FYI.

This story is over 5 years old.

Stuff

Niente di nuovo a Trastevere

Ci siamo fatti un giro a Trastevere prima che l’esercito arrivi a riportare l’ordine nel popolare rione romano simbolo della amatrician-movida.

Trastevere deserta. Foto di Federico Tribbioli.

Ho fatto un salto a Trastevere prima che l’esercito arrivi a riportare l’ordine nel popolare rione romano simbolo della amatrician-movida. La proposta è seria: viene da Orlando Corsetti (PD, ex presidente del I Municipio) e chiede di utilizzare i soldati di leva per presidiare il quartiere, visto che specie di sera la zona diventa un immenso girone infernale teatro di “degrado, risse, alcol e sesso dentro i portoni.” “Trastevere violenta”, titolano i giornali.

Pubblicità

La situazione è… uh, critica: “Lo sa il sindaco Marino che ormai i giovani di tutto il mondo vengono a sballarsi al centro di Roma?” tuonava sempre Corsetti una decina di giorni fa, e io me li immagino, questi depravati ubriaconi australiani, cileni, coreani, finlandesi, brutalmente vessati e repressi in casa, tristemente costretti a scolarsi i loro vodka & Redbull dinanzi all’algido azzurrino dei rispettivi computer, e allora la soluzione qual è?, diamo un’occhiata al sito dell’aeroporto di Fiumicino che se ci dice bene pizzichiamo un volo in offerta e finalmente potremmo ubriacarci a piazza Santa Maria in Trastevere, rifugio globale e patria elettiva per tutti gli sballati del pianeta. Roma capitale der vizio, Trastevere come Haight Ashbury, Peroni al posto degli Hoffmann, che costa pure di meno e tanto se poi ti scappa da pisciare puoi sempre farlo in strada, perché a Trastevere si piscia all’aperto.

Non è la prima volta che la vita notturna trasteverina finisce nel novero dei problemi di ordine pubblico. È anzi una storia che va avanti da… diciamo quarant’anni? Avete presente Roma, il film di Fellini, quando la polizia arriva a sgomberare i drogatissimi capelloni che occupano i gradini di una fontana? Ecco, quella è per l’appunto la fontana di Santa Maria In Trastevere. Mi viene adesso in mente che sulla non lontana via della Cisterna c’è un’altra fontana, risalente al 1927, a forma di botte di vino: un richiamo alle osterie che già all’epoca popolavano la zona ma anche, se vogliamo, un subliminale invito alla bisboccia. E sì, tocca dirlo: a Trastevere urinare all’aperto è un’attività diffusa, al punto che assieme ai pittoreschi vicoletti e alle popolari trattorie in stile Giggi er Bulletto, l’altra attrazione locale sono le saracinesche abbassate riportanti la scritta “divieto di sosta – si prega di non pisciare.”

Pubblicità

In passato mio nonno, che è di San Lorenzo e quindi sospetto provi per Trastevere un certo antagonismo figlio d’altri tempi (Trastevere, per i romani de’ ’na vorta, “nun è mica Roma” perché, come dice il nome, è “al di là del Tevere”), non perdeva occasione di ricordarmi come, ai suoi tempi, gli ormai ambitissimi appartamentini di via della Scala e dintorni erano occupati “da gentaccia”, e che le case “non c’avevano manco er cesso” (che sia questa la radice storica della famigerata pisciata open air?).

Poi il rione si è trasformato: sono arrivati gli americani, gli artisti, gli scapestrati e così via. In sostanza, Trastevere è un esempio di quartiere gentrificato in anni in cui la parola gentrification ancora non era diventata d’uso comune. È il quartiere bohémien che sta pure sulle guide Michelin, un’isola di anticonformismo istituzionalizzato che come una calamita attira frotte di giovinastri dai quattro angoli della Capitale, specie di sera, specie durante il weekend. Prima erano i dropout, gli spostati, i creativi dalla sessualità ambigua, poi sono arrivati gli studenti, gli universitari, i professionisti in pausa weekend, e alla fine i coatti, i teppisti col motorino modificato, i borgatari. Faranno anche un casino della madonna, ma il risultato è che le fantomatiche ex case senza manco il cesso adesso possono valere fino a diecimila euro al metro quadro. Dico: 500 mila euro per 50 metri quadrati con affaccio su vicolo del Bologna, a un tiro di schioppo da piazza dei Renzi. Interessa?

Pubblicità

Piazza Trilussa.

Nel caso stiate già lì a controllare l’annuncio su immobiliare.it, devo avvertirvi: piazza dei Renzi è, al momento, il punto più caldo dell’intero rione. L’altra piazza storicamente teatro dell’abbrutimento alcolico, piazza Trilussa, è caduta in disgrazia a causa di improrogabili lavori di ristrutturazione (quando ci passo, giusto a inizio passeggiata, l’unica cosa che trovo è un gazebo del Movimento 5 Stelle. Ovviamente vuoto), e i perdigiorno dalla bottiglia facile si sono trasferiti lì, che alla fine da piazza Trilussa non sono manco 200 metri. Per i residenti, piazza dei Renzi è l’epicentro di tutte le più perniciose abitudini che hanno invaso il quartiere, e qualche settimana fa ha suscitato un discreto scalpore l’atterramento a cazzotti di un ignaro cameriere, a imitazione (pare) di quel passatempo importato da fuori comunemente noto col nome knockout. E poi: ragazzi che gozzovigliano fino alle cinque di mattina, motorini incendiati, risse coi sacchi della spazzatura usati come arma impropria, urla, droga, e ovviamente pisciate ovunque.

Piazza dei Renzi.

Quando però ci passo io, piazza dei Renzi è praticamente deserta. Il locale che, così mi dicono, è la causa principale della degenerazione del posto, ha spontaneamente deciso di abbassare le serrande in attesa di tempi più miti (in effetti ci sono un paio di poliziotti davanti, alle prese con non so quali controlli). Raccolgo un po’ di pareri in giro, e ne ricavo un tipico concentrato di minimizzazione alla romana: il knockout? Leggende dei giornali. Il motorino incendiato? Un banale incidente. Le risse? So’ giovani, che ce vòi fa, finché se menano tra loro…. I residenti incazzati? So’ quattro in tutto, qui ’a gente è abituata. Sarà. Il fatto è che ai romani piace molto dare l’impressione di essere gente che troppe ne ha viste per scandalizzarsi di checchessia. Uno prende un cassonetto, lo svuota, lo dà in testa al vicino mentre con l’altra mano appicca il fuco a un SH parcheggiato sul marciapiede e già che c’è col piede fa rotolare un barile carico di petardi, e al massimo la reazione è un’alzata di sopracciglia. Sapete com’è, stiamo qui da duemila anni eccetera eccetera. È quel tipico atteggiamento riassunto nel sempiterno slogan “Quando voi stavate sull’alberi, a Roma eravamo già froci”.

Pubblicità

Ma in effetti devo dire che, nella mia passeggiata trasteverina in data aprile 2014, ho ritrovato gli stessi tratti di quando Trastevere lo frequentavo più o meno assiduamente anch’io, diciamo una decina di anni fa e forse anche qualcosa in più: lo struscio esasperato e chiassoso, i turisti un po’ frastornati un po’ inebriati da tanta ruspante umanità, i locali che vendono birra da quattro soldi, i borgatari in visita al centro, gli americani della John Cabot University, le trappole per turisti, i punkabbestia che si mescolano a universitari e avvocati, insomma, solita roba. A piazza San Calisto, solo poche settimane fa notavo che sui muri erano appesi manifestini di concerti hardcore esattamente come nel 2002.

Piazza San Calisto.

Lo storico bar che lì affaccia, conserva gli stessi arredamenti, la stessa cioccolata con panna, gli stessi cornetti di quando con gli amici prendevamo il motorino dal lontanissimo Casilino per assaporare il brivido della nightlife de’ noantri. Su via della Lungaretta resistono indefesse le bancarelle che vendono poster di Che Guevara e Bob Marley. Il mio amico Davide, che lavora alla libreria Minimum Fax di piazza Santa Maria in Trastevere, prova a darmi un po’ di dritte sulle nuove geografie del quartiere, ma il massimo che ne ricavo è l’indirizzo di una pizzeria al taglio dove mangiare discretamente senza essere derubati.

Se vogliamo, Trastevere è un caso di scuola di come funziona la gentrification alla romana negli ex quartieri popolari trasformati in divertimentifici 24/7: il valore degli immobili schizza, i locali si rinnovano, i ristoranti raddoppiano, eppure è come se ogni nuova passata di vernice non riuscisse mai del tutto a coprire quella che l’aveva preceduta. I dozzinali pub in stile irlandese spuntati un po’ ovunque negli anni Novanta sono stati sostituiti da ancor più tamarri ambienti-design, ma ogni pur vaga aspirazione “europea”, moderna, up-to-date, viene bruscamente riportata a terra dall’ostinazione di un contesto che in qualche modo è come se rifiutasse di abdicare a se stesso.

Pubblicità

A via del Politeama incrocio un paio di locali che fanno tanto corso Como a Milano e in cui i cocktail devono stare dai 12 euro in su, ma giusto dirimpetto a loro c’è l’immancabile bangla con le Moretti calde. Poco sopra, davanti al Freni e Frizioni incontro una folla numerosa sì, ma fin troppo beneducata e nemmeno tanto giovane. Gli hipster che cinque anni fa l’avevano eletto a ritrovo non ci sono più, pare che abbiano preso a frequentare uno dei più celebri pub del posto, e quando dico celebri intendo che è vero, ci vengono addirittura da fuori Italia, è il tempio della birra artigianale e ogni anno finisce puntualmente in cima alle classifiche del sito ratebeer.com, e insomma lo sapete, cosa c’è di più hipster che una IPA? Solo che il pub in questione porta l’assai poco hipster nome di Ma Che Siete Venuti a Fa, e la prima volta che ci andai venni accolto da un tipo che portava una maglietta con su scritto a caratteri cubitali IO NON BEVO BIRRA DE MERDA in uno stile pericolosamente prossimo all’ormai dimenticato “Rutelli non è il mio sindaco.” Ci ripasso anche stavolta e sulla soglia prima ancora che l’odore dei luppoli mi assale un profumo di erba buonissima, la gente parla daa maggica, un punkabbestia mi passa davanti e almeno lui alla Mikkeller continua a preferire la Dreher.

Manifesti a San Calisto.

Dall’altra parte del quartiere, davanti al cinema America Occupato una vecchia folksinger sopravvissuta agli anni Sessanta si esibisce con chitarra e armonica, ha aggiornato il repertorio e al posto di Joan Baez propone una cover di "Moonlight Shadow" rovinata dalle tropp droghe. Dentro proiettano I cento passi, dietro l’angolo una coppia di tossici reduci dagli anni Ottanta fa diligentemente spazio alla mamma svedese con carrozzina che con passo nordico calpesta i sampietrini intasati di cicche e monnezza, ma soprattutto ovunque ci sono loro: i romani, pischelli delle periferie e coatti in motorino le cui urla rimbombano tra le pareti strette dei vicoli.

Magari vengono da Primavalle, magari addirittura da Torbella, magari sono solo fascistelli di Monteverde, sono ovunque e avanzano nelle loro scomposte formazioni del venerdì sera, le pose tracotanti e a loro modo eroiche, immagino che puntino diritti al macello di piazza dei Renzi senza sapere che lì non troveranno nulla. I militari a Trastevere non ci arriveranno presumibilmente mai, ma intanto la piazza è un mortorio, è bastato chiudere un-locale-uno e addio motorini incendiati, botte coi cassonetti, capocciate a tradimento, e mi viene da pensare che almeno per stasera la gentrification ha vinto, la Trastevere che per l’ennesima volta si rifà il trucco a ’sti tizi qui non ce li vuole—sono gli eredi dei trasteverini di mio nonno ma adesso il quartiere li considera corpi estranei, e insomma che cazzo ci vengono a fare in un posto che per cinquanta metri quadri ti chiedono mezzo milione?

Mi consolo pensando che a emergenza mediatica conclusa si riprenderanno piazza e quartiere, loro e tutti gli altri: i capelloni che paiono presi dalla Roma di Fellini e i tossici del SERT che sta a via dei Riari, i punkabbestia e gli hipster, i turisti e gli avvocati ubriachi. Alla fine me ne vado a prendere il notturno alla fermata davanti al cinema Reale. Sul biglietto c’è una foto di papa Wojtyla: tra una decina di giorni lo canonizzano e già che ci sono ci fanno pure un musical.

Segui Valerio su Twitter: @thalideide