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Stoya sul femminismo

Mi spiace, ma non vi dirò che recitare in un film porno ha a che fare con la liberazione del genere femminile.

Il simbolo di Venere ricreato con reggiseni per niente comodi. 

Il femminismo, come qualunque fenomeno—a parte forse il fatto che bere acqua fa bene—è complesso e pieno di sfumature. Condivido molti aspetti del femminismo e sono grata a molte donne che sono o sono state femministe. Esercito il mio diritto di voto grazie al femminismo. La notte mi sento autorizzata a tornare a casa a piedi senza essere molestata (anche se spesso non succede così, nella realtà) grazie al femminismo. Anche la mia capacità di scegliere di lavorare davanti a una telecamera per l’industria del porno piuttosto che fare altro è in gran parte dovuta al femminismo. Devo dire anche che sono caucasica, che vengo dalla classe media e che posso crocettare con successo gran parte delle voci che mi distinguono come “donna convenzionalmente attraente”. Tutte queste cose mi conferiscono un privilegio immeritato in gran parte del mondo occidentale, e bisogna dire che più una persona si trova vicino al picco dei privilegi, più possibilità le sono offerte.

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Avere un lavoro che includa il dialogo con la stampa significa inevitabilmente che qualunque cosa, dalle mie idee politiche alle mie preferenze in fatto di chewing-gum, possa diventare argomento di discussione. Mi è stato detto che dovrei essere femminista, che il mio lavoro è femminista, che non posso assolutamente essere una femminista e, una volta, che la mia vagina dovrebbe essere accusata di crimini contro il genere femminile.

Per me, la parola femminista si colora di connotazioni spesso contraddittorie. Quando una femminista combatte per il diritto a un salario equo, specificando che l’equità debba riguardare uomini e donne, o difende i diritti delle persone con utero fertile di usare i contraccettivi, credo sia fantastico. Quando una femminista perseguita chiunque non appartenga al sesso femminile o ridicolizza altre donne che compiono scelte che non condivide, lo trovo offensivo. Quando, ancora, le femministe discutono sulla possibilità o meno di aumentare il proprio potere grazie a una passata di rossetto, lo trovo grottesco. Il mio disaccordo con alcuni estremismi del femminismo è il motivo per cui non mi trovo a mio agio nel considerarmi femminista. Mi chiedo se debba applicarmi quest’etichetta, perché raramente i miei gesti sono espressamente volti a difendere i diritti delle donne. Evitare di rispondere alla domanda sul mio essere o meno femminista è troppo semplice, però. Negarsi questa definizione sarebbe come voltare le spalle a chi ha combattuto per molti dei vantaggi di cui posso godere. Perciò, ciao, sono Stoya. Le mie idee e io siamo femministe… il mio lavoro no.

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I motivi sul perché abbia scelto di lavorare nella pornografia non sono necessariamente condivisi da tutti i miei colleghi. Non tutte le donne sono uguali, non tutte le femministe sono uguali, non tutti gli attori porno sono uguali, non tutto il porno è uguale, e non tutte le persone sono uguali. Dovremmo tenerlo sempre a mente. Sicuramente anch’io ho fatto delle generalizzazioni, in questo articolo. Ma torniamo alla relazione tra il femminismo e la mia scelta di lavorare nell’industria del porno.

Il concetto di scelta può ingannare. C’è una bella differenza tra scegliere di dare il proprio portafoglio a chi ci punta una pistola alla testa e scegliere di dare soldi a qualcuno per altruismo o per fare un regalo. C’è una differenza analoga tra l’ingresso nell’industria del porno per problemi economici e mancanza di alternative (che essa sia solo percepita o effettiva) e quello per esibizionismo, desiderio di esperienza o voglia matta di scopare con James Deen, Rocco Siffredi o chi per essi.

La seconda circostanza, quella in cui si può entrare nell’industria del porno perché ci va, è possible grazie alle porte spalancateci dalle femministe negli ultimi 150 anni. La mia scelta di lavorare nel porno, però, non mi rende femminista.

Uso il mio corpo per fare pornografia a orientamento eterosessuale per una casa di produzione che mira a un mercato di massa. Non sono d’accordo con tutto ciò che riguarda la pornografia commerciale né con tutte le scelte della compagnia per cui lavoro, ma combatto le mie battaglie. Mangio molte calorie perché le ossa sporgenti sono più preoccupanti che arrapanti per la maggior parte della gente. Curo la mia persona. Quando arrivo su un set mi siedo e lascio che truccatori e parrucchieri facciano il loro lavoro per rendermi il più convenzionalmente sexy possibile. Questo procedimento spesso include ciglia finte e arricciacapelli. Quando hanno finito mi metto i tacchi alti, biancheria intima meravigliosamente scomoda, e a volte altri capi d’abbigliamento per essere più credibile possibile nel ruolo che devo interpretare prima di fare sesso.

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Una volta pronunciate le mie battute faccio sesso con una o più persone mentre la crew riprende il tutto. Di norma la scena ha uno svolgimento standard. Si inizia con dei baci che portano alla rimozione dei vestiti. Una volta che i genitali sono visibili, è il momento del sesso orale. Il sesso penetrativo (nella fattispecie, pene nella vagina) si svolge subito dopo, e in varie posizioni. A volte le posizioni sono intervallate da altro sesso orale e, occasionalmente, anale. Alla fine l’attore maschio eiacula e la scena finisce subito dopo perché l’orgasmo maschile è, come dire, quello naturale, e le scene sessuali di solito non si dilungano in altri particolari inutili.

Niente, del materiale pornografico che produco, è intenzionalmente femminista. È intrattenimento superficiale che provvede a uno dei più basilari desideri umani. Quale intrattenimento, la pornografia commerciale non è più responsabile della salute sessuale e dell’etichetta di quanto non lo sia Lions Gate Entertainment nel ricordare ai bambini che non è bene giocare a uccidersi come in The Hunger Games. Ricordare in ogni intervista che i robot giganti dallo spazio sono fantasia non è affare di Michael Bay né di Megan Fox. Come non sono affari di un pornoattore le discussioni sui protocolli e sul consenso prima delle riprese. Io credo sia bene parlare di queste cose e ci sono attori come Jiz Lee, Danny Wylde e Jessica Drake che sembrano percepire la necessità di concentrarsi sul contesto già disponibile dei film per adulti per fornirne uno più ampio.

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Ma cosa succede se questa estensione arriva a toccare gli effetti culturali della pornografia? Non sono affari miei se la visione di un video in cui passo da un pompino a una scopata nel culo ha ispirato un uomo a infilare il pene nel retto della partner senza il consenso di quest'ultima. Chiunque siano queste persone, dovrebbero rinfrescarsi le idee sulla differenza tra la TV e la vita reale. Ma ci sono anche degli effetti positivi, per esempio c'è chi mi scrive di aver trovato maggiore fiducia nel proprio corpo guardando un mio porno o chi, venendo a contatto con l'industria, impara qualcosa in più sulla salute.

Per concludere, finché mi piacerà recitare nei film porno e i risvolti sociali positivi saranno maggiori di quelli negativi, continuerò a farlo. Ma per favore, non pensate che lo faccia come atto liberatorio per l’intero genere femminile.

Segui Stoya su Twitter: @Stoya

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