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Milano vuole diventare una città-vetrina e sfrattare chi non ha soldi

La questione dell'emergenza casa, a Milano, è il risultato di decenni di scelte amministrative e politiche ben precise. E tra investimenti azzardati e sgomberi, la situazione si fa sempre più critica.

Un palazzo a Giambellino. Tutte le foto sono dell'autore.

Muri grigi, sporchi, ricoperti di scritte contro la polizia e gli sgomberi. Il portone arrugginito è spalancato. Entro nel cortile. Le facciate sono scrostate, l'intonaco sembra debba cadere da un momento all'altro. Mi avvicina la portinaia, una donna bionda sulla cinquantina, con un solo dente, nero, in bocca. "Qui ormai di italiane siamo in tre," ride, e indica una signora che attraversa il cortile in quel momento, e di seguito un'altra che ci guarda da un balcone malconcio. "Stai fotografando come cade a pezzi questo palazzo? Ci vogliono i lavori," dice quest'ultima.

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Sono in uno stabile all'imbocco di via degli Apuli, quartiere Giambellino-Lorenteggio, Milano. È una delle vie in cui lo scorso novembre si sono svolti gli scontri durante la tentata applicazione del piano d'intervento straordinario, quello dei 200 sgomberi previsti in una settimana che hanno suscitato tanto clamore da parte della stampa—insieme a quelli avvenuti a Corvetto nei confronti dei centri sociali anarchici Corvaccio e Rosa Nera.

Vista la resistenza opposta da questi quartieri in quelle giornate, il 31 dicembre la prefettura ha emesso una direttiva per uno stop degli sgomberi in quelle zone. Tuttavia gli sfratti sono continuati in altri quartieri della città, come a Greco o a Quarto Oggiaro, dove i movimenti antisfratto sono assenti o meno forti, e soprattutto per quanto riguarda gli stabili di proprietà del Comune (ora gestiti da Metropolitana Milanese). Inoltre per gli occupanti la situazione si fa ancora più critica per le conseguenze del piano casa Renzi-Lupi.

Un cortile di via degli Apuli, Giambellino

Ma quella dell'emergenza casa, a Milano, non è una questione che nasce nel corso dell'ultimo anno. Si tratta del risultato di decenni di scelte amministrative e politiche ben precise. La situazione è diventata sempre più critica da quando, con una legge regionale del 1996, l'ex IACP è stata trasformata in ALER, un'azienda vera e propria, con fini di profitto. I problemi a cui ha portato questa direzione sono ben visibili nel fallimento delle sue partecipate (ora tutte in dismissione, e di cui ALER si accollerà i debiti) e soprattutto di ASSET srl, una società immobiliare che ALER controllava al 100 percento, e per le cui perdite, dovute a investimenti azzardati, quest'ultima ha sempre dovuto ripianare i buchi di bilancio.

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ALER dunque si ritrova, dopo la malagestione dell'era Formigoni, indebitata fino al collo, subissata dai costi di manutenzione dei suoi stabili, senza più poter chiedere prestiti alle banche. Come se non bastasse, le sue stesse case sono state ipotecate in garanzia, e dal 2013 inoltre l'azienda è stata commissariata, finendo peraltro in dubbie mani.

A dicembre 2014 è stato presentato un piano di risanamento, che, prevedendo il passaggio della percentuale di morosità (cioè di chi non riesce a pagare l'affitto) dal 43 percento al 13 percento, di fatto comporta il prosieguo del piano straordinario di sgomberi a Milano. A ciò si accompagna il progetto di vendita di 6.688 alloggi agli inquilini che già li abitano (o tramite aste), la riduzione dei costi di gestione e amministrazione, e un taglio di 13 milioni ai costi del personale, da attuare soprattutto tramite prepensionamenti.

In ogni caso, dal trattamento che i media hanno riservato alla questione—per lo più limitato a novembre 2014 e focalizzato sui singoli scontri con le forze dell'ordine—è evidente come non si sia messa in luce la complessità della situazione dell'edilizia popolare milanese, né il punto di vista di coloro che questa situazione la vivono quotidianamente da anni.

Per questo sono andato in via Odazio, nel quartiere Giambellino, dove ho l'appuntamento con dei ragazzi del Comitato Abitanti Giambellino-Lorenteggio. Li incontro alla Base di Solidarietà, un ex-bar occupato situato esattamente al centro del quartiere di edilizia popolare. La maggior parte di questi stabili sono di proprietà ALER, e solo alcune palazzine, di più recente costruzione, sono del Comune di Milano. Di tutti gli appartamenti solo una minima percentuale.pdf) è stata venduta agli inquilini.

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Come mi dicono i ragazzi del comitato, questa è la zona più calda dell'emergenza abitativa. Qui le case ALER sono state costruite negli anni Venti, e sono dette "dei Francesi" in quanto destinate agli italiani emigrati in Francia e richiamati contro il loro volere in patria con l'avvento del fascismo.

Anche per questo motivo il quartiere è sempre stato antifascista: qui, ad esempio, le Brigate Rosse svolgevano i loro primi comizi all'aria aperta; e a oggi la stragrande maggioranza degli abitanti è di prima immigrazione, o comunque di origine straniera. Le istituzioni o le amministrazioni cittadine al contrario sono poco presenti sul territorio, che di fatto è abbandonato.

In via Segneri c'è stata la prima occupazione del Comitato Abitanti, sgomberata dopo due mesi. Lì ogni giovedì si tiene il mercato settimanale, e questo ha permesso una prima interazione con gli abitanti, soprattutto con le madri di famiglia. Ma il vero appoggio è nato dopo che l'occupazione si è trasferita in via Odazio, e soprattutto in seguito all'emergenza di novembre.

In una sola settimana i ragazzi del comitato si sono trovati in mezzo all'opposizione degli abitanti, fornendo appoggio e coordinazione a una protesta che è nata spontaneamente dalla gente del quartiere. "Per lo più, quella di novembre è stata una montatura mediatica," mi dice uno dei ragazzi, "un tentativo di terrorizzare gli occupanti, anche perché non è che hanno fatto più sgomberi di quanti ne facevano prima."

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L'ingresso della Base di Solidarietà, Giambellino.

Mentre svoltiamo in via degli Apuli passo davanti al bar frequentato dagli italiani, all'angolo. Qualcuno pensa che io sia dell'ALER e scherza sul rompermi la macchina fotografica, ma i ragazzi del Comitato garantiscono per me. Finché non vedono che sono accompagnato da loro l'atmosfera è tesa: un uomo sui quarant'anni, rom, mi intima di non fotografare i bambini che giocano per strada. Dalle finestre mi guardano con sospetto anziane signore nordafricane. Alcuni graffiti non sono in italiano, altri presentano degli errori di ortografia.

Il quartiere è abitato in maggioranza da stranieri: fino a qualche mese fa era forte la diffidenza tra loro e i pochi italiani residenti. La resistenza congiunta agli sgomberi ha contribuito a far cadere le diffidenze, insieme alle attività solidali della Base—come il doposcuola per i bambini, le feste domenicali o le distribuzioni gratuite di cibo e vestiti.

I più entusiasti sono stati i sudamericani, che ora hanno quasi preso il monopolio della Base di Solidarietà—specialmente durante le feste—ma anche i nordafricani; i rom rimangono in parte diffidenti, e i pochi italiani si tengono un po' in disparte. In riferimento alla situazione un ragazzo mi cita un famoso libro, L'insurrection qui vient del collettivo francese Comité Invisible, e questa frase sulle banlieue parigine: "Paradosso vuole che i posti apparentemente più inabitabili siano i soli a essere in qualche modo abitati."

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Con questo vuole dire che i quartieri più poveri, disagiati e abbandonati possono però salvarsi dall'alienazione tipica di quelli più centrali. A Giambellino gli abitanti—vuoi perché disoccupati, vuoi perché le case sono minuscole, vuoi per altri motivi—si trovano a vivere una rete di rapporti umani molto più partecipata.

Per fare un esempio: dopo la decina di giorni di emergenza di novembre, gli abitanti, compresi i ragazzini che giocano tutto il giorno in bicicletta per le strade, hanno autonomamente cominciato ad avvisare il comitato quando vedevano auto o camionette della polizia entrare nel quartiere. Il comitato fornisce anche un "numero verde" antisgomberi da chiamare in caso di emergenza.

Numero antisgomberi, Giambellino.

Qui il fenomeno delle occupazioni abusive è favorito dalla presenza di un'enorme quantità di case vuote, tra l'altro quasi sempre in buone condizioni e riscaldate. Per di più le porte sono facilmente apribili, e nel quartiere nessuno dorme per strada anche per questo motivo. "Per quanto ne sappiamo noi, le storie di vecchie che escono per fare la spesa e al ritorno si trovano la casa occupata sono quasi leggende metropolitane," mi dice uno dei ragazzi. "In questa zona non c'è mai stato un racket delle case popolari. Quello che accadeva e forse accade ancora è roba da poco, l'apertura di una casa fatta da altri abitanti del quartiere in cambio di pochi spiccioli. Sono tutti poveri che occupano per necessità."

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A ogni modo, secondo i residenti nel quartiere è in atto un progetto di gentrificazione. "I progetti della metropolitana e del teleriscaldamento servono solo ad alzare il valore degli immobili e di conseguenza aumentare il costo degli affitti," mi dice un residente. "Hanno proposto la vendita delle case agli inquilini, con prezzi superiori ai 100.000 euro: ma anche quando non si tratta di occupanti qui ci sono per lo più anziani con pensione minima o disoccupati che vivono di espedienti, ed è ridicolo chiedere loro quei soldi." In via Segneri è già stata recintata l'area del cantiere (fermo) per una fermata della M4, la cui durata dei lavori è stimata in 88 mesi; in via Lorenteggio invece sono visibili palazzoni nuovi, privati, e di evidente valore.

Parlando con alcune famiglie del quartiere ho scoperto che non solo sono viste di buon occhio le iniziative solidali della base, ma anche i graffiti che cominciano a ricoprire i muri della zona—come quello, enorme, che campeggia sulla facciata di un palazzo in via Segneri, dedicato a Guccio, un ragazzo scomparso lo scorso anno. Secondo molti abitanti abbelliscono il quartiere. Un ragazzo del Comitato mi parla anche del sogno di rendere questo quartiere una sorta di Kreuzberg milanese.

Il murales dedicato a Guccio, Giambellino.

Non ho percepito la stessa fibrillazione a San Siro, dove pure la situazione abitativa è molto simile. Anche questo è un quartiere popolare da sempre politicamente attivo, basti pensare che qui visse Giuseppe Pinelli e che da più di vent'anni in via Micene è presente uno spazio occupato. Le problematiche sono all'incirca le stesse che a Giambellino, ma qui un comitato, Abitanti San Siro, è attivo nel quartiere da circa cinque anni.

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Quando arrivo in via Civitali mi accoglie subito un lunghissimo murales dedicato quasi totalmente alla memoria di Davide Cesare, detto Dax, un militante antifascista milanese assassinato nel 2003. Il clima è certamente più rilassato, cosa che ho riscontrato anche dal fatto che nessuno mi ha guardato storto, benché non fossi accompagnato.

In questi anni il comitato Abitanti San Siro è riuscito a resistere a molti sgomberi e a ravvivare la vita di un quartiere in cui anche i negozi, per l'aumento degli affitti ALER, continuano a chiudere, e in cui molti servizi mancano. Caso emblematico l'asilo di via Zamagna, vuoto da vent'anni e ridotto in condizioni tali da impedirne anche un'occupazione a scopo funzionale. Non sono solo i servizi a mancare: le abitazioni stesse versano in condizioni precarie. Magari rifanno la facciata, ma all'interno le strutture rimangono degradate, tanto che a volte ne viene ordinata l'evacuazione per motivi di sicurezza.

L'ex-asilo di via Zamagna a San Siro.

Al disagio conseguente a questa situazione sopperiscono alcune associazioni di quartiere e il comitato stesso, con iniziative volte a non trasformare la zona in un dormitorio e a reagire all'emergenza abitativa. "Abbiamo anche un'occupazione a scopo abitativo in piazza Stuparich, S.M.S. [Spazio Mutuo Soccorso]," mi dice una ragazza che incontro al Micene. "Lì portiamo avanti varie attività, distribuzione di vestiti, iniziative artistiche e altro. Abbiamo anche una palestra popolare. Altre attività le facciamo anche nel pieno del quartiere, in piazza Selinunte, dove ogni estate organizziamo giornate di svago soprattutto per i bambini di qui, che non possono permettersi di andare in vacanza".

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Edificio ALER, San Siro.

Qui gli abitanti mi parlano subito della questione del racket, che invece appariva marginale o quasi assente a Giambellino. "Le vedo, le bande di stranieri che stanno agli angoli della strada e aspettano solo che qualcuno gli chieda di aprirgli una casa," mi dice un'anziana portinaia di uno stabile ALER.

Anche i ragazzi del comitato mi confermano che la lotta al racket è una delle loro priorità, insieme al convincere gli abitanti a non cedere alle offerte di ALER, che propone l'acquisto degli alloggi in cui vivono. "Qui per un trilocale ti chiedono 70.000 euro, è inevitabile che qualcuno pensi di fare un affare. Ma il punto è che molte di queste case hanno i muri marci, e se anche non crollano poi i lavori di ristrutturazione sono a carico tuo," mi dice uno dei ragazzi del Micene. "In più cerchiamo di spiegare che è di per sé legittima l'esistenza e il mantenimento di un'edilizia popolare pubblica."

Vista la vicinanza del quartiere al sito di Expo, gli chiedo quanto quest'evento influisca sulla loro situazione. È noto come in vista di quest'ultimo a Milano si sia inasprita la repressione nei confronti di molte iniziative politiche—dall'uso di lacrimogeni contro i cortei studenteschi allo sgombero di centri sociali come il S.O.Y. Mendel di Baggio o l'ex-Caserma Mameli di via Suzzani.

"Non siamo tanto preoccupati da Expo in sé, diciamo che è solo l'ennesima riproposizione del modello di sviluppo urbano che combattiamo ogni giorno," mi dice. "Vogliono completare la trasformazione di Milano in città vetrina, e non si preoccupano che questo comporti l'isolamento delle fasce di popolazione più basse, relegate tramite i processi di gentrificazione sempre più ai margini della metropoli."

In fondo, la questione dell'emergenza casa a Milano non è altro che un risvolto di quel sogno che vuole rendere questa città un'ideale metropoli europea finanziarizzata, anche a scapito degli abitanti e delle realtà preesistenti a cui quel sogno non appartiene.

E da quello che mi hanno detto e ho potuto vedere, in questi quartieri periferici, poveri e abbandonati, il movimento per la casa è qualcosa di più che una lotta per difendere il diritto di avere un tetto sotto cui vivere.

Segui Stefano su Twitter: @sfnsnt