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L'ultimo weekend di sangue in Egitto

Gli scontri tra le forze di sicurezza e i sostenitori dell'ex presidente Morsi hanno fatto nuove vittime.

Manifestanti anti-Morsi riuniti fuori dal palazzo presidenziale, mentre gli elicotteri li sorvolano.

Le prime vittime, piene di sangue, hanno cominciato ad arrivare all'ospedale da campo dietro la moschea di Rabaa al-Adawiya nelle prime ore del mattino di sabato. Le principali cause di lesioni erano proiettili a salve e gas lacrimogeno usati dalle forze di sicurezza.

Poco dopo le quattro del mattino sono iniziati ad arrivare anche i cadaveri dei manifestanti, morti sotto i colpi sparati dalla polizia e da uomini armati in abiti civili. Altri riportavano ferite mortali. La struttura, piccola e poco attrezzata, si è velocemente riempita all'inverosimile. “L’ospedale da campo era nel caos più totale, una cosa sconvolgente—non me lo dimenticherò mai,” mi ha detto il dott. Mohammad Elafty, corso a dare una mano dopo aver visto in tv un appello ai medici. “Tutti i letti erano occupati e il pavimento era coperto di sangue, morti e feriti.”

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Fin da quando Mohamed Morsi, il primo presidente liberamente eletto dell’Egitto, è stato deposto il 3 luglio, la moschea di Rabaa al-Adawiya è divenuta luogo di un sit-in organizzato dai sostenitori che ne pretendono la rinomina. Le strade tutt’intorno sono state trasformate in una tendopoli barricata che ospita decine di migliaia di uomini, donne e bambini.

Fino a questo weekend, il nuovo governo militare aveva tollerato l’accampamento. Quando, però, il generale Abdul Fattah al-Sisi, capo delle forze armate egiziane, ha chiesto ai suoi sostenitori di scendere in piazza venerdì per affidargli il “mandato” per combattere il “terrorismo”, lo scoppio di violenza al Cairo è sembrato inevitabile. (Mohamed el-Beltagy, figura di spicco dei Fratelli Musulmani, ha addirittura sostenuto che Sisi stesse “invocando una guerra civile per proteggere il suo golpe militare”.) Da parte loro, molti attivisti hanno rifiutato la chiamata alla piazza, rivendicando ancora una volta la necessità di uno stato civile.

La giornata di venerdì è iniziata in modo piuttosto pacifico. Nel primo pomeriggio il clima a Piazza Tahrir, il punto di incontro per i manifestanti anti-Morsi, era addirittura di festa. I carri armati stavano allineati nelle strade lì intorno e ufficiali dell’esercito controllavano i checkpoint civili. Erano stati bene accolti; gli ordini erano eseguiti all’istante e manifestanti sorridenti—molti dei quali vedono i militari come compagni nella loro lotta contro la Fratellanza—posavano per fotografie a fianco del personale e dei mezzi corazzati.

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Altri manifestanti anti-Morsi protestano fuori dal palazzo presidenziale.

Manifestanti dalla faccia dipinta brandivano cartelli con immagini di al-Sisi e slogan a favore dell'esercito. Elicotteri sorvolavano la zona, scendendo spesso talmente vicino a terra che le pale lanciavano polvere e ghiaia contro la folla. Imperturbati, molti alzavano le mani, esultavano e abbracciavano la tempesta di polvere.

“Siamo qui per affrontare il terrorismo e per agire contro i Fratelli Musulmani,” dice un manifestante. “Vogliono solo il potere e noi ci opponiamo—noi sosteniamo il nostro esercito.”

La vera natura del “terrorismo” che combattono varia molto a seconda della persona a cui chiedi. Alcuni accusano i Fratelli Musulmani di essere immischiati in alcune aggressioni ai turisti verificatesi negli ultimi anni, come il massacro di Luxor. Un altro, che si è presentato come Joe e ha detto di voler raggiungere sua moglie a Birmingham dopo il Ramadan, sostiene che i seguaci di Morsi abbiano aiutato combattenti di Hezbollah e Hamas a entrare in Egitto attraveso tunnel sotterranei che portano dalla Palestina al Sinai.

Secondo un gruppo meno veemente di manifestanti cristiani e musulmani, le proteste erano per l’unità del popolo egiziano. "Siamo tutti uguali e i Fratelli Musulmani non ci divideranno,” dicono, mostrandomi i tatuaggi ai polsi che molti copti portano.

Il fratello di Joe è intervenuto all’improvviso. Voleva parlare dell’America ed era molto irritato dal fatto che il governo statunitense avesse ritardato la consegna di F-16 in risposta alla chiamata di Sisi per le piazze. “C’è una cosa che voglio dire,” sbraita. “Quel cazzo di Obama… ha smesso di sostenerci. Non vuole aiutare i militari perché spera che torni Morsi. La rivoluzione [del 30 giugno] ha rovinato i loro piani per il Medio Oriente.”

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Sostenitori di Morsi al sit-in fuori dalla moschea di Rabaa al-Adawiya.

Anne Patterson, l’ambasciatrice statunitense in Egitto, è stata chiamata in causa per insulti ancora più forti: “Vogliamo che se ne vada. Sta facendo un accordo di nascosto con i Fratelli Musulmani.” Patterson deve avere uno dei lavori più ingrati della storia; i sostenitori pro-Morsi dicono spesso cose simili sulle sue relazioni con i gruppi anti-islamisti.

L’ostilità contro gli Stati Uniti è piuttosto diffusa a Tahrir. Dato che arrivavo insieme a un giornalista americano, sono riuscito a entrare in piazza solo grazie all’intervento di un ufficiale dell’esercito. Altri reporter sono stati allontanati all’ingresso del checkpoint. Più tardi, il fatto di essere scozzese mi è valso un’accoglienza di gran lunga più positiva: “Ah, siete dei tipi duri, forti,” ha detto uno dei manifestanti, alzando il pugno. “Libertà!”

Quella notte, sono confluite in piazza marce a favore dei militari provenienti da tutta la città. Hanno anche messo su un processo-teatrino, in cui Morsi veniva condannato all’ergastolo per la gioia della folla. Nel mondo reale, invece, è stato tenuto in segreta prigionia nelle ultime tre settimane e sarà indagato con accuse che potrebbero portarlo alla condanna a morte.

Un uomo crolla mentre i corpi dei sostenitori di Morsi sono portati fuori dall’ospedale di fortuna.

Al culmine del tutto, i militari hanno invitato molti dei giornalisti occidentali più importanti a fare un giro panoramico in elicottero sopra Tahrir. Causalmente—o forse no—nello stesso momento a Rabaa la polizia caricava i sostenitori di Morsi ai lati del sit-in. Testimoni oculari riportano che un gruppo di manifestanti si era mosso dalla moschea verso il ponte 6 Ottobre, ma ha trovato la strada bloccata dalle forze armate, che hanno poi attaccato con gas lacrimogeni e fucili. Hassan Ali, un insegnante di arabo, ha detto che la polizia era appoggiata da uomini armati in abiti civili; non era però chiato se si trattasse di agenti di polizia in borghese, cittadini o mercenari.

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I manifestanti dicono di aver solo tirato pietre, petardi e candelotti di gas lacrimogeno, anche se alcuni giornalisti presenti sostengono che ci fossero spari anche da parte dei manifestanti. Non ci sono stati morti tra i poliziotti, stando al Ministro dell’Interno.

Un sostenitore di Morsi, ferito, viene portato all’ospedale da campo per essere curato.

Sono arrivato a Rabaa appena dopo la fine della sparatoria. I feriti erano ovunque. I meno gravi giacevano per terra dentro la moschea, mentre alcuni reggevano flebo e buttavano gli aghi usati in bottiglie vuote. Volontari con buste di plastica piene di medicinali correvano avanti e indietro, fermandosi per togliersi le scarpe all’ingresso e affrettandosi verso l’ospedale con i feriti più gravi.

Lì, il flusso di pazienti e di cadaveri era insostenibile. “Non possiamo andare avanti,” ha detto il dottor Ahmed Fawzy. “Qui, qui e qui sono morti pazienti,” ha aggiunto, indicando tre punti diversi a un passo da dove stava. “Non avevo nemmeno spazio per lavorare.”

Fawzy e altri dicono che molte delle ferite fossero causate da proiettili sparati in testa, sul petto, sul collo e sull’addome, cioè: chi sparava sparava per uccidere.

Quando il caos si era un po’ calmato, un corridoio è stato liberato tra la folla nella sala d’emergenza improvvisata, per spostare i cadaveri da un obitorio temporaneo agli ospedali veri, perché i parenti potessero ritrovarli.

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Abbiamo aspettato un po’ mentre uomini dall’aria esausta in tute catarifrangenti, molti ancora con i guanti chirurgici, aiutavano a tenere il corridoio libero. Poco dopo, una processione di corpi coperti da lenzuoli bianchi intrisi di sangue è stata portata verso le ambulanze in attesa, accompagnata da canti contro Sisi.

Un omaggio a un sostenitore di Morsi ucciso.

I dottori all’ospedale da campo hanno dichiarato un totale 120 morti, mentre il conteggio ufficiale è fermo a 72 e l’Osservatorio per i Diritti Umani ne calcola almeno 74. In ogni modo, è la più grande perdita di vite umane da quando Hosni Mubarak è stato deposto nel gennaio del 2011, addirittura peggiore di quello delle sparatorie della Guardia Repubblicana, in cui 51 sostenitori dei Fratelli Musulmani sono morti il mese scorso.

Alla fine, il Ministro dell’Interno Mohammed Ibrahim ha detto che i militari non hanno usato altro che lacrimogeni contro i manifestanti, ma stando ai numeri di ferite da arma da fuoco la sua dichiarazione sembra estremamente improbabile.

Di ritorno a Rabaa, il clima era rabbioso; il massacro sembrava aver solo rafforzato l’intenzione dei manifestanti a perseverare, in particolare perché molti sentivano che era l’unico modo per evitare le future persecuzioni. Nel sole del pomeriggio, un gruppo stava costruendo una nuova barricata in una delle strade di accesso.

Un sostenitore di Morsi siede davanti a una barricata dove sono avvenuti gli scontri.

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“Non abbiamo scelta. Se ce ne andiamo ora, sarà solo a nostro discapito. Se continuano ad ammazzarci, non torneremo mai a casa,” dice Abdul Abraham, un giornalista che di solito lavora negli Emirati Arabi. “Potresti tornare qui tra un’ora, un giorno o una settimana e trovarci tutti morti,” ha gridato un altro uomo. “Ma continueremo a lottare.”

Anche i militari, però, rimangono risoluti. Ibrahim ha chiaramente esplicitato la propria intenzione di disperdere il sit-in e molti si aspettano che le forze armate intervengano presto. Nel frattempo, il Consiglio di Difesa Nazionale ha detto ieri che le proteste non pacifiche saranno represse in modo “fermo e definitivo”.

Nel frattempo sono in corso tentativi di mediazione; Catherine Ashton, responsabile delle politiche estere dell’UE, si trova ora al Cairo per incontri con i leader di entrambi gli schieramenti. Poco sorprendentemente, però, nessuno pare intenzionato a fare un passo indietro. E con l’Egitto diviso, sembra siano inevitabili ulteriori spargimenti di sangue.

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L'Egitto dopo Morsi - Trailer

[L'esercito egiziano ha ucciso 51 manifestanti pro Morsi](http://L'esercito egiziano ha ucciso 51 manifestanti pro-Morsi)