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Cibo

Un tour fasciogastronomico di Roma e dintorni

Dopo le rivelazioni di Mafia Capitale, ho radunato qualche amico con lo stomaco di ferro per cercare il bar-ristorante perfetto per celebrare un'immaginaria riunione di ex camicie nere.

​​Per tanti anni ci siamo sperticati a descrivere Roma Nord. Non tutti eravamo d'accordo nel definirla "​una categoria dello spirito", "una capitale speciale" o "un'isola che rende liberi", ma concordavamo sul fatto che Roma Nord fosse un mondo a parte.

E oggi, grazie ai Carabinieri dei Ros, ​abbiamo capito che il mondo non è a parte: è "di mezzo". Una selva dantesca dove "i vivi stanno sopra e i morti stanno sotto, e ci si incontra tutti là," a Vigna Clara, al bar Euclide, al COCO LOCO, a Viale Parioli e al distributore di Corso Francia.

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La cosa sconvolgente che è emersa dalle intercettazioni è che non si tratta di una forza esterna che ha aggredito la città, come per esempio la 'ndrangheta a Milano, ma di un qualcosa che è nato all'interno di quella borghesia romana di cui io stesso sono parte. I teatrini spogli e corrotti "der porcone" e "der cecato" sono i posti dove nonna prendeva l'aperitivo con le amiche, dove i miei cugini andavano a ballare, dove più volte anche io ho fatto, ignaro, benzina.

Gli incontri tra "er cecato" i politici e gli imprenditori si organizzavano in bar, pub, ristoranti, ovunque, bastava che si stesse seduti e si spizzicasse qualcosa. Dalle intercettazioni sono usciti alcuni nomi di questa Nuova Movida; luoghi borghesi, dove chiacchierare di appalti, di nomine e di cameratismo, tra amici prima ancora che colleghi. Leggere di questi posti anonimi frequentati da Carminati e Co. mi ha stupito: quelle trattorie romane e i soliti bar fighetti non rendono giustizia allo spirito fasciobromance che ci si aspetta da una riunione di ex camicie nere.

Così, per scoprire se esiste davvero a Roma un luogo ameno del fascismo, dove il tempo si è fermato al Ventennio, sono partito insieme a qualche amico dallo stomaco di ferro alla ricerca del bar-ristorante perfetto per celebrare un'immaginaria riunione/magnata di ex NAR. Una Strafexpedition un po' goliardica e un po' folcloristica, a metà fra Amici Miei e un fine settimana dei G.U.F.

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La prima tappa, come previsto, è stata Roma Nord; dopodiché sono andato a braccio, pleonasticamente teso, trovando quello che cercavo ben oltre il Grande Raccordo Anulare. Ecco com'è andata.

L'OSTERIA VECCHIE MANIERE

In zona Flaminio c'è un posto magico. Un locale piccolo e per niente romantico, un trionfo del Duce in triacetato di cellulosa. La cuoca/cameriera/proprietaria ce lo spiega mentre prepara la macedonia: "Questo è un museo, prima che un posto dove magna'."

Affisse alle pareti ci sono centinaia di quadri e fotografie e piatti di coccio, e non c'è neanche un angolo libero dove attaccare un calendario dei carabinieri. Tra le cose più belle si trova una pagina del Legionario, giornale dei Fasci Italiani, accanto alla foto della "Banda di Maestrelli" con l'autografo di Pino Wilson. Giustamente semi nascosta ce n'è anche una "der Caghetta", Gianfranco Fini, prima del tradimento, con dedica: "A un vecchio camerata."

Gli accostamenti sul muro sono inevitabilmente confusi, come il trittico Berlusconi, Padre Pio e Falcone.

Tra le istantanee c'è un vecchino simpaticissimo: è l'antico fondatore, lo zio della cuoca/cameriera/proprietaria/prepara macedonia. "Ste foto sono storiche, hanno fatto impazzire tutti al Ministero degli Esteri," ci dice, qualunque cosa significhi. Il vecchio è ritratto principalmente in due pose: in un carrarmato e con un grembiule customizzato con l'immagine del Duce mentre fa il saluto romano. "Nun posso toglie niente," dice la nipote: "La gente ce viene anche per questo. So' amici de noantri. Io, per me, l'avrei tolto qualcosa, ma guai, m'hanno detto!"

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Questo simulacro del Ventennio, a pranzo, è tristemente vuoto e la signora è l'unica a farmi compagnia. I suoi modi sono ruvidi e schietti. Non si schioda mai dal mio tavolo, racconta e ci controlla.

Con la voce grossa e simpaticamente burbera mi intima che prima di chiedere altre portate "Bisogna fa' la scarpetta, altrimenti non te porto niente." Per avere i secondi bisogna inzuppare tre etti di pane nell'olio rifritto della gricia e sentire le arterie chiudersi per sempre. Ordinare le uova al tegamino è follia. Anche la Signora, allarmata, consiglia di desistere. Così mi alzo, vado in bagno e dalla porta della cucina nel seminterrato vedo l'orrore. L'aiuto cuoco della signora è cingalese.

Conto grazie!

IL COMPOUND DEL DUCE

Vicino allo stadio Olimpico, tra le decine di casematte tutte uguali ce n'è una in cui si può sorseggiare un caffè col moschetto. Visto da fuori sembra l'ennesimo bunker anonimo che prende vita soltanto durante le partite di calcio. Ma dentro, il locale pulsa di fascismo. Prima di Roma-Sassuolo sono pochi i tifosi che si fermano qui, e per questo vive uno stato di abbandono.

Una volta era più attivo culturalmente, organizzando anche qualche mostra dedicata all'anniversario della morte di Benito. Oggi, i feticci del ventennio sono ammassati su una mensola all'ingresso del bar, sopra bandiere italiane come centrini. Oltre al busto di Mussolini ci sono fotografie della nipote Alessandra, due prime pagine del Tempo e alcune bottiglie di vino con l'etichetta "nera".

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"Prima c'avevo artra roba," dice il proprietario: "Poi due giornalisti pezzi di merda hanno fatto la spia e ho dovuto butta' tutto." Una lady, probabilmente la moglie del proprietario, mi vede interessato alle fasciobottiglie di vino e così mi dice che sono in vendita. Poi aggiunge: "Prima se va a vede' la partita, e poi ripassa a compralle."

Ma dopo la partita non ripasseremo. Dobbiamo andare avanti. Qui il fascismo c'è, ma è dozzinale. Troppo grossolano l'arredamento. La stanza interna poi è spoglia, e sedersi fuori d'inverno sia pure con una grappa da discount non basta a scaldarti.

IL PRESIDIO I

Incuriositi dalle numerose recensioni positive decidiamo di fare un salto per cena in un'altra famosa osteria criptofascista in zona Piazza Vittorio. Il locale è un presidio di Casapound che ha la sede all'Esquilino, vicino alla stazione.

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Ero convinto prima ancora di recarmi che sarebbe stato il luogo perfetto per ritrovare l'autentico cameratismo della capitale. In un articolo del Corriere si faceva un allettante quanto estenuante parallelismo tra la poetica del proprietario e quella della cucina: "Nel dubbio magna," "Cinghia allarganza"; leggendo i commenti di Trip Advisor poi, tra i giudizi pentastellati, mi ero davvero convinto di aver trovato il posto che faceva al caso nostro. Utenti che si lamentavano della zona, "in mano a comunità etniche varie, che ha reso la passeggiata non così tranquilla"; camerieri tatuati "con le idee politiche bene in vista sulla pelle" e un ambiente dove "anche i coltelli ti raccontano una storia." Tutto perfetto, se non fosse che era chiuso, lo stanno ristrutturando. Dio Iannone!

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IL PRESIDIO II - IL PUB

Tramortito e affamato mi sono trascinato al "Pub più odiato d'Italia", anch'esso presidio di Casapound a Colle Oppio, non distante da Piazza Vittorio.

Si deve citofonare e loro prima di aprirti controllano chi c'è da una sorta di oblò (ambientazione veliero), e mi sale un bel po' di paura. Però poi all'interno è tutto tranquillo. Mi fanno accomodare in una sorta di cuccetta e mi fanno riempire una tessera, è un'associazione culturale. Chiedo: "Ma si paga?"

"No," l'offerta per i camerati al gabbio è libera.

La cambusa è modesta, poche birre alla spina e pietanze disgustose anche se dai nomi evocativi come: "il piatto del Camerata" e i panini "il tagliagole", "rivolta" e "tante botte."

Essendo un pub di Casapound, rispetto agli altri locali non c'è nostalgia. Loro non vivono nel ricordo, sono giovani e guardano al futuro, per questo neanche una foto del duce, solo un gagliardetto con un fascio littorio rimanda al Ventennio. Da sottolineare l'accompagnamento musicale. Business e Cockney Rejects hanno strillato il loro punk Oi! a un volume accettabile e anche le bambine della famiglia che occupava la cuccetta accanto alla mia non hanno avuto paura e mi hanno tirato i capelli sorridendo.

IL TAJ MAHAL DEL FASCISMO

L'ultima e più mistica tappa del nostro tour fasciogastronomico ci porta fuori Roma, nel più grande e sfarzoso mausoleo del Ventennio. Un manichino balilla che mette l'ansia accoglie romanamente all'ingresso. Ci fanno accomodare in una sala grande, maestosa, vicino a un camino allegro e scoppiettante. Il menù è talmente fasciofantastico che voglio riportarlo integralmente:

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ANTIPASTI
​Mare Nostrum "Littorio"
​Prosciutto al Pugnale
​Crostini "Figli della Lupa"
​Fagioli alla Finocchiella
​Pizza di Polenta e Ramoracce
​Pane e Pecorino
​Ricotta Tartufata

PRIMI PIATTI
​Cannolicchi del "Ballila"
​Sagna e Ceci
​Gnocchi alla "Nonna Rachele"
​Zuppa del "Fascio Littorio Romano"
​Farfalle Tricolori
​Risotto alla Buonanima
​Ravioli "Neri" al Tartufo

SECONDI PIATTI
​Carne alla brace
​Abbacchio "O Roscio"
​Trippa Romana
​Coda Vaccinara
​Tordi Matti

DOLCI
​Faccetta Nera
​Torta Tricolore
​Fagottino del Balilla
​Medaglione del Duce
​Torta della Nonna
​Mousse "Dolce Claretta"

Maledizione! Ci siamo, finalmente. Per festeggiare brindiamo con una bottiglia di vino "Nero". L'oste in camicia nera, con cravatta nera e sagoma del profilo del Duce e fregio tricolore, che mi individua subito come uno dell'ISIS dalla pericolosa barba lunga hipster, ci serve una vagonata di antipasti.

Poi i cannelloni al sugo, piatto onestamente démodé che non mi fa impazzire, ma cucinato con sincerità. Seguono, come secondo primo, fettuccine carciofi e guanciale. Purtroppo devo ammettere non all'altezza della fama del locale. Entrano degli zampognari che alternano "Bianco Natale" a "Faccetta nera", e mentre gli astanti cantano in coro e battono le mani, realizzo di non essere in un ristorante, ma in un luogo di celebrazione della morte. La morte di quel fascismo nostalgico e goliardico di Giorgio Almirante e dei reduci della R.S.I.

"Altro vino Nero per favore!"

I dolci sono di ottimo livello, sia il "Medaglione del Duce" che la mousse "Dolce Claretta". Pioggia di grappe e sambuche romane, il proprietario viene a scambiare quattro chiacchere su Mafia CapitaleÈ disamorato e schiuma rabbia anche solo a pronunciare il nome di Gianni Alemanno: "Fiji de na' mignotta, ma noi qui resistiamo. Cerchiamo di tenere tutto come è sempre stato."

Chiuso nel suo Taj Mahal, nel suo mausoleo, la sua delusione è palpabile nelle parole, così come la nostalgia, il rimpianto, il senso di morte. Affranto, conclude la sua riflessione con un delirante sogno fatto di pistole, fucili e droni su Montecitorio e sulle ville borghesi dei camerati mafiosi che hanno tradito. Quasi inizio a provare tenerezza per lui e per il suo mondo sepolto, ma non ce la faccio più.

"Quant'è?"

Mi porta il conto salatissimo continuando a vagheggiare dei suoi assurdi piani: démodé come i suoi cannelloni.