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Si mette male per i frontalieri, ma di brutto brutto brutto

Ieri in Svizzera si è votato sullo stop all'immigrazione di massa che coinvolgerebbe tra gli altri i frontalieri italiani. Siamo andati a Lugano per seguire lo spoglio del referendum anti-immigrazione insieme alla Lega del Ticinesi.

Foto di Zoe Casati.

La sede della Lega dei Ticinesi a Lugano. Ieri in Svizzera è stata una domenica mattina di votazioni—alle 12.00 tutti i seggi erano chiusi, e anche le bucalettere dei comuni dove consegnare le schede compilate da casa. La popolazione della confederazione elvetica ha partecipato a un referendum su tre quesiti abbastanza vari e diversamente sentiti: la costituzione di un fondo per la rete ferroviaria*, l'esclusione dell'aborto tra i trattamenti rimborsabili dall'assicurazione sanitaria obbligatoria**, e lo stop all'immigrazione di massa.

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Quest'ultimo è un referendum promosso dal partito UDC, Unione Democratica di Centro, ben diverso dal nostro centro timorato di Dio. L'UDC è un partito di centro-destra spesso definito come ultraconservatore, che alle ultime elezioni federali è stato il partito più votato—con il 26,6 percento di preferenze. Sono i responsabili della famosa campagna anti-europea—a suo tempo erroneamente attribuita alla Lega dei Ticinesi e che gli ha fatto vincere le elezioni—in cui la Svizzera era rappresentata come un groviera e gli stati europei come topi pronti ad addentarlo. Anche a questo giro, la Lega dei Ticinesi ha approfittato della proposta UDC per esprimere tutto il suo astio verso la quotidiana immigrazione di massa dei frontalieri italiani. La Lega dei Ticinesi è un partito nato nel 1991 da un'idea di Giuliano Bignasca, detto "il Nano", ispirato alla Lega Nord di Umberto Bossi. Come la nostra Lega, anche quella del Ticino è antistatalista, euroscettica e lotta contro l'immigrazione. Dopo la sua morte nel marzo 2013, il Bignasca ha preso comunque 9.000 preferenze, facendo della sua Lega il secondo partito del Ticino. A Lugano, nella sede del partito, nonché sede della A. & G. Bignasca, azienda di lavorazione e commercio marmi e graniti, non c'è un angolo dove non ci sia un quadro o una foto a ricordarne il fondatore—il che non è così strano visto che tra i membri di spicco del partito ci sono altri due Bignasca, il fratello Attilio, nuovo presidente, e il figlio Boris, direttore dell'edizione online del giornale di partito. Proprio dalle pagine di Mattinonline e dal settimanale gratuito Il Mattino della Domenica (una specie di versione sotto steroidi della Padania) è partita la campagna della Lega contro i frontalieri.

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L'ingresso dello snack-bar Iberia in cui si aspettano i risultati del referendum. I frontalieri italiani che lavorano in Svizzera sono oltre 65.000, nel solo Ticino sono 59.310, raddoppiati negli ultimi dieci anni. I problemi legati ai frontalieri italiani in Ticino sono diversi, dai più terra a terra "non spendono in Svizzera quello che guadagnano" al sempreverde "ci rubano il lavoro." Nel 2013 quest'ultimo aspetto era diventato un tema particolarmente caldo dopo alcuni articoli sulle aziende che assumevano professionisti frontalieri con il titolo di apprendisti, risparmiando sugli stipendi (comunque più alti rispetto a quelli italiani). I frontalieri sono decisamente più competitivi agli occhi di un'azienda perché, molto banalmente, costano meno. Uno stipendio medio in Svizzera è di 4.000 franchi, circa 3.200 euro, mentre per i frontalieri, che non devono sostenere i costi della vita svizzeri, si parla di circa la metà, quindi 1.600 euro, che per un italiano è una buona (siamo seri: ottima) cifra. Altra questione che ai legisti proprio non va giù, da bravi antistatalisti, è il versamento delle imposte sugli stipendi dei frontalieri che dovrebbero rientrare nelle casse dei comuni di residenza dei frontalieri (Lecco-Como-Varese-Sondrio). Negli ultimi anni si aggirano intorno ai 40 milioni di euro, di cui però solo un quarto arriva ai comuni. Va a finire che Roma è ladrona per qualunque leghista al mondo.

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E non ci sono solo i frontalieri a ingrossare i fegati dei Leghisti, ma anche i cosiddetti "padroncini", lavoratori autonomi (muratori, idraulici, falegnami, elettricisti) italiani che passano il confine per lavorare a un terzo di quello che richiede un autonomo svizzero, e che se non superano i 5.000 franchi al mese di guadagni, possono evitare di pagare imposte in Svizzera e in Italia. O almeno così ci hanno raccontato al bar dove i leghisti ticinesi hanno seguito lo spoglio dei voti. Al primo piano della sede della Lega dei Ticinesi c’è la sala riunioni (che è la sede del partito), il centralino (che è la redazione cartacea del giornale) e l’ufficio dei Bignasca, prima del Giuliano, adesso dell’Attilio. Scendendo le scale si accede direttamente allo snack-bar Iberia in cui partito, giornalisti, amici e famiglie (in totale, una ventina di persone) seguono il risultati del referendum su televideo. Le scritte in sovrimpressione coprono una mezzora buona di Mr. Bean e poi un bellissimo documentario che dai barriti supponiamo essere sugli elefanti. Intervallati ci sono gli speciali del Tg.

Il televideo. Nel bar ci accoglie Mattia, il caporedattore del Mattinonline. È un ex-ufficiale di Marina mercantile di Genova e per due anni ha fatto il frontaliere, poi si è trasferito in Ticino e ha fatto sue le cause locali. Mattia ci presenta il gruppo d’ascolto. C’è il figlio del Giuliano, Boris Bignasca, con addosso una maglietta della Svizzera, contento di vederci; la figlia di Attilio, vestita di viola, che Mattia definisce "il governo ombra"; il consigliere nazionale Lorenzo Quadri che è biondo e porta la coda, e tutta un’altra serie di personaggi più o meno importanti compresi i giovani ticinesi, che dal campione presente al bar hanno problemi di ormoni e tanti brufoli. Nel bar c’è anche la stampa, Rai1, Ticino News e RSI, che per Mattia “è quella di sinistra”. Se per di sinistra Mattia intende "quella con il presentatore che legge dati a caso durante la diretta," siamo d’accordo con lui.

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Ogni cantone ha i suoi schieramenti e i ticinesi sono particolarmente attenti alla politica. “Solo in Ticino ci sono un’infinità di quotidiani, siti e riviste che si occupano di politica. Quando ci sono le elezioni in Italia, qui non si parla d’altro,” ci spiega Mattia. Nonostante questo, la maggior parte degli svizzeri non va a votare (per questo referendum ha votato il MILLE percento degli svizzeri, ma non essendoci il quorum chissene). La vita politica svizzera è fatta di militanza, e più che i grandi partiti le necessità dei singoli sono veicolate dai gruppi locali, come quello dei Bignasca. C’è da dire che è quasi impossibile vivere di sola politica in Svizzera, tolte le alte cariche federali, “La maggior parte della gente fa attività politica come attività sussidiaria, non come in Italia, dove chi non viene eletto a Roma viene mandato a Bruxelles e prende il doppio.” Ed è questa la mentalità che si contesta allo snack-bar Iberia. I frontalieri risentono di un “sistema italiano incapace di trasparenza,” loro ci guadagnano, ma fino a un certo punto, i veri vincitori della libera circolazione sono i famosi padroncini “che non pagano le tasse né in Svizzera né in Italia,” e “Roma”.

Intanto dalla porta entra Attilio, ha l’artrite e si muove lentamente, saluta tutti e si siede. Mattia ce lo presenta. “Il segnale è chiarissimo,” dice il secondo Bignasca in ordine di successione. È soddisfatto del risultato nonostante manchino ancora Berna e Zurigo. “Speriamo che finalmente mandino qualcuno con i cosiddetti.” Perché il problema della Svizzera, secondo Attilio, è essersi piegati alle richieste europee aprendo i confini, “e noi vogliamo evitare di cadere in questo trauma che è l’Unione Europea.” La verità è che Attilio è sì felice, ma anche piuttosto realistico, e quando si parla di veri cambiamenti la sua risposta inizia con una risata ad occhio lucido e finisce con una sbuffata. “Concretamente, bah, cosa cambierà, bah.” L’importante è il segnale, un segnale di cui l’Europa ha paura, “passando il sì, il rischio per l’Europa è che la questione si sviluppi a macchia d’olio: l’euro, la finanza, tirar la cinghia, non tiene. La gente ha bisogno di vivere, non di sopravvivere.”

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L’euforia c’è dall’inizio alla fine, risultati o meno. Nel bar circolano gli affettati e il tappo di una bottiglia di spumante parte involontariamente da un tavolo nell’angolo a un’ora dai risultati ufficiali. Attilio conosce bene anche la nostra Lega: Maroni ha presenziato al funerale del fratello, e di loro dice, “È chiaro, devono far finta di sostenere i comuni di frontiera, ma il problema non è questo. Il problema è che i soldi che noi gli versiamo vanno a Roma, e non a loro.” Attilio si riferisce ai contributi versati dalla Svizzera ai comuni "frontalieri", quella fascia di 20 km dal confine svizzero a cui la Svizzera versa il 38 percento dei contributi, e di cui, precisa Mattia, “i comuni ne vedono al massimo il 10 percento, l’altro 28 va a Roma e poi sparisce.” E questa cosa dei soldi che vanno dove non si sa, agli svizzeri non piace.

Attilio Bignasca sul balcone della sede della Lega dei Ticinesi

Intanto la giornalista del TG1 si scaglia contro i leghisti col telecomando per far togliere il televideo e riprendere la mappa con le percentuali di voto. Attilio ci dice qual è il problema italiano: “All’Italia non interessano gli accordi fiscali, gli interessa portare a casa i capitali. Il problema è che non capiscono che nella situazione attuale, i soldi, se vanno via dalla Svizzera, non vanno in Italia, ma in altri paradisi fiscali.” Ad Attilio non danno fastidio i frontalieri come classe sociale—di frontalieri ne ha anche nella sua ditta, il più giovane è lì da 28 anni, e tutti, dice, sono d’accordo con la sua causa—ma vuole che “le imposte che pagano qua restino qua. Il problema è che finché di là la crisi è così, e peggiora tutte le settimane, sempre più gente proverà a venir di qua. Qui un geometra prende 5mila euro, contro i 2mila dell’Italia.” La gente “ne ha piene le scatole di essere trattata per scema," e se si è arrivati a questo punto, “è anche perché di là c’è una crisi che è tremenda. E qui visto che siamo riusciti a stare fuori dall’Europa, e adagio adagio, progrediamo, a un certo punto c’è anche l’invidia.”

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Un giovanissimo Giuliano Bignasca in tutto il suo splendore.

Al tavolo di un bar è normale parlare un po’ di tutto, e tra quelle conversazioni che ti aspetti di fare con una birra alle quattro di pomeriggio, ci sono anche il clima, il traffico e la scala di valori di intere popolazioni. “Una volta il frontaliere poteva arrivare a 30 km dal confine, adesso arriva dove vuole, e il 95 percento rientra a casa nel weekend. Sai, la casa è la casa, e allora le strade son tutte bloccate. In Svizzera il traffico è terribile.” E tutto nasce non tanto dalla loro quantità, quanto dalla mentalità italiana, che di prendere il treno non ne vuole sapere. “L’italiano ha i suoi valori: prima la macchina, poi la casa, poi la moglie. Se perde la macchina, perde anche la moglie.” Ma Attilio non li demonizza, anzi, li capisce. “Con la crisi che c’è, chissà cosa succede quando parcheggi l’auto in una stazione la mattina. Che poi non sono macchine piccole, anzi, se guardi il parcheggio della mia ditta le macchine più grosse sono quelle degli italiani.”

Alle 17, con almeno un’ora di ritardo sull’orario pronosticato, arrivano i risultati. Vincono i sì, partono i cori "Lega Lega" e gli sbandieramenti di bandiere. Finalmente si apre lo spumante, volontariamente, si stringono le mani e i presenti progettano i festeggiamenti con una camminata da Lugano a Chiasso. Sono in sette. Ad Attilio chiediamo se si unirà ai festeggiamenti, e cosa succederà adesso. “Bah sai, io domattina alle 5 e mezza sono in piedi, a lavorare. Nella prossima settimana i giornali faranno un bel casino, poi qualcuno dovrà mettersi a trattare.” Escono tutti, ci viene incontro Boris e ci ringrazia per essere venuti. “Oh, non pagate niente eh, tutto quello che prendete dal bar è offerto, noi adesso andiamo a festeggiare.” Ringraziamo, e restiamo soli nel bar a finire le tartine.

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Parte la maratona di festeggiamenti Lugano-Chiasso a piedi.

I leghisti che abbiamo incontrato ci hanno parlato di 80.000 frontalieri in tutta la Svizzera, e di un nuovo limite di ingressi di, appunto, 80.000 frontalieri—lasciando un buon numero di domande aperte tipo ‘quindi?’ ‘perché?’ ‘cosa?’. Stando al sito della Confederazione però, i frontalieri sono più di 227.000, e con un tetto di 80.000, le frotte di lavoratori si ridurrebbero fino a un terzo, un dato che potrebbe andar bene giusto a un leghista, o nostro o loro. La questione ora è capire le motivazioni della vittoria del Sì: se il problema sono i frontalieri in quanto lavoratori stranieri su suolo svizzero, allora il risultato del referendum indica che il 50,3 percento degli svizzeri (tra l’altro principalmente svizzeri di cantoni in cui di frontalieri non ce n’è manco l’ombra) non vuole stranieri a casa propria. Se invece il problema è che le aziende preferiscono assumere frontalieri e non svizzeri, allora questo referendum non colpisce i veri colpevoli, ovvero gli imprenditori svizzeri che sguazzano nel dumping salariale. L’unica certezza in questo momento è che una percentuale risicata di svizzeri, per varie ragioni, ha votato per sfoltire gli immigrati, mentre gli altri, subito dopo i risultati, sono scesi in piazza a difendere il loro No. Ora il Governo svizzero, maggiormente schierato per il No, dovrà ridiscutere i limiti d’ingresso in Europa, sperando che questo non significhi perdere anche tutti gli accordi economici e finanziari che tanto bene hanno fatto all’economia del Paese. Comunque, fino al 2017 la situazione rimarrà pressoché identica, quindi avete tre anni di tempo per imparare l’idraulica, fare avanti e indietro dal confine, e comprarvi il vostro tanto agognato SUV, italiani che non siete altro. * Il fondo è stato accolto con il 62 percento dei voti.
** Ha vinto il No con il 69 percento dei voti. L’aborto continua a far parte delle prestazioni coperte dall’assicurazione obbligatoria. La maggior parte dei partiti non ha dato indicazioni di voto.

Segui Chiara e Giorgio su Twitter: @chialerazzi e @sm_uu

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