent show traslate nel mondo della letteratura.

Saviano è uno su milioni e viene celebrato dall’opinione pubblica come un eroe civile anche per autoassolversi e tacere senza apparenti sensi di colpa di tutte quelle persone che in terre di mafia fanno lo stesso lavoro senza avere la stessa esposizione e le stesse, doverose, tutele.

Rodotà, Zagrebelsky, Settis e gli altri relatori sono invece persone che hanno iniziato la loro carriera accademica e/o politica in tempi in cui era possibile emergere con il proprio lavoro e questo valeva non solo per UNA persona in tutta la nazione.

La differenza è sostanziale, è il solco che divide un popolo con una dignità e un magma di disperati alla ricerca del biglietto vincente. È per quello che i loro appelli dal palco, giusti quanto si vuole, mi sembrano superati dai fatti. Siamo già nella giungla, è ora di diventare operativi, parliamo di questo.

Ingroia incontra i suoi fan: ma che davvero mi hai votato? Ma davvero davvero?

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La sinistra italiana può continuare quanto vuole a fare appello ai principi, e nessuna azione politica seria può prescindere da concetti ben definiti, altrimenti diventa grillismo, ovvero l’ennesima buffonata messa nelle mani di un ducetto da Strapaese.

Il problema però è che per buona parte della popolazione i principi sono già stati uccisi da mo’. Per questo gli appelli di questo tipo vanno fatti ma non possono essere tutta l’azione politica, non ci si può fermare qui.

Altrimenti rimaniamo a livello di messe laiche, cosa a cui i raduni della sinistra assomigliano sempre di più. Gli appelli ai valori arrivano già troppo tardi, ma se hai 80 anni fai fatica ad accorgertene.

Queste occasioni dovrebbero essere il momento in cui certi vecchietti saggi ti dicono, “Ehi, ricordatevi questo, questo e questo,” mentre voi già puntate a spingere l’orizzonte un po’ più in là, a rendere il mondo un posto un po’ meno di merda.

Possiamo parlare di scuola pubblica e di cultura, ma come pensiamo di far sopravvivere l’industria culturale in un mondo dove la maggior parte delle persone ha l’illusione di poter trovare tutto gratis online? (Per questo da domani VICE sarà a pagamento. Scherzo)

Possiamo parlare di libertà in un pianeta dove miliardi di persone consegnano le proprie informazioni personali a delle industrie private americane e dove presto gireranno per le strade persone con addosso i Google Glass?

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Be', cazzo, è ora di rispondere a queste domande, non solo usando i principi della Costituzione ma entrando nel tema nello specifico. Dove per lo specifico s’intende la vita di milioni di persone.

Come diceva il famoso professore di diritto dell’università di Brooklyn, il Dr. Method Man,

"Cash Rules Everything Around Me
C.R.E.A.M. 
Get the money 
Dollar, dollar bill y'all."

Qua ci servono i soldi. Soldi in cambio di lavoro. Subito. Perché solo con quelli hai la dignità che ti permette di difendere i tuoi diritti e viceversa.

Saviano ha chiuso il suo intervento con una citazione di Danilo Dolci, “Ognuno di noi diventa grande solo se è sognato.”

Be', non sono per nulla d’accordo. È il tipo di frase che potrebbe fare un sedicenne che sogna di fare lo scrittore e girare l’Europa in interrail. L’idealtipo verso il quale spesso la sinistra italiana tende con risultati che sono sotto gli occhi di tutti.

Non me ne frega un cazzo di essere sognato, voglio essere pagato per il mio lavoro, avere una birra fresca in mano a fine giornata, soldi per essere libero e per comprarmi cibo, libri e tutto quello che mi serve per avere un minimo di dignità del cazzo mentre mi faccio questo giro di giostra truffaldina che è la vita. Questo è quello di cui ho bisogno, non di essere sognato.

Non devo convincere le liceali a darmela, devo vivere in questa giungla, mi serve un minimo di comfort per rendere il viaggio migliore e sapere che anche gli altri ce l’hanno perché mi sembra giusto e perché so che così non mi accoltelleranno per portarmi via quello che ho. Questa è sostanzialmente la differenza fra un pensatore e un venditore di pentole.

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Per questo motivo l’intervento più bello della giornata è stato quello di Maurizio Landini che dopo una serie di discorsi necessari ma incastonati nell’iperuranio ha riportato la piazza (anch’essa a età media altina) nella dura realtà di un occidente in tramonto, di una politica che ha abdicato all’economia e di un pensiero unico che ha fatto sistema della follia predatoria.

Per cui quando Landini dice che non bisogna andare lontano per trovare gente che paga due-tre euro l’ora, basta guardare a certe coop della provincia di Bologna, o quando sostiene che se si accertano le responsabilità dei Riva per le morti degli operai e dei cittadini di Taranto oltre che per la distruzione del territorio, sarebbe giusto confermare la confisca dei loro beni, mi viene quasi di sparare qualche colpo di gioia in aria come un mujaheddin. Poi mi ricordo che è tutto il pomeriggio che le guardie del corpo di Saviano mi guardano male chiedendosi se il loro assistito ha mai scritto qualcosa sull’Islam. Decido perciò che non è un bel giorno per morire.

Sta di fatto che bisogna avere il coraggio di rispondere all’attacco con un attacco, non porgere l’altra guancia come farebbe un cattolico qualsiasi. Avere il coraggio di agire concretamente a difesa di sé e del proprio territorio.

Cosa siamo diventati per trovare incredibile che si possa sequestrare una fabbrica se si accerta che i proprietari hanno perpetrato per anni gravissimi comportamenti illegali a danno della comunità? Quanto hanno scopato con il nostro cervello per ridurci così?

Ve lo dico io: la stanza dove abita la nostra coscienza collettiva deve essere piena di preservativi annodati.

È la tecnica della difesa a oltranza ad averci portato qui, sull’orlo del baratro. Tanto vale rilanciare e fargli sapere che, come dice Landini, “Non ci avrete mai come volete voi.”

Una citazione così anni Novanta che per un momento penso di tatuarmi la pancia, svaligiare una panineria e scrivere un libro sul subcomandante Marcos.

Ora, se la sinistra italiana non avesse una propensione a fagocitare propri leader al cui confronto Crono era un hipster vegano, direi che Landini è il leader di cui abbiamo bisogno, ma stando così le cose mi limito ad augurargli lunga vita.

Segui Quit su Twitter: @quitthedoner