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Abbiamo parlato con uno dei pochi giornalisti a seguire la guerra in Siria da Aleppo

Rami Jarrah è uno dei pochi giornalisti siriani che si sta occupando della guerra sul campo. L'abbiamo contattato per parlare della disinformazione che circonda la guerra e di come stiano davvero le cose.

Il giornalista Rami Jarrah. Foto via Wikimedia Commons.

Rami Jarrah, noto anche con lo pseudonimo di Alexander Page, è un media activist e uno dei pochi giornalisti siriani a seguire la guerra sul campo. Al momento sta lavorando a una serie di video che documentano i raid aerei russi ad Aleppo, perché crede che i media occidentali presentino il conflitto in modo parziale. Secondo Jarrah, i media trascurano il fatto che gli attacchi aerei siriani e russi—una quindicina al giorno, secondo le sue stime—abbiano come bersaglio zone residenziali non sotto il controllo dell'ISIS, uccidendo civili e ribelli. Jarrah sostiene che questo silenzio vada a vantaggio del regime di Assad e sostanzialmente anche dell'ISIS, e che bisognerebbe fare qualcosa per fermare questa tendenza.

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L'abbiamo contattato mentre si trovava ad Aleppo, vicino alla prima linea del conflitto.

VICE: Cosa sta succedendo in questi giorni?
Rami Jarrah: In generale c'è stata un'escalation di attacchi nel centro della città. Circa una settimana fa, gli attacchi erano concentrati nel nord e sul fronte meridionale, zona di scontri tra il regime e i gruppi di opposizione, ma ora sono anche nel centro della città. Questa mattina [9 dicembre] c'è stato un attacco a Salheen, una zona del centro di Aleppo, in cui sono state uccise almeno nove persone e ne sono state ferite altre 15.

Ieri c'è stato un attacco nel quartiere di al-Sukari… Voglio dimostrare che ogni giorno c'è più o meno un attacco nell'area centrale della città, attacchi che colpiscono arree residenziali.

Parlami del ruolo dei russi. Cosa sta succedendo e dove sembrano non capire i nostri media?
In generale, c'è una tale disinformazione tale per cui non si arriva a capire che i civili [vittime dei bombardamenti] non sono nemmeno in aree sotto il controllo dell'ISIS. Ovviamente sono contro le morti civili anche all'interno dei territori controllati dall'ISIS, ma il punto è che qui siamo fuori da ogni giurisdizione dell'ISIS.

Si tratta di attacchi random, in zone residenziali. Possono farlo perché è in ballo una lotta lotta al terrorismo con 12 paesi che sono intervenuti in Siria e ne bombardano alcune zone per combattere l'ISIS. Ma ci sono due parti, il regime siriano e la Russia, che cercano di trarre vantaggio dalla situazione attaccando anche zone che si oppongono a loro. Ma queste si oppongono anche all'ISIS. Perciò c'è un'ipocrisia di fondo, loro attaccano chi si oppone all'ISIS—ed emerge dunque piuttosto chiaramente che non hanno intenzione di eliminare l'ISIS prima di eliminare chi si oppone ad Assad, quella che considera il governo di Assad una dittatura.

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Come fai a riconoscere un attacco aereo russo? In cosa si distingue dagli altri bombardamenti?
Ad Aleppo, se senti il rumore di un aereo esci e guardi in cielo. Gli aerei russi sono bianchi. Quelli siriani fanno un rumore diverso e sono verdi o neri. Quando è un aereo russo, senti lanciare il missile, ma poi questo non colpisce vicino a dove è stato lanciato. La flotta siriana non ne hanno i mezzi. Una volta ho visto un aereo russo sganciare missili sopra di me e poi abbiamo scoperto che il missile aveva colpito quattro chilometri più in là. I russi attaccano in diagonale. In più gli attacchi russi sono durante il giorno, e quelli siriani di notte.

Hai un'idea, o delle stime, di quanto frequenti siano gli attacchi russi?
La maggior parte dei bombardamenti su Aleppo al momento sono russi. Mi ha sorpreso, ma è così. Con un massimo di 15 bombe in un giorno, per quello che ho visto. A volte sei—conta che ogni aereo può portare fino a sei missili, quindi a un aereo corrispondono sei bombe. Di solito c'è un attacco al mattino tra le nove e le 11 e poi uno la sera, all'imbrunire. Durante la notte ci sono molti bombardamenti, ma quelli come ti dicevo prima sono siriani. Non li ho mai contati, ma direi che sono tra i quattro e i sei a notte. Di giorno come ti dicevo ci sono anche 15 attacchi russi. In un giorno normale ci sono tra i sei e i dieci attacchi.

Cosa succede a terra? Cosa vedi?
Disperazione, tanta disperazione. Soprattutto ora che il confine con la Turchia è stato completamente chiuso. Nessuno può entrare e nessuno può uscire. È più facile entrare che uscire, comunque. Tantissim qui si sentono completamente isolati dal resto del mondo.

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In più, i rifugi non vengono usati. All'inizio mi stupivo, ma poi ho capito: nel cielo di Aleppo c'è sempre qualche aereo in volo. Magari in quel momento non sta bombardando, ma c'è sempre il rischio che lo faccia. Il che significa che la popolazione dovrebbe passare tutto il giorno nei rifugi o nel sottosuolo. Ormai ci si è come abituati alla guerra, agli attacchi e ai bombardamenti.

Credo che da un lato significhi che la popolazione non si fa smuovere. E questo in un certo senso è un fattore positivo per l'opposizione siriana, perché [dall'altra parte] c'è il progetto di svuotare questa zona e farne terreno esclusivamente militare; in questo modo per la Russia e il regime siriano sarebbe più facile attaccare. Ma è anche negativo, nel senso che la popolazione si sente persa. E non c'è fiducia nella comunità internazionale.

Non c'è fiducia nella democrazia e nei diritti umani… nessuno ci crede più, nessuno crede ai media. Quando parlo con le persone di qui e chiedo loro per esempio, "L'ISIS c'è in questa zona? E in quest'altra?" loro mi rispondono "Ovviamente no." Ma poi quando gli chiedo di dirlo davanti alla telecamera si negano: "No, non voglio parlare alla telecamera." Se gli chiedi perché ti rispondono, "Perché è risaputo che l'ISIS qui non c'è e che ci attaccano comunque; tutti sanno che la Russia e la Siria stanno uccidendo dei civili e se ne fregano."

Sai, ho provato a far loro capire che non è vero, che c'è un sacco di disinformazione e che tanti non lo sanno, ma [la gente di qua] non la vede così. E penso che abbiano anche il diritto di non crederci, vista la quantità di informazioni dalla Siria fornite alla comunità internazionale. Ma sulle prime pagine ci finisce una propaganda ancora più forte.

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Tu ti trovi in una zona sicura?
Sì. Sono vicino alla prima linea. Ma stanno lanciano missili "elephant", poco precisi. Li lanciano dall'altro fronte quindi sanno che colpiranno da questa parte, ma non sanno dove di preciso. È un'arma artigianale, poco precisa.

Ora ci sono scontri?
Ne partono anche 100 al giorno, di questi missili. A volte nessuno. A volte dieci. Altre 20 contemporaneamente—sono molto veloci, fanno tanto rumore. Hai mai sentito parlare di missili elephant?

No.
Fondamentalmente fanno il barrito di un elefante. Senti il rumore, conti fino a 20 e il missile atterra. In pratica, sono…

Ecco, ora ci sono gli aerei.

Adesso?
Sì. Non usano più le barrel bomb [ordigni esplosivi improvvisati via aria], non ce ne sono più. Gli attacchi aerei russi o siriani non bersagliano le prime linee, perché ci sarebbe il rischio di colpire i propri uomini o le loro linee—perciò le prime linee sono per lo più stabili. Lanciano questi missili elephant, che salgono e scendono. Anche se sono molto lenti, all'impatto hanno comunque il 70-80 percento della forza di una barrel bomb. Ne usano moltissimi e non c'è modo di risalire al luogo di fuoco. Li usano addirittura più dei bombardamenti aerei.

È da un po' che ti occupi di questo conflitto. Quanto è frustrante assistere alla disinformazione, all'immobilità?
[Inizialmente] c'erano un sacco di attivisti. Avevi l'impressione che l'informazione fosse il contributo più prezioso che eri in grado di dare. Ma poi molti di questi attivisti se ne sono andati, e le cause sono molteplici. Principalmente sono stati gruppi come l'ISIS, al-Nusra e ovviamente anche il regime siriano; per i media activist e i giornalisti in generale—specialmente stranieri—è diventato estremamente difficile lavorare in Siria. È per questo che in Siria non trovi giornalisti stranieri. E che non ci sono giornalisti seri, giornalisti siriani, in grado di fornire informazioni oggettive—che siano in grado di spiegare alla comunità internazionale o anche araba, o anche solo siriana, cosa sta succedendo.

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È molto frustrante, ed è per questo che sono qui, perché non mi pare ci sia niente di vero in quello che riportano i media. So che sembro esagerato, ma lo dico perché tutta l'informazione sulla Siria si basa su un concetto solo. ISIS e Assad. Finché parliamo solo dell'ISIS, di Assad e di altri gruppi simili all'ISIS, non facciamo che diffondere e incoraggiare la propaganda.

Serve una grande campagna per far luce su quello che sta succedendo nel paese. David Cameron ha detto che in Siria ci sono 70.000 combattenti che si oppongono ad Assad, non sono considerati estremisti e sono in grado di combattere l'ISIS. Non è una fantasia. I numeri forse sono sbagliati, ma c'è davvero un gran numero di persone che si oppongono al regime stanno, che combattono e che sono anche contro l'ISIS. Ora come ora ad Aleppo ci sono più fronti ribelli contro l'ISIS che contro il regime.

L'unico motivo per cui i ribelli di Aleppo e Idlib non lanciano un'offensiva definitiva contro l'ISIS e non riguadagnano terreno cacciandoli dalla Siria sono gli attacchi aerei. Non solo quelli russi e siriani—che sono quelli che ostacolano i ribelli impedendo ai vari gruppi di scontrarsi con l'ISIS. Ci sono anche gli attacchi della coalizione internazionale che spingono l'ISIS via dall'Iraq, verso la Siria, verso Aleppo. Ed è esattamente quello che vuole il regime siriano. Se l'ISIS prende Aleppo, è una vittoria per il regime siriano ed è una vittoria per la Russia, perché diventerebbe un problema a livello mondiale.

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