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Gli sgomberi a Milano non stanno risolvendo un bel niente

Le istituzioni vogliono risolvere con la forza la situazione degli alloggi popolari occupati abusivamente in alcuni quartieri milanesi. Ma l'opposizione di abitanti e attivisti sta rallentando parecchio il piano di questura, comune e prefettura.

Una ragazza regge un cartello durante la fiaccolata anti-sgombero nel quartiere Giambellino del 19 novembre. Tutte le foto sono dell'autore.

All'aprirsi di una nuova settimana di sgomberi, la tensione nelle periferie milanesi rimane altissima. Questa mattina, nel quartiere Giambellino, una settantina di manifestanti ha cercato di b​loccare lo sfratto di una famiglia marocchina, opponendosi agli agenti di polizia in assetto anti-sommossa con lanci di uova e oggetti.

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Le forze dell'ordine hanno risposto con cariche di alleggerimento. Un uomo, in segno di protesta, è salito sul tetto sventolando una bandiera con la scritta: "Stop sfratti, sgomberi e pignoramenti."

Le persone salgono sui tetti per resistere agli sgomberi. Accorrete al presidio. — ivnbkn (@ivnbkn)November 25, 2014

Quanto accaduto poche ore fa, tuttavia, è solo l'ultimo di una serie di sgomberi. La settimana scorsa ne ho seguiti diversi, come ad esempio quelli del 18 novembre nel quartiere Corvetto, che si sono protratti per tutta la giornata. Gli sfratti—e soprattutto gli sgomberi dei centri sociali Corvaccio e Rosa Nera—avevano innescato una vera e propria ​guerrigl​ia urbana tra forze dell'ordine, attivisti e occupanti, poi sfociata in barricate e cassonetti bruciati.

Il dispositivo di sicurezza, tra cui elicotteri, blindati e centinaia di agenti, sarebbe costato almeno 100mila euro—soldi che si aggiungono a quelli necessari per ogni procedura di sgombero, che possono  arriv​are anche a 10mila euro. Qualche giorno dopo gli scontri a Corvetto, una donna incinta che sostiene—supportata da diversi testimoni oculari—di essere stata colpita da una manganellata ha perso il bamb​ino.

Che la tensione, nel corso della scorsa settimana, fosse parecchio alta lo conferma anche quanto successo nella notte tra il 18 e il 19 novembre, quando un gruppo non identificato ha appiccato u​n incendio negli uffici dell'ALER. Il giorno prima, via dei Vespri Siciliani è stata teatro di un altro sgom​bero, finito anch'esso in scontri tra forze dell'ordine e abitanti del quartieri.

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Una simile escalation scaturisce dall'annuncio della giunta Maroni di proced​ere a 200 sgomberi nelle settimane successive al 10 novembre. Il progetto è stato però liqui​dato dall'assessore regionale alla Casa, Paola Bulbarelli, come un "annuncio spot" e un obiettivo inarrivabile all'atto pratico.

Se il piano sgomberi è indubbiamente il casus belli che ha fatto scoppiare la polveriera milanese, l'emergenza abitativa e la cattiva gestione delle assegnazioni delle residenze è un problema che si trascina da anni.

Secondo il "Piano Operativo di Azione per la preven​zione ed il contrasto alle occupazioni abusive di alloggi di Edilizia Residenziale Pubblica" della prefettura di Milano, in città ci sono più di 89mila alloggi di proprietà pubblica: 61mila sono dell'Aler (Agenzia lombarda per l'edilizia residenziale); 28mila sono del Comune; quattromila sono occupati abusivamente; e infine, circa 10mila sono completamente vuoti.


Via dei Cinquecento dopo gli scontri del 18 novembre.

Il piano di sgomberi, appunto, si concentra su quei 4mila alloggi occupati abusivamente. Le proteste, di contro, nascono dalla mancata assegnazione di quei 10mila alloggi che aiuterebbero a mitigare l'emergenza abitativa milanese.

Secondo la prefettura, lo sgombero non sarebbe mirato solo alla riassegnazione degli alloggi, ma per contrastare un più generale problema di rispetto della legalità. A quest'ultimo proposito, come anticipato da alcune inchie​ste giornalistiche, il 24 novembre la commissione parlamentare antimafia ha in​vitato a "non sottovalutare il rischio di infiltrazioni mafiose."

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Corteo anti-sgombero nel quartiere San Siro, 20 novembre.

Ad ogni modo, il 1 dicembre del 2014 28mila abitazioni date in gestione all'ALER ritorneranno sotto la giurisdizione del comune. Il sindaco di Milano Giuliano Pisapia ha dichiarato di voler procedere alla riqualificazione del patrimonio immobiliare comunale, dicendosi "pronto a vincere la sfida."

Ridurre l'emergenza abitativa milanese a una manciata di cifre è però estremamente riduttivo. Il lato umano della vicenda è chiaro non appena si mette piede in uno dei tanti quartieri interessati dagli sgomberi.

"Se rimango senza casa, dove posso andare? Ho due figli minorenni," mi racconta Annamaria, incontrata una mattina durante uno sgombero in zona San Siro. "Mio marito fa l'operaio. Abbiamo una sola fonte di reddito. Quello che chiediamo è semplicemente di essere messi in regola. Vorremmo che ci fosse data la possibilità di pagare in base alla nostra busta paga, senza essere più abusivi."

Continuando a parlare con chi vive sull'orlo dello sgombero, la paura e l'angoscia per il futuro la fanno da padrone. Ziad, ad esempio, viene dall'Egitto: lui e sua moglie hanno due figli piccoli. È circa un anno che occupano un appartamento nella periferia nord di Milano. "C'è poco lavoro e non abbiamo abbastanza soldi per l'affitto. Con questa storia degli sgomberi mia moglie non dorme e piange tutta la notte. Abbiamo paura di trovarci per strada da un giorno con l'altro e non possiamo far altro che aspettare che succeda."

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Italiani e non, le storie che si sentono per strada non sono diverse tra di loro. Il filo comune è l'instabilità causata dalla crisi economica, prima ancora che l'alloggio sotto sgombero.

Ho incontrato Marco a una fiaccolata an​ti-sfratti nel quartiere Giambellino. "Lavoro di notte per poco più di sei euro l'ora," mi racconta. "Ho due figli e mi rendo conto che se la situazione rimane la stessa, saranno loro, i bambini, a pagarne le conseguenze. Lo stato richiede rispetto ma vogliamo che il rispetto sia mostrato anche nei nostri confronti accelerando le graduatorie per le case, ristrutturando. Non mandando la celere."

Fiaccolata di solidarietà contro gli sgomberi, 19 novembre.

I cortei e i presidi sono forti del numero dei diretti interessati dal piano di sgomberi; ma la composizione della base che protesta si è decisamente allargata nel corso delle proteste. "Il punto, non solo di questa fiaccolata ma di tante altre mobilitazioni di questi giorni, è attivarsi e scendere per strada per casa mia, per la casa del mio vicino, per casa sua," dice Marco indicando un manifestante poco più avanti.

Come il movimento cresca contestualmente per numero e diversità me lo spiega Armando, un operaio in pensione che è membro del Comitato Antirazzista Milanese: "La crisi di oggi è una crisi di rappresentazione, non solo una crisi economica. Vogliamo formare un coordinamento in grado di includere più lotte, non solo quella per la casa." L'obiettivo, continua Armando, è quello di formare "un gruppo capace di auto-rappresentarsi, di diventare un movimento di massa e diffidare il governo dal portare avanti una linea che otterrà solo l'estensione e l'inasprimento del conflitto già in corso."

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Stando a molti di quelli con cui ho parlato, la copertura mediatica non ha voluto catturare l'esatta composizione dei gruppi che si oppongono agli sfratti. Grande attenzione è stata posta sul ruolo dei gruppi di "autonomi" o "antagonisti", additati come responsabili dello scoppio di violenza della scorsa settimana.

Due attivisti sul tetto del centro sociale Corvaccio, durante gli sgomberi del 18 novembre a Corvetto.

"Quello che abbiamo visto nei giorni scorsi," mi spiega un "autonomo" incontrato durante uno sgombero, "è stata un'esplosione di rabbia popolare in risposta al comportamento prepotente e arrogante delle istituzioni, all'oppressione, alla campagna di terrore che da mesi si tiene al Giambellino e altri quartieri di Milano."

"Con i primi sfratti di lunedì è scoccata una scintilla che ha permesso alla povera gente di visualizzare un nemico preciso," racconta l'attivista. "Se prima gli occupanti vedevano un nemico in altre persone del quartiere—rom, extracomunitari, studenti—adesso il nemico vero è diventato lo Stato."

La stampa ha anche presentato gli autonomi—loro preferiscono definirsi "compagni organizzati"—come completamente slegati dalle realtà in cui avvengono gli sgomberi. Ma le componenti autonome e antagoniste del movimento sono di avviso completamente opposto: "I compagni organizzati non sono arrivati dal nulla al fianco della gente dei quartieri. I compagni sono parte integrante del tessuto sociale del quartiere. Quando le contraddizioni esplodono come sono esplose questa settimana, non facciamo altro che intervenire come abitanti, al fianco degli abitanti."

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Corteo anti-sgombero nel quartiere San Siro, 19 novembre.

Ad oggi, solo una minima parte dei duecento sgomberi è stata attuata. Gli scontri e il conseguente attrito sociale che si è venuto a creare hanno però fatto vacillare l'immagine di Milano come città pronta a ospitare il grande banchetto di Expo 2015.

I quartieri rimangono all'erta con frequenti riuni​oni per decidere la linea da adottare. Gli autonomi, gli antagonisti, i compagni organizzati—scegliete voi l'etichetta che preferite—promettono ulteriori occupazioni e mobilitazioni. Le istituzioni, invece, a parole sembrano ricorrere alla moderazione, afferma​ndo di voler "attenuare" il programma di sgomberi stilato da Prefettura e Comune.

Fa riflettere, tuttavia, che una simile decisione sia stata motivata dall'imminente ​Prima ​della Scala e dall'apertura di Expo, e non dal fatto che sgomberare intere famiglie con l'arrivo dell'inverno sia una misura che certamente non spicca per umanità.

Segui Matteo su Twitter: @MattCngr