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Davvero Giachetti è il massimo che si può avere nella campagna elettorale di Roma?

Se dovessi riassumere la campagna di Roberto Giachetti, mi limiterei a un solo aggettivo: moscia. Ma cosa dobbiamo davvero aspettarci dalle amministrative di Roma?
Leonardo Bianchi
Rome, IT

Giuro di averci provato: mi sono letto i programmi, ho seguito le primarie, ho ascoltato quello che avevano da dire i candidati, ho anche seguito i loro eventi. Ma non c'è stato nulla da fare—appassionarsi alla campagna elettorale per le amministrative di Roma è davvero impossibile.

Gli spunti offerti dai candidati sono pressoché nulli; l'idea della Capitale che emerge dai programmi è striminzita e ripiegata su se stessa; e in definitiva, c'è la netta sensazione che nessuno voglia accollarsi sul serio il governo di una città in profonda crisi sotto ogni possibile aspetto.

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Nello sbandamento generale, mercoledì c'è stato un lieve sussulto: sulla pagina Facebook di Roberto Giachetti, il candidato del Partito Democratico, è stato infatti pubblicato un "anti-spot elettorale." Nei 30 secondi di riprese il candidato del Partito Democratico punta il dito verso la telecamera e pronuncia qualche frase fatta ("ora tocca a te, il tuo voto è la linfa del cambiamento"), per poi interrompersi e lamentarsi—come marcato accento romano—dello stesso spot, dato che "sto in mezzo alla ggente a parla' di programma, di buche e de Olimpiadi."

Il video è girato parecchio (nel momento in cui scrivo ha oltre 500mila visualizzazioni), ed è stato apprezzato e criticato in egual misura. Se da un lato—specialmente negli ambienti renziani—si è parlato di colpo di genio, dall'altro sono arrivate anche le critiche per somiglianza con un altro spot. A fronte di tutto ciò Proforma (la società di comunicazione che l'ha ideato) ha scritto, "Nessuno di noi pensava di aver realizzato uno spot straordinariamente innovativo. Funziona (secondo noi) perché il protagonista è Giachetti, perché Giachetti è davvero come lo spot racconta."

Ecco, secondo me lo spot non funziona proprio perché il protagonista è Giachetti. Per quanto il video possa essere ben costruito e incisivo—almeno stando ai numeri e alle reazioni che ha generato—l'immagine pop e spigliata che si vuole veicolare appare posticcia, e sostanzialmente non credibile.

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Più in generale, questo scarto tra il Giachetti "politico" e il candidato sindaco di Roma è uno dei problemi più evidenti dell'intera campagna. Fino a pochi mesi fa, infatti, il suo nome non era così conosciuto. Chiaramente non si trattava di un completo sconosciuto, visto che Giachetti ha alle spalle una lunga carriera politica—prima con i radicali (di cui ha spesso usato le tecniche di protesta, come lo sciopero della fame), poi con la Margherita e infine con il PD.

Giachetti ha ricoperto diversi incarichi: all'inizio degli anni Novanta è stato il capo di gabinetto della giunta Rutelli, mentre ora è un deputato (da quattro legislature), nonché il vicepresidente della Camera. Secondo un ritratto del Fatto Quotidiano, Giachetti sarebbe pertanto "un mix tra l'uomo di Palazzo e il gruppettaro," e nell'attività parlamentare si è distinto per essere "un mago dei regolamenti parlamentari."

Questo profilo discreto della figura di Giachetti—unita, chiaramente, alla fedeltà a Matteo Renzi—è stato indubbiamente il fattore decisivo che ha portato alla candidatura.

D'Alema non mi vota ? Meglio così! Tanto dove c'è lui si perde sempre. Massimo, mi aiuti a tua insaputa❤️ — Roberto Giachetti (@bobogiac)April 5, 2016

A proposito di quest'ultima, non si può non ricordare come per il PD la scelta sia stata a dir poco tirata per i capelli—quasi un'ultima spiaggia. Lo stesso Giachetti, nell' annunciare la sua discesa in campo nel gennaio del 2016, aveva dichiarato di averci "messo un po' di tempo" a decidere, "e non solo per un pizzico di paura che credo sia naturale, ma per una grande forma di rispetto per un impegno che so sarà immenso, gravoso."

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Nonostante una popolarità ed una riconoscibilità non esattamente stellari, Giachetti ha voluto scrollarsi di dosso l'immagine del "candidato votato al martirio" ribadendo di partecipare "non per fare testimonianza," ed essendo consapevole che "si può e si deve vincere […] Chi conosce la mia storia dovrebbe sapere che non mi arrendo mai."

La campagna è partita con un tour nelle periferie, e sin dal primo momento l'intento—come ha scritto Alessandro Giglioli nel suo blog—non è stato troppo misterioso: "far dimenticare tutto quello che fatto per anni il PD in città."

Il che, in effetti, si è immediatamente profilata come un'impresa abbastanza titanica: oltre al pesante coinvolgimento in Mafia Capitale, che ha portato al commissariamento del partito, la defenestrazione di Ignazio Marino è un ricordo ancora piuttosto vivido in città. Senza parlare poi delle serie sconfinata di errori— messi accuratamente in fila dal politico del PD Walter Tocci in Roma. Non si piange su una città coloniale—che hanno commesso le precedenti giunte Veltroni e Rutelli.

Per fare ciò, la campagna si è dunque mossa sin da subito su due binari ben precisi – da un lato l'obbligata "riverginazione" del PD, e dall'altro l'ordinarietà e l'onestà del suo candidato. Ma tenere queste cose, e contemporaneamente stimolare il coinvolgimento degli elettori, ha prodotto delle dissonanze piuttosto evidenti di cui lo spot elettorale è solo l'ultimo esempio.

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Anche il claim ufficiale della campagna—"Roma torna Roma"—è piuttosto ambiguo e si presta a vari fraintendimenti. In teoria dovrebbe stimolare l'immaginazione dell'elettore, ma nella pratica non si capisce a quale Roma ideale (o idealizzata) dovrebbe tornare l'odierna Capitale. Giachetti stesso non lo spiega mai; e non spiegandolo, annota Andrea Natella su Medium, il verbo "tornare" rischia "di essere letto come semplice restaurazione del partito coinvolto nelle vicende di Mafia Capitale e protagonista della dismissione della giunta Marino."

Questa piattezza comunicativa, che torna anche nella diretta live di Facebook con la pasta, è perfettamente speculare a quella delle proposte programmatiche del candidato del PD. Certo, Giachetti non ha detto nulla di terrificante o di inconveniente. Peccato che oltre a certi riferimenti generici—come il decoro urbano, i biglietti dell'autobus, la legalità, le Olimpiadi del 2024—non sia andato oltre, e che manchi completamente la visione di cosa dovrebbe essere questa città da qui a cinque anni.

Se dovessi quindi riassumere la campagna di Giachetti, mi limiterei a un solo aggettivo: moscia. Tuttavia, questo non vuol dire che non possa funzionare. Secondo gli ultimi sondaggi, infatti, il gap tra Virginia Raggi del M5S e il candidato del PD si starebbe riducendo, e la partecipazione al ballottaggio sembrerebbe sempre più certa.

Insomma, tutto ciò potrebbe anche essere efficace. A mio avviso, però, lo sarebbe solo ed esclusivamente per un motivo: ossia che il panorama intorno a Giachetti—tra il vuoto spinto di Virginia Raggi, le sparate di Marchini e i manifesti di Giorgia Meloni—è ancora più deprimente di quello che era solo lontanamente immaginabile.

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