Rocky Pictures

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Rocky Pictures

Bryan Schutmaat ci parla della sua nuova serie sulla desolante vita nelle Montagne Rocciose.

Nota: A mo' di esperimento, abbiamo chiesto a Bryan quale canzone andrebbe ascoltata osservando le immagini. Ha suggerito questa: 

My Shepherd Will Supply My Needs by John Fahey on Grooveshark

L’ultima serie di foto pubblicate da Bryan Schutmaat, Grays the Mountain Sends, è piuttosto notevole. Le immagini descrivono le desolate regioni e le comunità isolate dell’ovest degli Stati Uniti con abili tocchi e un occhio compassionevole. I suoi paesaggi diventano dichiarazioni commoventi, e i suoi ritratti obbligano a porsi delle domande sulle vite dei soggetti. Passando in rassegna le immagini e il loro ordine prestabilito, inizi a percepire che è come se venisse raccontata una storia, di cui non potrai mai davvero conoscere lo sviluppo.

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VICE: Da quanto tempo stai sviluppando questo nuovo progetto? Sembra che tu abbia documentato una buona porzione di territorio.
Bryan Schutmaat: Già, le foto arrivano da tutte le Montagne Rocciose. Le ho fatte nell’arco di un anno e mezzo, ma il tempo che ho effettivamente passato per strada e nelle cittadine con la mia macchina fotografica è stato piuttosto esiguo.

Quanto tempo diresti che hai passato in giro, facendo le fotografie?
È difficile fare una stima. I viaggi erano intermittenti e di varia durata. Credo che il più lungo sia stato di un po’ più di tre settimane. Quello è stato il mio viaggio più ambizioso.

Eri a Brooklyn in quel periodo?
No, ero per lo più a Bozeman, nel Montana e a Houston, in Texas. Il tempo passato vivendo a Bozeman mi ha sicuramente avvicinato all’argomento.

Già, deve aver reso le cose molto più facili di vivere sulla costa est. Qual era il tuo metodo di lavoro? In termini di cose che facevi giorno per giorno, andavi semplicemente in giro e fotografavi quello che saltava fuori?
Più o meno. Ho guidato molto, girato molto, sono andato nei locali, ho cercato di incontrare gente, e via dicendo. Anche nei caffè. Ho bevuto un sacco di caffè schifoso nel corso di questo lavoro.

Come fotografo ti senti attirato dalla strada? Senti l’urgenza di viaggiare come succedeva a persone tipo Robert Frank o Stephen Shore?
Assolutamente, parlavo proprio ieri sera con un mio amico del viaggiare e di quanto aiuti la fotografia. Quando sei sulla strada e vaghi in posti sconosciuti, è come se i sensi diventassero super ricettivi. In più, c’è la sensazione dello spazio e della libertà; può essere rassicurante. Tutti quei cliché.

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Sembri essere sulla stessa linea di Alec Soth e dei fotografi legati alla strada, dove non solo osservi i dintorni e fotografi paesaggi, ma incontri anche delle persone e impari da loro. Come incontri la gente? Semplicemente cercando di essere loquace e amichevole?
Sì, ovviamente. Andavo in piccoli villaggi di minatori e giravo qua e là. Dopo un po’ di tempo sei sicuro di incontrare qualcuno il cui aspetto crea un bel ritratto. Parlavo con quelle persone dell’industria locale, di quale cibo fosse buono in paese, di politica, del tempo, di qualunque cosa. Ma ci sono anche state volte in cui avvicinavo la gente direttamente per i ritratti, se la luce era giusta.

E loro erano disponibili?
Alcuni sì. Credo che altri fotografi che fanno foto agli sconosciuti siano più fortunati di me, perché direi che circa la metà delle persone a cui ho chiesto di fare una foto ha rifiutato. Ma è stato compensato da un numero di persone che sono state incredibilmente gentili, che si sono sedute di fronte alla mia macchina fotografica dimostrandomi pazienza, generosità e buona volontà.

Volevo parlare del poeta, Richard Hugo. Ho letto che il suo lavoro, in particolare la poesia “Degrees of Gray in Philipsburg” ha notevolmente influenzato questa parte del tuo lavoro. Dopo aver letto quella poesia, mi sono accorto che aggiungeva un nuovo livello di lettura alle tue fotografie. Quanto ha influenzato direttamente queste serie?
In modo abbastanza sostanziale, e nelle fotografie faccio dei riferimenti diretti alla poesia. Pensavo al fantasma di Richard Hugo come al mio copilota. Detto questo, credo ci siano delle notevoli differenze tra la poesia e le foto. La poesia è stata la mia piattaforma di lancio. Mi ha fatto uscire nel mondo per fare quelle fotografie, ma lungo la strafa ho capito che quello che volevo esprimere non era la stessa cosa che voleva esprimere Hugo. Non volevo adattare la poesia come se fosse una sceneggiatura, quindi ci ho messo la mia voce.

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Mi è piaciuto tantissimo sentirlo parlare della testa di ariete nella bolla di plastica e poi vedere che tu l’hai fotografata.
In effetti, nella poesia era una capra [ride]. L’ariete era sul lato opposto del bar. Dello stesso bar, però.

Mi rallegra sapere che siano ancora lì, e che il bar sia ancora lì. La poesia ha aggiunto un velo di disperazione a gente che ha già un aspetto triste. Avevi questa intenzione? Ho anche notato che quasi tutte le foto sono scattate in quello che sembra un clima freddo, aggiungendo un ulteriore elemento di solitudine.
Non avevo intenzione di far apparire nessuno disperato. Neanche Degrees of Gray in Philipsburg è priva di speranza. Comunque c’è questo senso di abbattimento molto riconoscibile e, fino a un certo punto, in linea con lo stato d’animo della poesia. Immagino si trattasse di cantare una canzone triste tramite delle fotografie. E sì, molte sono state fatte a temperature basse, non incredibilmente basse, ma abbastanza fredde per un texano come me. Non è stato intenzionale—gestire il tempo è parte della vita di occidente.

Disperato è una parola forte, ma ho indubbiamente percepito un senso di tristezza.
Sì, senz’altro.

Quindi hai appena preso il tuo master di belle arti. Di cosa ti occuperai prossimamente?
Sto pensando molto al mio prossimo progetto artistico, ma non l’ho ancora iniziato. Per ora sto lavorando a New York, ma immagino che tornerò a vivere in Texas prima o poi, più vicino alle zone del Paese in cui mi piace fare fotografie.

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È fantastico. Vivi il sogno, amico.
Grazie. Ci sto provando.

Per sapere di più del lavoro di Bryan, clicca qui.