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Non è colpa degli shorts, ma degli uomini che la pensano così

E di chi è convinto della massima “la violenza sulla donne è disgustosa, ma.”

Un uomo in shorts.

Non capita spesso di imbattersi ne Il Secolo XIX, ma stamattina, cercando di risalire alle cause della creazione dell’hashtag #siamotutteinshorts, sono arrivata sul sito di questo quotidiano, a un articolo pubblicato lunedì, firmato da Marco Cubeddu, dal titolo “Ragazze in shorts, vi siete viste?” Ho iniziato la lettura con la speranza che si trattasse di un pezzo sulla cellulite, non perché poteva trovarmi d’accordo, ma perché sarebbe stato tutto molto più semplice. Io mi sarei incazzata dicendo al vento “Ma ti sei visto tu?”, avrei pensato a tutte le ragazze con la cellulite che chiavano e limonano felici nonostante chi urla disgustato, e sarebbe finita lì.

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Invece mi trovo nella situazione di dover perdere una giornata di lavoro a 1. convincermi che è il 2013 e non il 1965; 2. illustrare per l’ennesima volta all’ennesimo uomo i motivi per cui quando gli passa anche solo per la testa di volersi mettere a spiegare perché per una donna sarebbe meglio fare una cosa o fare l’altra dato che “in quanto donna” potrebbe nuocerle, dovrebbe alzare una mano, chiuderla a pugno, infilarsela in bocca, e stare lì finché non sente più la necessità di farlo.

Affrontiamo l'articolo punto per punto, così nel caso in cui non l’aveste letto potete farlo qui insieme a me, poi vi offro dei Maalox.

Qualche settimana fa ero a Roma, per lavoro. Trascorrevo la pausa pranzo a Villa Borghese, sdraiato su una panchina. Quando, a un certo punto, sono stato travolto da una nube di “quartine” in shorts. Con “quartine”, a Roma, si intendono quelle di quarta ginnasio, cioè quattordicenni. Era appena finita la scuola. E le strade si sono riempite di ragazzine di 2a e 3a media. Non solo in shorts, ma anche in “minishorts” (il jeans arrivava molto più in alto della fine dei glutei). Alcune si toglievano le magliette e restavano in reggiseno. Altre, con le magliette bagnate per i gavettoni, il reggiseno non lo indossavano.

Esercizi di stile di Queneau è un libro bellissimo: nella prima pagina c’è il brevissimo racconto di una situazione banale, che viene riscritta 99 volte, ogni volta con una variante stilistica diversa. In una ipotetica nuova versione di questo libro incentrata sui cambi di personalità dell’autore, il cui racconto breve iniziale è “È estate a Roma, un uomo si siede su una panchina a Villa Borghese, intanto gruppi di studentesse delle medie e delle superiori si recano al parco per giocare a gavettoni,” quella nel paragrafo qui sopra sarebbe la versione “humbertiana”.

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Qualche giorno fa ero in Sardegna, in giro per paesi molto piccoli. Anche lì, ragazzine, giovanissime, con una parte consistente di chiappe in vista. Sono rientrato a Genova, per una rimpatriata con la mia classe delle medie. Non vedevo i miei compagni e le mie compagne da più di 10 anni. Siamo andati a bere qualcosa nei vicoli. Straripavano di minishorts.

Una mia amica sostiene che gli uomini eterosessuali si dividono in quelli che amano le tette e quelli che amano il culo. Se io fossi un uomo che ama il culo non scriverei un articolo sul sito di un quotidiano con 130 anni di storia solo per far capire da che parte sto.

Ho chiesto alle mie compagne (non esattamente bigotte): da donne, erano perplesse. Secondo una di loro “non possono lamentarsi se poi le stuprano”. Ovviamente, non esiste e non deve esistere nessuna giustificazione o attenuante per azioni tanto barbare.

L'età adulta arriva quando capisci chi dei tuoi amici vale e chi è un amico di merda.

La violenza sulle donne è disgustosa.

Il Tumblr “I’m not a racist, but” è uno dei miei preferiti. Dovremmo metterci a fare una versione italiana e chiamarlo “La violenza sulla donne è disgustosa, ma.”

Anche se, personalmente, penso che femminicidio sia una parola idiota. Ogni omicidio è un omicidio. E dovremmo condannarlo senza ricorrere a ridicole discriminazioni di genere.

Il femminicidio si chiama così perché la discriminazione di genere è il movente. Non è una discriminazione fatta DOPO da chi lo condanna, ma PRIMA. E non è una categorizzazione generica tipo “infanticidio”, per cui va bene qualsiasi bambino, e ha una definizione ben precisa che si può leggere su svariati siti internet, anche dalla suddetta bolla spazio-temporale del 1965.

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Inoltre, anche se impopolare, bisogna dirlo: spesso, le violenze domestiche nascono da situazioni in cui, donne con scarsa personalità, si legano a zotici della peggior risma.

Le violenze domestiche nascono perché un uomo, per svariate ragioni, decide di menare la propria moglie, qualsiasi sia la quantità di personalità di quest’ultima. Provo una traduzione: le donne con scarsa personalità (intendevi dire “che hanno paura”, “che sono state educate a non controbattere al marito”) non denunciano i mariti zotici della peggiore risma, non riuscendo a uscire dalla spirale di violenza in cui si trovano.

Quanto scritto nell’articolo non è “impopolare”, è una stronzata.

Più che una questione di genere, mi sembra una questione di mancanza di strumenti culturali.

È vero, mancano (anche) gli strumenti culturali. È quasi un peccato che questa frase sensata si perda nel restante mare di merda, ma forse no.

E, pur prendendo le distanze da ogni inqualificabile molestia, la questione rimane: perché le ragazzine si vestono così da sgualdrine?

A parte che la sgualdrinaggine è nell’occhio di chi guarda, la questione è molto meno A - B di come viene dipinta. Tutte le volte che mi è capitato di essere molestata non ero “vestita da sgualdrina”, mi è semplicemente capitato di avere un maniaco accanto in metropolitana o sul bus. È più risolutivo non prendere i mezzi pubblici che vestirsi da novizia.

Nessuno dei miei amici si fidanzerebbe con una che si veste così.

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E questo dovrebbe essere un deterrente?

E nessuna delle mie amiche si vestirebbe così.

Le tue amiche, quelle che augurano gli stupri alle ragazze che indossano gli shorts?

Non si tratta di moralismo. Personalmente, sono grato a questa moda. È un piacere vedere tutte queste Daisy Duke (chi guardava “Hazard” non può aver dimenticato) girare per le città.

Se non si tratta di moralismo di che si tratta? E se ti fa piacere perché stai scrivendo questo pezzo, per aiutare le ragazze a non essere stuprate con consigli di stile? Si potrebbe chiedere a Real Time di realizzare il format Ma come ti vesti, per non essere stuprata?

Ma non capisco perché una ragazzina dovrebbe voler apparire in questo modo. Cosa pensano di ottenere?

Stare più fresche? Poter muoversi agevolmente senza rischiare che si veda la vagina come succede con la gonna?

Le donne, nel mondo, ancora orrendamente fallocratico, stanno accrescendo la loro influenza. Esistono differenze biologiche e di genere che esaltano entrambi i sessi e non sono in contrasto con il successo, la serietà e le capacità delle donne. Che, anche in Italia, acquisiscono, forse troppo lentamente, una maggiore affermazione sociale.

Qui non so cosa commentare perché non capisco il discorso di “differenze biologiche e di genere” se non in termini di mestruazioni e sottosviluppo della muscolatura causa scarsissima produzione di testosterone. Però so che un sacco di maschi non riescono a lavorare con le donne quando indossano gli shorts perché non fanno altro che guardare le gambe della persona che hanno di fronte. Ma questo in che modo è un problema causato dalla donna (o dagli shorts, o dalle gambe in generale), invece che dalla libido maschile non controllata?

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Arriviamo al punto su cui ci si divide su questa questione, che semplifico in “chi crede che la colpa di uno stupro sia dello stupratore” e “chi crede che la colpa di uno stupro sia della stuprata/delle circostanze.” La legge italiana sullo stupro fino al 1996 stava nella seconda categoria, perché lo considerava un reato che lede la morale pubblica, poi è diventato un reato alla persona, che lede la libertà sessuale dell’individuo. Perché di questo si parla: di uno che agisce per violare la libertà di un altro. L’argomento della “provocazione” non ha senso perché è l’azione che conta. E se basta indossare un capo per “provocare” qualcuno, è un problema di quelli che una volta si risolvevano con il bromuro di potassio.

Oggi impazzano le campagne per la parità. Alte cariche dello Stato si sono indignate per le parole di Franco Battiato, volutamente travisate dai media: troie in parlamento. Un giudizio politico impugnato da chi, forse, ha la coda di paglia. Non è con il sensazionalismo che cambieranno le cose. La fine delle discriminazioni passa per l’esito di battaglie di lungo periodo, fragili processi storici e fasi di transizione, che muovono da basi profonde. Il primo motore dell’emancipazione femminile, più che la montagna fumante di reggiseni bruciati in piazza, è stata la salarializzazione della Seconda Guerra Mondiale .

La fine delle discriminazioni passa per l'eliminazione della distorsione che alcune persone fanno quando pensano shorts ->puttana, o peggio shorts -> stupro, e questo dovrebbe passare anche attraverso un adattamento del discorso sui mezzi di comunicazione. Ad esempio, non si dovrebbero pubblicare a cuor leggero articoli come questo.

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Ma, almeno parte del proprio destino, è data da scelte individuali. Siamo così convinti che mettersi il velo sia prigione e i minishorts siano libertà?

Una volta per tutte: la libertà è nel decidere che capo indossare, non nel capo in sé.

Io però me lo sento che sotto questa frase c’è quel pensiero orribile “ve li siete voluti gli shorts, ve la siete voluta la possibilità di uscire la sera…” e a questo punto preferisco andare oltre.

Siamo convinti non esista una via di mezzo in cui milioni di donne si trovano perfettamente a loro agio?

Gli shorts sono la perfetta via di mezzo tra la freschezza della minigonna e la praticità dei pantaloni.

Fin da giovani si può decidere chi si vuole diventare da grandi. Care quartine, a voi la scelta: life is short(s).

Quartine, volete un consiglio serio sul vostro futuro? Non ascoltate gente che vi dà consigli dopo esserselo fatto venire barzotto mentre vi guardava nel parco.

Segui Chiara su Twitter: @chialerazzi

Per chi non ha capito abbastanza:

Eliminare la violenza un uomo alla volta