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Calcio, droga e omicidi: storia della Nazionale cresciuta nel Paese di Pablo Escobar.

Quella di Falcao, Guarín, James Rodríguez e Jackson Martínez (e Cuadrado, Armero, Yepes e Zapata), che, salvo imprevisti, dovrebbe qualificarsi per il prossimo Mondiale, è la selezione più competitiva che la Colombia abbia avuto da vent'anni a questa parte. Dato che un mio amico si sposa a Bogotá tra una decina di giorni e io sono in partenza, ricordare i cafeteros (come viene chiamata la nazionale colombiana) del 1994 mi pare doveroso.

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'Tino Asprilla abbraccia Leonel Álvarez. Da dietro arrivano Freddy Rincón e Carlos Valderrama.

Tenete a mente questa data: 5 settembre 1993. Quel giorno, Argentina e Colombia si affrontano a Buenos Aires, nello stadio del River Plate, per la partita che avrebbe deciso quale delle due squadre si sarebbe qualificata direttamente a Usa '94. A punteggio pieno nel gruppo A del girone sudamericano, alla Colombia bastava il pareggio (avendo vinto l'altro scontro diretto 2-1), mentre l'Argentina, che in tutta la sua storia non aveva mai perso in casa una partita di qualificazione per il Mondiale, doveva assolutamente vincere per evitare i playoff. Se avesse perso e il Paraguay avesse battuto il Perù avrebbero rischiato di non giocare neanche lo spareggio per via della differenza reti. Maradona, appena tornato dalla squalifica di 15 mesi per cocaina, nonostante i 33 risultati utili consecutivi della Colombia (solo due gol presi nelle precedenti cinque partite del girone) aveva dichiarato: "Storicamente, come dire, l'Argentina sta in alto e la Colombia in basso." A fine partita, come il resto dell'Estadio Monumental, Maradona si alzerà in piedi per applaudire lo 0-5 dei colombiani: un risultato che avrebbe cambiato "storicamente" il rapporto tra le due nazionali. Così, mentre l'Argentina  si qualifica solo grazie al pareggio interno del Paraguay e con un risicato 1-0 sull'Australia ai playoff, la Colombia partecipa al terzo Mondiale della sua storia con la speranza di fare qualcosa di buono. Secondo Pelé, partiva addirittura favorita per la vittoria finale.

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Quattro anni prima, a Italia '90, la Colombia era arrivata fino agli ottavi. Francisco (Pacho) Maturana aveva preso in mano la nazionale maggiore al suo secondo anno da allenatore professionista (1987) e nel giro di pochissimo era riuscito a farla qualificare per un Mondiale atteso 28 anni. Arrivarono agli ottavi con una specie di miracolo: pareggiando nel secondo minuto di recupero contro la Germania Ovest. Invece contro il Camerun andò così: 0-0 nei tempi regolamentari (incrocio di Rincón su punizione) e improvviso svantaggio nel secondo dei tempi supplementari. René Higuita a quei tempi era conosciuto per due motivi: perché era un portiere goleador che calciava rigori e punizioni e perché era solito uscire dalla propria area con la palla tra i piedi e dribblare gli avversari (come contro Israele, quando a un certo punto del secondo tempo senza apparente motivo si allunga la palla e parte in contropiede, arrivando fino quasi a centrocampo-col commentatore che dice: "Well, this is quite incredible").
Come alcune delle cose migliori che il calcio ci ha dato, quelle di Higuita in fin dei conti erano stravaganze rischiose, inutili clownerie, e Roger Milla aveva già portato in vantaggio il Camerun quando, a pochi minuti dalla fine, si è fiondato su un retropassaggio impreciso di Perea per un Higuita salito a metà campo. "El Loco", soprannome che forse Higuita si guadagnò proprio quel giorno, oltre a stoppare il passaggio col destro anziché col sinistro, quando vede Milla puntare su di lui a tutta velocità prova a smarcarlo di tacco. Higuita stesso lo definì "un errore grande quanto una casa": 2-0 per il Camerun, Mondiale finito per i cafeteros. Se mi dilungo su quel momento, però, è perché secondo Francisco Maturana  era proprio quel tipo di folle sicurezza nei propri mezzi ad aver permesso alla nazionale colombiana di elevare il proprio livello di gioco. Nel 1988, riferendosi al dribbling del numero uno colombiano su Gary Lineker, Maturana aveva detto che sembrava giocasse: "Nel campetto dietro casa sua. E se Higuita fa il suo gioco normale, spontaneo, allora anche gli altri dovranno seguirne l'esempio. E cominciammo a giocare il nostro calcio."

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Il sorriso buono di Pacho Maturana

"Quando ero calciatore giocavamo con paura," dice l'allenatore colombiano a un certo punto del documentario The Two Escobars, girato dai fratelli Zimbalist per Espn (2010). "Chi marca questo, chi marca quello? No, no. Come allenatore volevo un sistema che ci permettesse di esprimerci al meglio. Vediamo poi cosa succede." Contemporaneamente alla nazionale colombiana Maturana allenava l'Atlético Nacional di Medellín con cui vinse la Coppa Libertadores per la prima volta nella storia del club (e in quella dei club colombiani) nel 1989, perdendo quello stesso anno la Supercoppa Intercontinentale contro il Milan di Sacchi. Come Sacchi, Maturana si muoveva nel solco del Calcio Totale di Rinus Michels, imprimendo all'Atlético Nacional e alla nazionale un calcio fatto di pressing e possesso palla.
Nel documentario di Richard Sanders trasmesso da Channel 4 Escobar's own goal, lo si vede lavorare a un libro, Fûtbol Zonal/ Fútbol Presing, di cui non sono riuscito a trovare altre tracce. Un possesso palla lento, basato sull'elevato tasso tecnico della squadra e sull'intelligenza di Valderrama (mi vengono le lacrime agli occhi guardando adesso i suoi video), conosciuto a livello internazionale come il toque-toque colombiano (antenato del tanto amato e odiato tiki-taka spagnolo). Lento, ma capace di verticalizzazioni micidiali grazie a gente come Adolfo Valencia (detto "El Tren") e Faustino Asprilla. Una specie di 4-4-2 a rombo molto fluido capace di diventare un 4-3-3, con Freddy Rincón che si inseriva di continuo e tre play: Álvarez al centro, Gómez a sinistra e Valderrama più avanzato, capaci però di scambiarsi la posizione. Il livello di collaborazione era altissimo e persino le anarchie individualiste più brillanti dovevano adattarsi col rischio di venirne esclusi. L'esempio migliore è quello di Albeiro Usuriaga, fortissimo attaccante autore del gol della storica qualificazione a Italia '90 tolto dalla rosa poco dopo. "Da una parte c'è la sua forza di carattere, che gli permette di improvvisare sempre qualcosa, dall'altra la pochezza del suo contributo al gioco di squadra. Per noi conta di più la seconda," disse Maturana. L'importanza di Higuita per un gioco simile andava al di là del coraggioso esempio di fiducia/incoscienza. Per Maturana un portiere capace di giocare la palla coi piedi anche lontano dalla porta era un'opportunità da sfruttare: "Ci dava qualcosa che nessun altro aveva, e ce ne avvantaggiammo il più possibile. Con René nel ruolo di libero avevamo undici giocatori in mezzo al campo" (qui).

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Pablo Escobar inaugura il campo di un barrio popolare (The Two Escobars)

Il documentario The Two Escobars parla di Pablo Escobar, il narcotrafficante più potente della Colombia, e di Andrés Escobar, il "caballero de la cancha", calciatore di buona famiglia, elegante, bello, o quantomeno affascinante nel modo naturale in cui ci affascinano i giusti. La tesi di fondo dei fratelli Zimbalist è che Pablo Escobar fosse "l'arma segreta dietro la crescita senza precedenti del calcio colombiano." Si può discutere se siano arrivati prima i giocatori da tenere in squadra grazie ai soldi della droga o il contrario, se i cartelli non avessero semplicemente visto nelle squadre di calcio un buon modo per riciclare denaro, fatto sta che il momento di massimo splendore del narcotraffico e quello del calcio colombiano coincisero.

I vari cartelli finanziavano le squadre di calcio locali: quello di Cali di Miguel e Gilberto Rodríguez finanziava l'America di Cali, quello di Medellín di Pablo Escobar finanziava le squadre di Medellín, tra cui l'Atlético Nacional dove ha giocato tutta la sua vita Andrés Escobar. "L'amore di questo romantico cicciottello coi baffi per il proprio Paese e per i poveri del Paese," come ha scritto Francesco Pacifico su Rivista Studio riferendosi al Pablo Escobar del documentario (amore peraltro ricambiato proprio dalla povera gente, a giudicare dalle immagini del funerale), lo ha portato a costruire interi quartieri; l'amore per il calcio, a costruire i campi dove la generazione di Higuita, Alexis García e Leonel Álvarez si sarebbe formata e dove tutti gli altri avrebbero potuto evadere giocando dai problemi della loro vita quotidiana. Nonostante fatti come l'omicidio di Álvaro Ortega, un arbitro che aveva annullato un gol all'Independiente Medellín, in quel periodo il governo colombiano tollerava Escobar e gli altri narcotrafficanti. Pablo organizzava partitelle con giocatori professionisti nel campo della sua villa, i calciatori prendevano l'aereo per giocare con lui e ripartivano quando avevano finito.

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Dopo aver fatto la guerra allo Stato con i suoi tremila soldati e aver ottenuto l'annullamento dell'estradizione verso gli Usa, Escobar si consegna alle forze dell'ordine e si fa imprigionare nel carcere di lusso che lui stesso ha fatto costruire sui suoi terreni. La prigione La Catedral (Escobar si fece portare lì quattro membri del suo cartello che torturò e uccise) veniva anche chiamata "Hotel Escobar" per via delle jacuzzi, ma non poteva mancare un campo da calcio su cui la nazionale colombiana giocò con lui un'ultima volta prima del Mondiale. Se i giocatori che venivano dai barrios poveri avevano magari già avuto occasione di conoscere Pablo o comunque avevano una percezione meno netta di legalità e illegalità, Andrés preferisce non mescolarsi. Non avrebbe voluto andare ma, ci dice la sorella, sentiva di non avere scelta.

René Higuita dietro le sbarre (The Two Escobars)

Il paradosso che si capisce bene guardando The Two Escobars è che quella stessa nazionale, che il governo di César Gaviria (che li andò ad accogliere all'aeroporto dopo la vittoria in Argentina) e la popolazione innocente sentivano come necessaria per ripulire l'immagine della Colombia nel mondo, fosse legata e avesse tratto beneficio, in un modo o in un altro, dal potere di Pablo Escobar. Nonostante non regnasse la più assoluta armonia all'interno dello spogliatoio (in generale c'erano caratteri molto diversi tra loro, il rigore di Escobar e l'esibizionismo di Higuita, la riservatezza di Vaderrama e l'arroganza di Asprilla, che rischiò tra l'altro di perdere il posto dopo essersi rifiutato di andare in panchina nella partita di andata contro l'Argentina) la squadra di Francisco Maturana era un esempio di organizzazione ed eccellenza che poteva rendere fieri i colombiani del loro Paese. Quel 5 settembre 1993, quando i giocatori colombiani arrivano in Argentina vengono accolti al grido di "Narcotrafficanti" (nel documentario si vede anche un tizio che osa tirare la chioma di Valderrama). Maturana dice a un certo punto: "Tutti associavano la Colombia alla droga e a Pablo Escobar. E ci faceva soffrire, perché non siamo tutti malvagi come si pensa. Poi hanno iniziato ad associarla a Higuita, a Valderrama, ad Asprilla, a Rincón, al calcio."

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Così, quando la nazionale giocò con Pablo Escobar sul campo della Catedral prima del Mondiale, lo fece di nascosto. In un'occasione diversa Higuita si fece fotografare mentre usciva dalla Catedral. Poco dopo fu condannato a sette mesi di carcere per aver accettato dei soldi come mediatore in un rapimento (per aver fatto da tramite, cioè, tra Pablo Escobar e il narcotrafficante a cui aveva rapito la figlia: Carlos Molina). L'impressione di Higuita (e che implicitamente sembra essere quella dei fratelli Zimbalist) è che in realtà si volesse punire la sua amicizia con Escobar: "Mi hanno arrestato per il sequestro, ma hanno fatto solo domande su Pablo. Pablo è quella  persona che si è sempre presa cura dei poveri. La persona che ha costruito case, che ha illuminato i campi da calcio. Ma è responsabile delle bombe, della guerra. Io credo che consegnandosi Pablo abbia aiutato la popolazione. Quella per me era l'opportunità di ringraziarlo personalmente. Anzi, mi sentivo obbligato. Non pensavo di infrangere qualche legge." Per questa ragione Higuita non era in porta contro l'Argentina e non seguirà i suoi compagni in America per la Coppa del Mondo.

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Un giovane Andrés Escobar (The Two Escobars)

Quel 5 settembre 1993 Pablo Escobar è ancora vivo. Un altro punto messo in evidenza dai fratelli Zimbalist è come il disordine seguito alla sua morte nel dicembre di quello stesso anno ("Il capo era morto, tutti erano il capo," riassume il cugino di Pablo, Jaime Gaviria) abbia influito sulle prestazione dei giocatori colombiani al Mondiale. "Abbiamo una grandissima responsabilità," aveva detto prima Andrés Escobar, in un'intervista svolta mentre in canottiera piegava i pantaloni di un completo grigio. "Ma stiamo lavorando per una causa. Per rappresentare nel modo migliore la nostra nazione." Adesso, nell'esplosione di violenza successiva alla morte dell'altro Escobar, in una Colombia in cui agli omicidi e ai rapimenti si aggiungono le bombe dei Pepes (letteralmente "Persone perseguitate da Pablo Escobar", in realtà un gruppo paramilitare formato dai cartelli nemici, sostenuto dal governo e dagli Usa con l'obiettivo di uccidere Pablo Escobar) dice: "Sono momenti difficili per la Colombia, ma nella vita devi saperti adattare. Stiamo cercando di non pensare troppo alle violenze. L'unico modo per giocare bene questa Coppa del Mondo è concentrarsi sulle partite." Si dice che Andrés avesse preso già accordi col Milan per firmare dopo il Mondiale e che volesse passare le vacanze estive in Italia. In un'altra intervista in cui sembra che sia nella cella di un carcere, con l'aria triste e meno cool del solito, Andrés, dice: "È difficile tenere la concentrazione. Cerco la motivazione pensando ai bei momenti che verranno. Leggo un po' della Bibbia tutti i giorni, come segnalibro uso due foto: mia madre e la mia fidanzata."

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Le pressioni nei giorni immediatamente precedenti alla Coppa del Mondo erano molteplici e peggiorarono dopo la sconfitta per 1-3 contro una Romania con dieci giocatori dietro la linea della palla, attenta a chiudere la luce per la giocata a Valderrama e pronta a partire in contropiede (e, va detto, con un Hagi particolarmente ispirato). Dopo la partita, Chonto Herrera (a cui avevano rapito il figlio di tre anni poco prima della partenza) scopre che gli hanno assassinato il fratello. Qualcuno in albergo programma le televisioni su un messaggio per Maturana in cui gli si intimava di non far giocare Gabriel "Barrabas" Gómez. Si parla di un giro di scommesse molto forte, ma anche di interessi legati a certi giocatori il cui valore sarebbe potuto aumentare nella vetrina del Mondiale. Maturana utilizzava il blocco dell'Atlético Nacional di Medellín e cede alle pressioni di quella che chiama "una mano negra" non facendo giocare Gómez, mentre Andrés, a cui avevano ucciso il fratello quando aveva 16 anni, convince Herrera a scendere in campo per il bene della nazione.

Andrés Escobar crocifisso al proprio errore

Molti di voi probabilmente sapranno già come è andata nella seconda partita contro gli Stati Uniti padroni di casa. Nonostante, come dice Leonel Álvarez, avessero giocato parecchie amichevoli contro gli americani vincendo sempre ("Anche se siamo al 65-70 percento vinciamo noi"), la Colombia perde 2-1. Il primo gol americano è un cross dalla sinistra di John Harkes intercettato in scivolata da Andrés Escobar in direzione della propria rete. Óscar Córdoba (il sostituto di Higuita) si era mosso alla sua sinistra per intercettare il cross in un altro punto della  traiettoria e la palla rimbalza lentamente verso la porta sguarnita. Andrés, steso in terra con le braccia larghe e i piedi incrociati come un crocifisso staccato dal muro, con la testa sollevata guarda la palla oltrepassare la linea di porta sperando forse in un qualche intervento divino. Le cose sarebbero andate diversamente se Higuita avesse giocato quella partita?

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Nell'altro documentario citato, Escobar's own goal un giornalista colombiano gli chiede a caldo: "Andrés, che è successo al momento dell'autogol? In televisione abbiamo visto un uomo distrutto, che non sapeva più che fare." "Be' è stato difficile perché non pensavo di fare autogol," risponde Andrés guardando dritto in camera, col colletto scuro di una camicia scozzese che spunta da una felpa bianca. Quello era il primo autogol di tutta la sua carriera e questa di adesso la sua ultima intervista. Dopo l'inutile vittoria (2-0) contro la Svizzera molti giocatori colombiani decidono di restare negli Stati Uniti, di prendersi una vacanza lontani da quello che li avrebbe aspettati a casa. Andrés Escobar no. Maturana (in The Two Escobars) racconta di averlo messo in guardia: "Gli ho detto, 'Andrés stai attento. Le strade sono pericolose. In Colombia i conflitti non si risolvono con i pugni. Andrés, stai a casa.' Ma lui: 'No, devo mostrare la faccia alla gente.'" Appena rientrato Andrés scrive un articolo per il quotidiano colombiano El Tiempo col titolo: "Nos faltò verraquera" ("Ci è mancata la convinzione"). Dopo aver scritto che sette anni di lavoro non vanno buttati, che hanno perduto un'occasione sì, ma che il mondo intero riconosce comunque che il calcio colombiano si è evoluto (elevato), l'articolo si chiude con le parole: "Hasta pronto, porque la vida no termina aquí". Pare che Alexis García abbia detto il giorno del funerale: "Andrés, com'è il calcio in paradiso? È vero che non c'è altro che felicità? È vero che in paradiso si possono commettere degli errori?"

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(The Two Escobars)

La sera dell'omicidio Andrés aveva chiamato Chonto Herrera per chiedergli se gli andava di uscire, ma quello gli aveva risposto che forse era meglio restare a casa. "Non so a cosa si immaginasse Andrés." Il falso mito che gira intorno alla morte di Andrés Escobar è che sia stato ucciso da un gangster che aveva perso una scommessa. A Medellín in quel periodo c'erano circa 400 killer a pagamento disposti a farlo per pochi soldi. Per quale ragione i fratelli Gallón, la cui targa è stata annotata da alcuni testimoni, avrebbero dovuto farlo di persona? C'è più di una versione dell'accaduto. In una Andrés è circondato da gente che lo insulta e prova a difendersi dicendo che il suo è stato "un errore in buona fede," in un'altra è lui a dare della troia alla ragazza di uno dei Gallón che lo stava prendendo in giro per l'autogol, in un'altra ancora uno dei due mafiosi prova a fare da paciere dicendogli "Sei un bravo ragazzo. Perché non ce ne torniamo tutti a casa adesso?" Forse ha ragione chi dice che se fosse stato ancora vivo Pablo Escobar, col suo amore per il calcio, nessuno avrebbe osato torcergli un capello; in ogni caso, una discussione più o meno animata si è accesa intorno alle tre di notte all'interno di un bar, all'epoca, pieno di papponi, mignotte e spacciatori (oggi, oltre ai turisti, è frequentato dai figli della borghesia di Medellín). La colpa, per le 12 pallottole sparate su Escobar mentre entrava in macchina, se l'è presa la guardia del corpo dei fratelli Gallón, e forse ha davvero sparato lui: condannato a 45 anni è uscito nel 2005 per buona condotta. "La nostra società crede che il calcio abbia ucciso Andrés," dice Pacho Maturana alla fine di The Two Escobars. "No. Io credo che Andrés fosse un calciatore che è stato ucciso dalla società."

Lo Scorpione di René Higuita il giorno della sua partita d'addio

BONUS

Per nostra fortuna "El Loco" Higuita riuscì a superare l'aspra delusione di un Mondiale guardato in galera, così come era riuscito a superare l'errore a Italia '90, e due anni dopo a Wembley, in amichevole contro l'Inghilterra (chi dice che le prodezze in amichevole non valgono?) eseguirà la parata più famosa della storia del calcio: lo Scorpione. Nella parte centrale di Escobar's own goal, Higuita appare in splendida forma, con dei rayban a goccia e due moto in corridoio (qui lo potete vedere uscire in moto dal proprio salotto con la madre o la nonna in una poltrona a pochi passi). Capelli al vento, Higuita guida fino al barrio di cui è originario e si beve una cosa forte sul marciapiede con la gente di lì. Nel 2004 fu trovato positivo alla coca mentre giocava in una squadra ecuadoriana. L'anno successivo ha partecipato all'Isola dei Famosi sudamericano e a Cambio Extremo, un reality per il quale si è sottoposto a più operazioni di chirurgia estetica. Prepara i portieri dell'Al Nassr il cui allenatore è… Pacho Maturana. Per quanto riguarda 'Tino Asprilla, dopo aver lasciato la moglie per una pornostar e aver segnato poco col Newcastle (si ricorda però una meravigliosa tripletta contro il Barcellona), l'ultima sua notizia risale al 2008, quando ha sparato contro delle guardie private di pattuglia vicino alla sua villa. Anche lui ha partecipato ad alcuni reality show. Albeiro Usuriaga è stato assassinato nel 2004 in una discoteca di Cali.

Il calcio colombiano adesso è pulito. Le squadre fanno come possono e i calciatori migliori emigrano in Europa o in altri campionati più ricchi. Nel 1998 la Colombia riuscì a qualificarsi nuovamente per il Mondiale. Antony De Ávila a fine partita dedicò il gol decisivo per la qualificazione ai capi del cartello di Cali, i fratelli Rodríguez, da poco arrestati. La golden generation colombiana, di quattro anni più vecchia, è uscita di nuovo come terza del girone, perdendo 2-0 contro l'Inghilterra. Questa volta senza autogol.

Segui Daniele su Twitter: @DManusia