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Cosa può fare l'Italia per proteggersi dai terremoti

A una settimana dal terremoto che ha colpito il centro Italia causando morti e sfollati, ci si chiede se la tragedia poteva essere evitata, e se tragedie del genere potranno essere evitate in futuro. Ne abbiamo parlato con un esperto.

Una casa completamente distrutta alle porte di Amatrice. Foto di

Alessandro Iovino

È passata una settimana dal terremoto che lo scorso 24 agosto ha colpito il centro Italia causando, nel bilancio fatto fino a questo momento, 292 morti, 2925 sfollati e una decina di dispersi.

Dopo lo shock di fronte alla tragedia, negli ultimi giorni si è iniziato a parlare delle circostanze che hanno portato alla distruzione di interi paesi e delle responsabilità umane che vi stanno dietro.

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Mentre infatti la procura di Rieti ha aperto un'indagine per capire, caso per caso, lo stato degli edifici e la loro idoneità alle norme antisismiche, emergono sempre più dubbi sulla gestione dei fondi antisisma—84 milioni sulla provincia di Rieti negli ultimi nove anni. Tra gli edifici crollati, quello che ha fatto più discutere è stato certamente la scuola di Amatrice, ristrutturata per l'ultima volta nel 2012 e crollata in seguito alle scosse

Si cerca di capire, in altre parole, se la tragedia poteva essere evitata e se sarà possibile, considerando la sismicità dell'Italia e l'età degli edifici, evitarne in futuro. Per farmi un'idea ho contattato Tomaso Trombetti, professore di Tecnica delle costruzioni all'università di Bologna e membro del comitato scientifico dell'Associazione Ingegneria Sismica Italiana.

La prossima legge di stabilità dovrà esserlo anche in senso edilizio e architettonico — laura boldrini (@lauraboldrini)28 agosto 2016

VICE: In Italia le normative antisismiche risalgono al 1981. Questo significa che tutti gli edifici costruiti prima, e ovviamente i centri storici medievali che caratterizzano il nostro paese, sono a forte rischio in caso di terremoto come quello che ha colpito il centro Italia?
Tomaso Trombetti: La situazione è piuttosto articolata: si arriva al 2003, ben oltre il 1981. Infatti all'81 risalgono le prime, ma non primissime, normative sismiche (i primi provvedimenti furono infatti presi ai primi del 1900 a seguito del terremoto che colpì la città di Messina). Dell'Italia possiamo affermare che, con l'eccezione della Sardegna e del Tavoliere della Puglia, è tutta sismica. Il problema è che fino al 2003 non era classificata sismica in maniera completa, solo qualche comune qua e là.

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Questo significa che non soltanto non erano presenti normative, ma non c'era neanche una classificazione, non c'era l'obbligo di eseguire una progettazione "antisismica" in gran parte del territorio. In vista anche di questo, è chiaro che se un sisma va a colpire delle zone che non erano dichiarate sismiche bisogna affidarsi alla buona sorte.

È possibile, in termini economici ma anche pratici, adeguare alle norme antisismiche i nostri centri storici?
Io credo che le cose si possano migliorare, ma parlare di adeguamento è molto difficile. La presenza dei centri storici è una nostra fragilità: andare ad adeguare gli edifici che vengono dal passato a livello tecnico ed economico è molto complicato, e negarlo è inutile e fuorviante. Questo noi docenti non lo abbiamo detto in maniera troppo chiara a studenti e ingegneri, ed è invece un lato che andrebbe raccontato.

Non soltanto si parla di edifici più vulnerabili, ma molte volte, per edifici antichi, risulta molto complicato riuscire a capire con quali materiali sono stati fatti, quanto resistano e quindi, per quanto riguarda soprattutto il passato, non si dice che spesso si fanno dei calcoli molto meno affidabili di quanto non si tenda a pensare.

Qual è la differenza tra adeguamento e miglioramento?
Adeguamento significa far sì che gli edifici esistenti in caso di terremoto abbiano le stesse prestazioni degli edifici di nuova progettazione. Miglioramento significa che data una certa ipotetica prestazione di un edificio su un terremoto, aiutiamo questo edificio a limitare i danni. Tra le due cose ne passa.

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Noi come ingegneri possiamo fare dei calcoli, ma la vera intensità dello scuotimento del terremoto può essere molto variabile. Anche se progettiamo per un terremoto che darà certi scuotimenti, può capitare che siano più violenti di quelli che abbiamo previsto. Allora cominciano a nascere delle incertezze anche sul nuovo, figuriamoci sull'esistente. Ci sono dei limiti che l'ingegneria mostra in questo campo e che tante volte non soltanto vengono ignorati dal pubblico ma anche dagli ingegneri stessi.

In termini molto pratici, se volessi adeguare casa mia, potrei farlo?
Dipende molto da che abitazione è. Se parliamo di un'abitazione in muratura forse ci si riesce ancora, ma pericolosissime sono le abitazioni a struttura di sasso, come quelle che sono state colpite dal terremoto di qualche giorno fa. Come abbiamo visto per la scuola di Amatrice, si tratta di strutture quasi impossibili da adeguare.

Per quanto riguarda le altre, il vero scoglio, oltre al costo—che va dai 300 ai 1000 euro al metro quadro—è che per adeguarle bisogna intervenire molto pesantemente. Se uno vuole avere la certezza, bisogna muoversi verso una nuova costruzione

Grab via Wikimedia Commons

Ha fatto riferimento alla scuola di Amatrice: è legalmente plausibile che in un luogo ad alto rischio sismico una scuola venga ristrutturata e venga lasciata così vulnerabile?
Da un punto di vista tecnico legale, le normative in Italia hanno valore di legge, se uno non la segue commette un reato penale. Queste prevedono l'adeguamento unicamente nel caso in cui si faccia una soprelevazione e si crei un edificio più grande o completamente diverso dal precedente. Tipicamente nelle ristrutturazioni non c'è un obbligo di adeguamento ma solo, ed entro certi standard, di avere un miglioramento. Quindi, pur non avendo dati di prima mano è ragionevole ipotizzare che la legge sia stata rispettata.

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È chiaro però che si potrebbe e dovrebbe fare qualcosa di diverso. Io credo che sia opportuno un programma di medio-lungo termine che regoli le strutture pubbliche e che preveda edifici non semplicemente migliorati, ma che diano una certa garanzia di sicurezza e questo è possibile, nella maggior parte dei casi, unicamente ricorrendo a nuove costruzioni.

Quanto detto finora assolve l'Italia in termini di prevenzione?
In parte. La specificità del territorio italiano è unica a livello globale, per lo meno per quanto riguarda i paesi a più alto rischio sismico. È chiaro che California e Giappone non hanno quel pregresso di costruito che noi ci ritroviamo e che, se da una parte è un fardello, dall'altra trasmette la nostra identità. Si dice spesso che in Giappone c'è un terremoto e non crolla nulla, in realtà non è così semplice e non c'è una grande differenza tra come si progetta oggi da noi o in altri posti. La grande differenza è che noi abbiamo quest'eredità.

Poi però ci sono delle lacune, e sono quelle che mi fanno dire "in parte". Io credo che delle politiche un po' più incisive si sarebbero potute e dovute adottare a partire dal tema della conoscenza del reale. Negli ultimi anni, per esempio, gli edifici dicono quella che è la classe energetica, a seconda di quanto poco consumano: ecco una semplice classificazione di questo genere anche per quanto riguarda la resistenza sismica credo che potrebbe contribuire in maniera sostanziale a rendere più diffusa la conoscenza delle reali prestazioni sismiche degli edifici in cui quotidianamente viviamo.

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Passiamo alla ricostruzione: l'altro ieri il premier Matteo Renzi ha dichiarato che ottenere il rischio zero non è possibile. Cosa pensa in merito?
Con le conoscenze che abbiamo oggi il rischio zero si può raggiungere, bisogna però che i progettisti abbiano piena coscienza di quello che fanno. Bisogna poi che, dall'altra parte, anche il committente non chieda al tecnico di progettare un edificio che, nella ricerca del minimo costo, semplicemente soddisfi i minimi normativi.

Per raggiungere il rischio zero bisognerebbe fare un salto di qualità: bisogna abbandonare la tecnica costruttiva a telaio—che prevede l'utilizzo di travi e pilastri—che negli ultimi cento anni è quella più diffusa. Se si abbandona questa tecnica e si vanno a realizzare gli edifici a pareti portanti ma in cemento armato, si riesce a giungere tranquillamente il rischio zero—ci sono le prove. I costi tra l'altro non sarebbero più elevati. I tempi sono maturi per un cambio di paradigma, questa è la grande sfida ed è in parte quello che, in un certo modo, è stato fatto in Friuli.

Su questo: per quanto riguarda la ricostruzione, quale crede che sia il modello da seguire?
In un certo senso quello a cui facevo riferimento, che è anche quello del Friuli: l'idea era fatta con tecnologie più arcaiche, negli ultimi 15 anni sono arrivate delle tecnologie innovative che permettono la realizzazione di queste pareti portanti con costi ridotti e tra l'altro affiancando un'ottimale efficienza energetica. Ci sono le tecnologie per fare delle case di tre/quattro piani che anche in caso di terremoti violentissimi (come quelli della scorsa settimana) non vengono danneggiate in alcun modo. È questo il modello che dobbiamo seguire, e mi rivolgo anche alle nuove generazioni perché richiedano in qualche modo che venga insegnato loro. Bisogna abbandonare i soliti schemi, quello che è diventata la consuetudine, e ragionare con la propria testa, gli strumenti ci sono tutti.

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