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reportage

A Londra, i nazisti venivano torturati in segreto nel cuore di Kensington

Tra il 1940 e il 1948, 3.573 soldati nemici sono passati attraverso le porte della London Cage.

L'entrata dei giardini di Kensington Palace, ex sede della "London Cage". Foto via

I quartieri londinesi di Kensington e Chelsea non sono posti per comuni turisti con indosso scialbe magliette ironiche. Sono per sultani, sceicchi, oligarchi e persone a capo di gerarchie di potere che gli inglesi che abitano a pochi chilometri di distanza non comprendono appieno. Sono posti dove i cani sono meglio nutriti di voi e i gatti hanno le loro televisioni. Sono luoghi in cui tutti girano con contanti in valute diverse, perché non sanno in quale Stato finiranno per passare la nottata. Ma sapevate che ospitava anche un gigantesco centro di tortura?

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La London Cage, il nome con cui è conosciuto, era situata all’interno di tre edifici ora parte dell’ambasciata russa, vicino all’attuale residenza del sultano del Brunei e di Roman Abramovich. Sessant’anni fa, durante la Seconda Guerra Mondiale, era uno dei molti centri usati dagli inglesi per interrogare i prigionieri. Dopo il 1945 venne convertito a quartier generale dell’Unità di Indagini per Crimini di Guerra.

All’interno delle mura dei giardini di Kensington Palace, gli inglesi hanno avuto pochi riguardi nei confronti della Convenzione di Ginevra e hanno trattenuto i criminali nazisti con metodi di tortura degni dei peggiori gulag e di Guantanamo. Quell’edificio che un tempo ospitava un centro di detenzione per criminali di guerra—su cui le visite guidate, stranamente, spesso tacciono—la dice lunga sull’Inghilterra e sulle pratiche segrete impiegate a partire dalla Seconda Guerra Mondiale.

Tra luglio 1940 e settembre 1948, 3.573 soldati nemici sono passati attraverso quelle porte. Alcuni sono nomi noti, come Fritz Knochlein, il soldato SS responsabile del massacro di 97 membri del Secondo Battaglione del Royal Norfolk Regiment a Le Paradis, in Francia, e un Gauleiter nazista (un rappresentante locale del partito), Sporenburg, colpevole di aver massacrato 46.000 ebrei polacchi in meno di 24 ore. Il metodo prescelto da quest’ultimo consisteva nel prelevare le vittime da centinaia dai campi di concentramento e costringerle a scavare le fosse in cui sarebbero state sepolte poco più tardi, dopo essere stati giustiziati dai soldati.

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Fritz Knochlein, SS. Immagine tratta da The London Cage.

Nessuno discute sul fatto che molti dei detenuti della London Cage fossero lì per motivi legittimi. Ma la cosa interessante è che tutto ciò è rimasto segreto tanto a lungo, nonostante si trovi a meno di 500 metri dalle fermate della metro di Notting Hill e Kensington. L’esistenza dell’edificio non è stata resa pubblica fino al 2005, quando il giornalista Ian Cobain ne ha rivelato la storia.

Nel 1946, Knochlein aveva dichiarato di essere stato spogliato, privato del sonno per giorni, lasciato senza cibo, costretto a correre fino allo sfinimento e a marciare per ore in cerchio, colpito con una mazza, obbligato a stare in piedi sotto un getto di acqua gelida dopo essere rimasto per ore vicino a una stufa a gas e aver corso portando pesanti ciocchi di legno. Altri detenuti hanno confermato queste dichiarazioni, sostenendo anche di essere stati minacciati con congegni elettrici. Successivamente si seppe che Knochlein era arrivato a un punto di follia per cui si trovava a urlare in maniera disumana ogni notte, costringendo la polizia a indagare sul motivo dell’agghiacciante rumore proveniente dai giardini di Kensington Palace.

L’uomo a capo del centro era il luogotenente colonnello Alexander Scotland, inflessibile direttore della sezione interrogatori di guerra dell’intelligence inglese. E si indignò davanti alle accuse di tortura. Per avere un'idea del personaggio è possibile riportare un passo delle sue memorie avente per oggetto uno scambio con il Dott. Oelherrt, avvocato difensore di Erich Zacharias, accusato dell’omicidio di un ufficiale della RAF e di essere mandante dell’assassinio dell'amante, durante un processo a 18 nazisti nel 1947.

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Oelhert sosteneva che, “Il suo cliente lamentava di essere stato colpito più volte in viso durante il periodo di detenzione alla London Cage. Gli era stato negato il cibo per diversi giorni e durante l’interrogatorio aveva passato molte notti senza la possibilità di dormire.”

Rivolgendosi a Scotland, l’avvocato aveva aggiunto: “Zacharias ha affermato che lei l’ha minacciato con congegni elettrici.”

Scotland rispose, “Una versione piuttosto inaccurata. Non abbiamo armi o congegni simili alla London Cage.”

“E così andò avanti,” scrive Scotland nel suo libro, The London Cage, pubblicato per Evan Bros nel 1957, “fino a quando un altro difensore suggerì che io avessi minacciato i prigionieri di impiccarli con le loro mogli e spedirli in Siberia, dove sarebbero diventati una proprietà pubblica.”

Luogotenente Colonnello Alexander Scotland. Immagine tratta da The London Cage.

In quello che sembra più il tipico attacco di un teppistello delle scuole medie, Scotland era anche stato accusato di aver tirato i capelli ai prigionieri. Lui rigettò ogni accusa, escogitando un bizzarro e vagamente ridicolo modo di provare la propria innocenza.

“Quest’accusa mi interessa, dal momento che mi sembra non solo un’improbabile ma anche un’inefficace forma di tortura,” riferisce nel libro. “Quindi, in presenza di diversi testimoni alla London Cage, ho dato una dimostrazione del perché ciò fosse impossibile. Uno dei miei assistenti inglesi aveva acconsentito a fare da cavia per il test. Per prima cosa si è messo a carponi. A quel punto l’ho afferrato per i capelli. Infine, l’ho trascinato così per tutta la stanza… con un unico risultato: pochi capelli rimasti nella mia mano… E come spesso succede le prime pagine dei giornali titolavano, inaccuratamente, ‘Gli uomini della Gestapo non sono stati picchiati—sono stati tirati loro i capelli.’”

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Le storie che emergono dalla London Cage vanno dal disgustoso all’assurdo. Un altro caso di cui si era parlato qualche anno prima nelle memorie di Scotland era quello del “Ragazzo che non smetteva mai di ridere.”

Uno dei pochi sopravvissuti al naufragio della nave da Guerra Bismark, affondata nell’Atlantico nel 1941, “era stato portato alla London Cage, dove il suo interrogatorio ebbe inizio. La sua unica risposta a ogni quesito gli venisse posto, tuttavia, era un riso incontrollato. Anche le più semplici domande causavano uno scoppio di ilarità. Era come se possedesse qualche meccanismo di difesa, una sorta di riflesso incondizionato, che incoraggiava questo inusuale metodo per evitare un argomento che, per anni, era stato addestrato proteggere.”

Scotland afferma che il metodo da lui adottato per risolvere questi piccoli inconvenienti era ridere con il ragazzo, invogliandolo a mettere insieme le idee e parlare apertamente.

Immagine tratta da The London Cage.

Strani e sadici colonnelli a parte, la segretezza intorno alla London Cage porta a galla la questione riguardante la politica del “no alla tortura” britannica iniziata con la fine della guerra. Certo, a coloro che erano accusati di omicidio di massa veniva riservato il trattamento peggiore. E le loro insinuazioni—in particolare quelle di Knoechlein, che era già stato condannato a morte e pareva dedicare tutti i suoi sforzi a rovinare la reputazione delle Forze Armate Britanniche—dovrebbero essere prese con le pinze. Ma le sue osservazioni non erano molto diverse da quelle di altri prigionieri; e, come dichiara Darius Rejali nel suo libro Torture and Democracy, non si può ignorare il fatto che, “Scotland aveva rifiutato le ispezioni della Croce Rossa, sostenendo che si trattasse di prigionieri civili o criminali all’interno delle forze armate, dunque non protetti dalla Convenzione di Ginevra.”

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Un’ulteriore indagine dell’MI5 ha rivelato risultati opposti, ma Scotland non è mai stato accusato, nonostante avesse successivamente ammesso che, “Non abbiamo mai commesso atti di sadismo. Però, abbiamo fatto cose psicologicamente altrettanto crudeli… C’era un collega veramente sfacciato e ostinato. Gli chiedemmo di spogliarsi e alla fine rimase davanti a noi completamente nudo. Gli ordinammo di muoversi. Quello annullò la sua resistenza. E iniziò subito a parlare.”

Le umiliazioni si estendevano anche alle funzioni corporali, “A volte li facevamo stare in piedi per ore,” continua Scotland nel libro. “Se un prigioniero voleva urinare, doveva farlo lì, nel luogo in cui si trovava, vestito. Era sorprendentemente efficace.” È inoltre emerso che gli agenti che conducevano gli interrogatori indossavano uniformi del KGB, per intimorire ulteriormente i detenuti tedeschi.

Sarà stato questo a spingere l’Ufficio di Guerra a bloccare la pubblicazione delle memorie di Scotland, quando queste furono sottoposte al controllo della censura nel 1950? L'autore venne improvvisamente minacciato di procedimento da parte del Official Secrets Act e la sua casa fu perquisita senza preavviso. L’Ufficio Relazioni Estere insistette perché il libro fosse tenuto nascosto all’opinione pubblica, ed è stato pubblicato solo sette anni più tardi, dopo che tutte le prove incriminanti erano state rimosse.

Qualsiasi fosse la vera motivazione—e potremmo non saperlo mai—è importante sottolineare la diffusione dell’uso segreto della tortura in Gran Bretagna, mentre cresce la preoccupazione verso l’introduzione di corti segrete, casi chiusi in cui l’imputato potrebbe non sapere quali accuse gli sono rivolte, presiedute solo da un giudice e “avvocati speciali” con permessi particolari.

Come gli Stati Uniti e molti altri paesi che si professano profondamente rispettosi della legge e dei diritti fondamentali, anche il Regno Unito ha una lunga storia di ingiustizie e violenze di ogni genere. È snervante ricevere conferme di come il governo sia libero di nascondere più informazioni che mai e coprire le proprie tracce, in tutti quei casi in cui un regolare processo non si dimostra efficace quanto la forza bruta.

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