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SIAE? NIAE!

Di tutte le mafie legali e non, vecchie e nuove, statali e private che si litigano l'Italia, la SIAE rappresenta il caso più emblematico di come vanno le cose in questo Paese.

Mentre negli Stati Uniti l'annosa, spinosissima questione della proprietà intellettuale ha iniziato a generare assurdi scenari da guerra totale, dalle nostre parti sono anni che ci troviamo a fare i conti con qualcosa di molto simile, anche se più vicino ai soliti grovigli di burocrazia e prepotenza che in questo Paese determinano chi lo piglia in tasca e chi nel retto. Di tutte le mafie legali e non, vecchie e nuove, statali e private che si litigano l'Italia, la SIAE rappresenta infatti il caso più emblematico di come vanno le cose in questo Paese. Vecchio pachiderma statale il cui unico scopo sembra essere ingrassare sulla pelle degli artisti meno affermati, la Società Italiana Autori ed Editori dovrebbe in teoria tutelarne i diritti e proteggere la proprietà intellettuale. La realtà dei fatti è radicalmente diversa: non contenti di tassare libri, dischi e DVD tramite un bollino obbligatorio—che sarebbe invece illegale secondo l'unione europea—si prendono anche una percentuale sulle vendite di tutti i supporti mediatici, dai vhs agli hard disk, dando per scontato che verranno usati per piratare materiale protetto da copyright—ed è storia recente come siano arrivati ad avanzare pretese anche sui trailer postati online (450 euro a trimestre per degli embed), fortunatamente rientrate.
Vice versa, i soldi che un piccolo autore sborsa annualmente per garantirsi la tutela da parte dell'associazione, sembrano essere molti di più di quelli che vede tornare indietro. Si parla di qualcosa come 800 milioni di euro di debito nei confronti degli iscritti. “I problemi di cui soffre la SIAE sono sempre gli stessi da anni” ci ha detto Simone Aliprandi, responsabile del Progetto Copyleft-Italia.it, “ovvero, l'eccessiva burocratizzazione degli uffici, nonché i meccanismi di raccolta e ripartizione dei proventi tuttora basati su criteri che non tengono in considerazione le nuove forme di fruizione delle opere.” Insomma, una gabbia da cui è impossibile uscire, considerato che “la legge Italiana attribuisce l'esclusiva alla SIAE, e non consente a nuovi soggetti di svolgere l'attività di gestione dei diritti in Italia,” ragione per cui soluzioni alternative come Creative Commons faticano a prendere piede. A questo proposito, è appena andata in fumo una grossissima occasione di cambiare lo stato delle cose. Qualche giorno fa si era parlato parecchio di una riforma inserita nel pacchetto liberalizzazioni, che avrebbe sepolto il monopolio una volta per tutte. Invece, hanno tirato fuori una roba che sembra più una presa per il culo che altro. In pratica gli “esecutori” di musica (che siano musicisti o media), ora possono rivolgersi anche ad altri enti; gli autori invece no, devono rimanere dietro le sbarre della SIAE e sborsare i regolari 131 euro a opera depositata e 91 euro di iscrizione annuale. In altre parole, una vera svolta. Aliprandi però ci tiene a specificare un punto. “Girano un sacco di articoli in cui gli autori vengono trattati come 'povere vittime'" dice, "ma bisogna considerare che la SIAE, in quanto ente associativo, è governata dall'assemblea dei soci, che sono autori anche loro.” Quali autori, però? Saranno mica Celentano, Mogol, Morandi… i miliardari della canzone che monopolizzano l'etere e sfrangiano le balle da più di quarant'anni? “Esatto. È uno dei principali problemi interni. I grandi hanno più potere all'interno dell'ente, e come sempre accade tendono alla conservazione dello status quo. Se si introducessero dei meccanismi che tengano in conto anche, ad esempio, il download peer-to-peer, non sono così sicuro che i 'più grandi' sarebbero sempre gli stessi.”

In sostanza, in Italia anche nella musica comandano i nonni, con un sistema talmente semplice e talmente idiota che sembra quasi irreale. Affermano di decidere quanti e quali sono i pesci più grossi tramite “opportuni criteri di selezione statica”, che sembrano tutto meno che opportuni. Gli agenti segreti della canzone italiana se ne vanno per “concertini”, registrandone “segretamente” 500 ogni 6 mesi, e da lì determinano chi, in Italia, si è guadagnato il diritto di ciucciare soldi anche a un artista che magari non ha suonato una sola cover in vita sua. Tra questi, gli autori dei brani “sempreverdi”, che qualcuno ha deciso essere i più classici dei classici, hanno diritto a una maggiorazione. In queste tasche finisce il 75% dei ricavi. Il restante 25%, invece, se lo spartiscono in maniera ancora più ridicola: estraendo a sorte (sì, avete letto bene: a sorte) un borderò (il documento con titolo e autore di tutti i brani che chi suona deve compilare a ogni concerto) su cinque.

Ma il colmo dei colmi è che la rapina più grossa è anche la più subdola, e ci coinvolge tutti, anche quelli che non sono autori né editori, non comprano dischi, né tantomeno vanno ai concerti. Pensate alle radio che tutti i giorni sentite nei negozi e nei supermercati. Alla televisione che guardate distrattamente al bar sotto casa. Per tenerle accese, i gestori pagano una tassa alla SIAE. Spesa che, come tutte le altre, incide sul prezzo di quello che comprate. Nonostante tutto ciò, la SIAE alla fin fine non riesce nemmeno ad essere una fonte di profitto per lo Stato. I loro bilanci sono in rosso da anni. Sono solo i portafogli di chi ci lavora ad essersi gonfiati.

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