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Sessismo, critiche e lavoro: cosa pensano i The Pills della faccenda The Pills

Seguo i loro video da anni, e ho deciso di parlare con Matteo dei The Pills di quello che è successo dopo la loro reazione a una delle recensioni al loro film per capirci un po' di più.

Nell'ultimo periodo il cinema comico italiano sembra portarsi dietro una scia di polemiche più lunga delle file che poi sono concretamente ai botteghini. Se fino a qualche settimana fa si parlava di Checco Zalone, da qualche giorno i riflettori sono sui The Pills.

La stampa, più precisamente, li ha descritti come un mix tra ragazzini, sessisti, stupidi e "videomaker", inserito quasi come appellativo squalificante nella madre delle critiche dirette ai tre in questi giorni, quella sul Corriere. La polemica stavolta non riguarda tanto il film, quanto la loro reazione a una delle recensioni negative apparse online (non certo l'unica, forse la più importante, comparsa su Rolling Stone). Condividendo l'articolo sulla propria pagina Facebook infatti i The Pills davano a intendere di non capirne il tono, chiedendosi se derivasse dall'essersi "scopati la donna di qualcuno a Rolling Stone Italia."

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A scrivere la recensione era stato Jack Bristow, uno pseudonimo usato su Rolling Stone dal critico Boris Sollazzo—autore di un'altra recensione sul film pubblicata qualche giorno prima su Giornalettismo. Fin da subito lo status dei The Pills ha sollevato critiche anche tra gli stessi fan, oltre alla serie di articoli sopracitata e al commento di Selvaggia Lucarelli. A quel punto la situazione era ormai degenerata: così, dato che su internet a ogni azione di Selvaggia corrisponde una reazione uguale e contraria, abbiamo deciso di aiutare chi vorrà esprimere un'opinione in materia e fornire qualche elemento in più di dibattito coinvolgendo i diretti interessati.

Per sentire la loro versione ho contattato Matteo Corradini dei The Pills, l'autore del post dal quale è scaturita la polemica (mentre più giù c'è la parte in cui, da persona che segue i The Pills, traggo le mie conclusioni).

Come mi spiega Matteo a proposito della prima recensione apparsa su Giornalettismo, l'impressione era che le critiche non fossero molto legate al film: "mi sembrava ci fosse una sorta di premeditazione, come se fin dall'inizio volesse stroncare il tutto. La prima volta me ne sono fregato. Due giorni dopo esce l'articolo su RS, m'informo e vengo a sapere che l'autore era sempre lui, sotto pseudonimo." È a quel punto, continua, che la cosa lo avrebbe infastidito: "Per me chiunque poteva criticare il film in quanto tale, dirci che l'esperimento non era riuscito, perché siamo nati nel web e lì dovevamo stare. Ci può stare la critica, ma tutto il contesto della stelletta, i toni, sì, mi hanno fatto un po' incazzare, al che ho condiviso." Quando gli faccio notare che a molti non siano andati giù i toni della loro critica, aggiunge: "Tra l'altro, in merito a quel post, non riesco a spiegarmi come possa definirsi sessista. Se io mi scopo una, perché è sessista?"

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A quella condivisione dei The Pills è poi seguita un'intervista, sempre di Boris Sollazzo, al produttore del film Pietro Valsecchi. Che ha dichiarato: "Volevo scusarmi per loro perché le critiche vanno accettate […]. Io sono cresciuto con l'idea di fare un passo indietro davanti a una cazzata che dico, invece questa generazione ciò che dice poi lo sostiene per forza, ed è una sciocchezza. Ho messo in scena dei bambini, sapete quanti schiaffi dovrei dargli per le cazzate che dicono?" E ai The Pills la risposta "sul personale" e senza coinvolgerli non sarebbe andata troppo a genio: "Non volevo assolutamente prendesse le nostre parti," continua Matteo. "Io l'avrei capito se ci avesse chiamato dicendoci: 'Avete fatto una cazzata, adesso devo sistemare tutto io,' per poi andare in radio a dire 'I ragazzi sono un po' stupidi, che ci vuoi fare? Peccato perché il lavoro è sempre stato esemplare.' Cosa tra l'altro che ci ha ripetuto più volte durante la realizzazione del film. Invece no, ci ha attaccato anche sul personale: ha detto che siamo dei bambini, però gli è interessato il nostro prodotto per fare un film, che non abbiamo voglia di lavorare, quando abbiamo dimostrato il contrario, come dettoci anche da lui. Se il film avesse sbancato al botteghino, magari non avrebbe reagito così."

Ecco: dopo essermi fatto un'idea un po' più chiara della situazione, penso di poter dire che ciò che emerge da questa diatriba social è principalmente quanto segue.

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Qualsiasi sia la risposta—caustica, piccata, seria, analitica—reagire alle critiche, specie se agguerrite e percepite più legate a problemi personali che a discordanze relative ai gusti estetici, non ha granché senso. In primis perché difficilmente se ne esce puliti, e poi perché si fa il gioco della polemica, creando una sorta di effetto domino tra la gente che legge per supportare, la gente che legge per criticare, chi legge per non restare indietro e così via.

Per Matteo, "Tutto ciò ha avuto una risonanza incredibile. Qualche tempo fa abbiamo fatto una sparata a YouTube Italia, uscì un articolo su Adnkronos molto pesante nel quale si riportavano le nostre parole: 'YouTube Italia non fa un cazzo e non c'ha mai dato una lira,' proprio in questi termini." Eppure, aggiunge "non è successo il casino che è successo per questo post Facebook."

Se oggettivamente tirare in ballo "la donna di qualcuno" non è una grande mossa—e posto quanto detto sopra sull'inutilità di rispondere alle critiche—la reazione di molti al loro commento ha in un certo senso perso di vista il contesto. E per un motivo molto semplice, per come la vedo io: i The Pills fanno ridere perché sono (genuinamente?) coglioni. Nel loro linguaggio rientra tutto ciò che fuori contesto potrebbe risultare scorretto e, appunto, da coglioni.

Seguo i loro video da quando su YouTube potevi scegliere se guardare una recensione Asylum di Yotobi e poco altro, le loro battute fanno parte del citazionismo che affligge le conversazioni con i miei amici e il motivo per cui in questi quattro anni ho continuato a seguirli è semplicemente uno: fanno i coglioni, l'hanno sempre fatto, e immagino che lo facciano anche quando non recitano.

Aspettarsi che, solo per aver realizzato un film, si trasformino in qualcos'altro, significa non aver capito troppo.

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