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Ultra super modernist comics - Intervista a Robert Crumb

Intervista a Robert Crumb, dio del fumetto e della musica fuori moda.

È un pezzo che leggo fumetti in cui Robert Crumb disegna la sua passione per il blues delle origini, per le orchestrine degli anni Venti: le sue storie da un pezzo ormai non parlano di Mr.Natural, di Fritz The Cat o del Signor Snoid, ma delle sue ossessioni personali. Al pari di stupefacenti e donne con grosse caviglie, la musica fuori moda è una sua passionaccia. Crumb la ascolta, la colleziona, la suona.
Mi capita di lanciare anatemi contro quelli famosi che non fanno il loro mestiere, ma razzolo male: nel passato non ho resistito a Woody Allen clarinettista e a David Lynch pittore. Non c'è da stupirsi se sono finito pure sotto un palco, ad applaudire l'uomo che ha liberato il fumetto americano nei Sessanta e che trent'anni dopo―senza saperlo―ha fatto deflagrare il mio cervelletto di adolescente, nonostante non stesse facendo il suo mestiere, disegnare: era lì per suonare.

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Copertina di Harmonica Blues , Yazoo Records, 1991

Ameno Blues è un piccolo festival: poco sopra il lago d'Orta, nei pressi della sponda est, una bella piazza. Crumb sul palco di Ameno ha pizzicato il suo mandolino insieme all'East River String Band, davanti a un pubblico che, al novanta percento, non aveva mai sentito nominare i suoi personaggi. Il restante dieci percento, inevitabilmente, si sbrodolava davanti al mito: "In questa piazza c'è Dio", ho sentito. Breve ed efficace. Ma la miglior sinossi di Crumb è opera del presentatore del festival, che ha sintetizzato nella sua introduzione: "Con la East River String Band, suonerà un artista molto importante. Un'icona della Summer of love di San Francisco. Un mito degli anni Sessanta. L'autore della copertina del più bel disco di Janis Joplin." Io avrei aggiunto: l'uomo dietro a una rivista favolosa come Weirdo. E, appunto, Dio al tavolo da disegno. Ho già ammesso di essere un fan. Comunque.

Robert Crumb suona ad Ameno con Eden e John. Foto di Nicola Riotti

Crumb, quella sera ad Ameno, ha suonato vecchie canzoni: dei Trenta, Cinquanta, Sessanta. Incredibilmente, è stato piuttosto disponibile―per i suoi standard di tipo mooolto riservato―a foto e autografi. E perfino loquace, poi, quando ho iniziato a chiedergli―con malcelata deferenza―delle sue passioni. A iniziare dal blues. Di solito seguo la regola d'oro: fake it 'til you make it. Ma non avrei voluto rischiare una brutta figura (non davanti a Dio), quindi ho calato subito le braghe.

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VICE: Devo dire la verità: il poco che so del blues viene da quella serie di documentari prodotti da Scorsese―ne ho visti un paio al cinema―dai suoi fumetti e da un libro che ho comprato circa sei mesi fa. Si intitolava Angeli perduti del Mississipi, e sinceramente l'ho preso solo perché c'era un suo disegno in copertina.
Non so bene di che libro si tratti…

Hmm, spero che le abbiano pagato i diritti, per quel disegno. So che anni fa ha passato qualche guaio per via di storie di copyright… Hmm, c'è scritto "per gentile concessione di Dennis Kitchen Publishing", quindi dovrebbe essere una cosa regolare.
Oh, se c'è scritto così, sì, è probabile che sia ok.

Quando è iniziata, l'ossessione per il blues? … Un particolare momento nel quale è stato folgorato dal potere di quella musica?
Non c'è un momento preciso, a dire la verità. Mi ricordo di quando guardavo la tv da piccolo, negli anni Cinquanta. Ecco, mi capitava di vedere questi film dei primissimi Trenta… Ero incredibilmente attratto dalla musica. Che non era blues, ma musica da ballo, pop orchestrale di quei tempi. C'era dentro un po' di jazz, ma era un'altra cosa.

Avrò avuto undici o dodici anni: ho iniziato a cercare dischi di quella musica, ma trovarli era impossibile. Magari mi imbattevo in registrazioni di musica pop degli anni Venti, ma era sempre attualizzata, suonata in stile "moderno". Non era la stessa che sentivo nei film. Poi, arrivato a quindici, sedici anni, ho scoperto i vinili a 78 giri. Ne avevo comprati un po' in uno di quei negozi di roba vecchia, che vendono anche fumetti, vestiti… Mi ricordo perfettamente quando li ho portati a casa, e li ho messi sul fonografo: ecco, ho pensato, ecco la musica che cercavo. È questa. In realtà, erano solo canzoncine pop del 1928 o giù di lì.

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E com'è arrivato al blues?
Ho iniziato a collezionare dischi, in modo via via sempre più serio. Insieme in quei dischi c'era anche blues, ma non era quello il mio interesse principale… Io volevo musica vecchia, da disseppellire. Sono entrato in contatto con molti stili diversi.

Le prime volte che ho ascoltato blues, ricordo che mi sembrava esotico, strano. Non assomigliava a nessuno dei generi musicali che potevo ascoltare da adolescente: i miei erano i tempi del rock'n'roll.

Quindi, si può dire che la storia sia iniziata grazie al collezionismo.
Be', no, è dipeso solo dalla musica. Io sono sempre stato un collezionista, quello è un tratto di base della mia personalità. Da piccolo collezionavo di tutto, poi ho collezionato fumetti, un sacco di roba…

Immagine da Robert Crumb's America , prossima pubblicazione dell'editore Comma 22

Non le sembra che questa mania degli oggetti, delle collezioni, stia cambiando? Tipo, le nuove generazioni mi sembrano meno interessate agli oggetti in sé, però continuano a mettere insieme collezioni, anche se magari sono solo in formato digitale. Mi chiedo se nel futuro ci saranno ancora i collezionisti vecchia scuola.
Questo non lo so proprio. Però sono certo che sarà molto meglio collezionare le cose in formato elettronico. Avere tutto su una piccola macchinetta è più comodo che fare come me, che ho una stanza enorme piena solo di vecchi dischi, libri e fumetti. Saranno dieci tonnellate di roba con cui ho a che fare fisicamente. Tutta questo forse finirà in un museo. È lì che finisce la roba vecchia, no?

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Io ho qualche problema con la mia ragazza: viviamo insieme e la casa è piena di libri, fumetti e altra roba…
Devo dire che mia moglie accetta le mie collezioni, perché dice che mi tengono lontano dai guai. Dice che ho bisogno di un passatempo inoffensivo, che non c'entri con il prendere droghe o correre dietro a qualche donna. Qualche volta le ho chiesto se non avrei dovuto piantarla di collezionare vecchi dischi, vendere tutto, e basta. E lei: "No, tienili pure, è un bell'hobby." Certo, diventa nervosa se vede che sto spendendo tutti i soldi che abbiamo…

Del resto, a cosa servono i soldi?
Sono perfettamente d'accordo.

Adesso suona con la East River Strings Band, composta da John Heneghan e Eden Brower. Com'è cominciata?
Mia figlia, Sophie, viveva nell'East Village intorno al 2005, e lì ha conosciuto John… o forse prima Eden e poi John, mi sa. Comunque, un giorno mi ha chiamato e mi ha detto: "Ehi, qui c'è un tipo a cui piacciono le stesse cose che piacciono a te!" Così, la volta successiva che sono andato a trovare Sophie a New York me l'ha presentato, e siamo diventati amici: abbiamo invitato John e Eden da noi, abbiamo ascoltato un sacco di musica… poi ho iniziato a disegnare le copertine dei loro dischi… John mi paga con vecchi 78 giri. (ride)

Poi mi ha chiesto se volevo essere anche dentro il cd, e non solo sulla copertina. Io gli ho detto: "Ok." Così abbiamo suonato insieme a New York, qualche volta. E adesso anche in Italia.

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Non è la prima volta che fa parte di una band. Però leggendo i suoi fumetti, soprattutto le storie autobiografiche, mi sono sempre immaginato che Robert Crumb non fosse il tipo che ama stare su un palco.
Ma è così. Stare sul palco mi rende molto nervoso. Mi piace suonare, suonare con altri musicisti, ma trovarmi davanti al pubblico no, non sono a mio agio.

Il problema è metterci la faccia.
Io odio fare televisione, le telecamere… non mi piace neanche quando qualcuno si vuole fare foto con me. Di solito rifiuto le interviste televisive, non le faccio e basta.

La prima band con cui ha suonato si chiamava Cheap Suit Serenaders, e c'era dentro gente interessante come Terry Zwigoff, che poi è diventato regista e ha girato un documentario su di lei, oltre al film tratto da Ghost World di Daniel Clowes. Ma anche Robert Armstrong, che disegnava Mickey Rat. Quella storia è finita?

Siamo ancora amici, ma non suoniamo più insieme. Cioè, è ovvio: quelli stanno in California. Terry, Tony Marcus… stanno tutti là. Magari suoniamo qualcosa fra di noi quando passo a trovarli, ma niente di più. I Cheap Suit Serenaders hanno chiuso.

Ho letto da qualche parte che il vostro primo concerto è stato ad Aspen nei primi anni Sessanta. Ai tempi, però, mi risulta che Aspen fosse già un posto da settimana bianca per ricchi, più che un posto dove senti buona musica dal vivo.
Era il 1962, ed è stato spaventoso. Il pubblico ci ha odiato, la situazione ci ha messo davvero pochi minuti a diventare drammatica. Era la chiusura della stagione sciistica, e noi suonavamo a questa festa di maestri di sci e polizia di montagna. Tutti quanti volevano del boogie, boogie di quello pesante, per ballare. Ci odiavano, e non facevano niente per nasconderlo. (ride) …Hai mai ascoltato qualcuno dei nostri dischi?

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Qualche canzone su YouTube, ma niente di più.
Allora, con noi suonava questo tipo di origine italiana, Tom Marian, molto bravo. Lui ci suonava spesso musica tradizionale, roba siciliana soprattutto. Con lui abbiamo suonato La Gima Polka, che credo sia una delle canzoni più belle che abbiamo mai registrato. Io personalmente adoro quel genere di musica tradizionale dell'Italia del Sud.

Io mica tanto, a dire il vero.
Bè, è normale, sei italiano! (ride) Ma ti dico, la musica popolare, tradizionale, è molto bella in Italia. E in Francia. Ma anche in tutta Europa… una volta ho conosciuto questo tipo svizzero, che aveva degli incredibili 78 giri di musica svizzera vecchia, roba fantastica.

No, certo. È solo una questione di provincialismo, probabilmente. Cosa le piace, della musica francese?
Cose vecchie. La musica francese moderna non mi interessa. Dev'essere vecchia.

Tipo Jacques Brel?
No, no. Parlo di molto, molto prima. Prima della Seconda Guerra mondiale. E non mi interessano molto i cantanti, ma più che altro musica fatta con la fisarmonica, musica popolare francese, da ballo, di quei tempi.

Com'è la Francia, in questo periodo?
Non male.

È vero che lei e sua moglie siete andati via dagli Stati Uniti, alla fine degli anni Ottanta, perché eravate disgustati dal modo di vivere americano?
Allora, a dire la verità a me l'America non è che sia mai piaciuta granché, ma sarei comunque rimasto lì. Era Aline a essere fortemente motivata: voleva venire a vivere qui in Francia e fare crescere nostra figlia lontano dagli Stati Uniti. Così abbiamo fatto qualche viaggio in Francia e alla fine abbiamo deciso. Per me è andata così: quando stavo in America conoscevo tutti i lati negativi del vivere lì; adesso vivo in Francia da vent'anni, e conosco i lati negativi anche del vivere in Francia. Però rimane un bel posto in cui stare.

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Le piacciono i fumetti francesi di oggi? Tipo, io ho una passione per Manu Larcenet…
Veramente non lo conosco, questo Larcenet. Ci sono un paio di disegnatori francesi che mi piacciono, ma non leggo molti fumetti.

Riguardo ai suoi fumetti, invece: lei ha dichiarato che avrebbe dovuto smettere di farli alla fine dei Settanta. Devo dire che sono contento che abbia scelto di non farlo. E vorrei chiederle: come pensa che si rapportino con i suoi fumetti i lettori più giovani, magari proprio quelli nati dopo gli anni Settanta?
Non ne ho idea.

Capisco.
No, voglio dire… Le reazioni che percepisco dai lettori più giovani sono più o meno le stesse che conosco. La gente a cui piacciono i miei fumetti è sempre e comunque una minoranza, un gruppo relativamente ristretto. Non ho mai avuto davvero un pubblico mainstream, neanche nei Settanta. Possono anche essere fiorite un sacco di leggende sul mio conto, ma la verità è che i miei fumetti non hanno mai venduto davvero tanto. D a Zap! Comix a Weirdo, erano sempre poche copie.

Non vorrei sembrare ridicolo, ma io ho amato Weirdo, quando avevo tipo sedici, diciassette anni. Penso di aver comprato in tutto una dozzina di numeri, quelli che sono riuscito a trovare… Bè, credo che in quel periodo lei facesse storie straordinariamente contemporanee.
Spero che lo siano davvero.

Sì, molte erano storie autobiografiche, che è un genere che adesso va tantissimo. Come giudica tutto questo fiorire di autobiografia? È un movimento che è nato proprio negli anni Settanta, con i suoi fumetti, con quelli scritti da Harvey Pekar, e…
È stato Justin Green il primo a proporre delle storie altamente personali, autobiografiche.

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Appunto.
Ma anche Aline, mia moglie, è stata la prima donna a raccontarsi con il fumetto ( Need More Love, MQ Publications). Ce ne sono poche altre, tipo Phoebe Gloeckner. Alla fine degli anni Novanta, se non ricordo male, ha pubblicato dei racconti stupendi.

Secondo lei perché l'ultima generazione di disegnatori americani è tanto ossessionata dal raccontare la realtà, la propria vita e quello che gira intorno a questi temi?
Qualsiasi scrittore ha nascosto pezzi della propria vita dentro i suoi racconti, questa non è una novità, succede in tutti i grandi romanzi del Novecento. A un certo punto, però, molti si sono sentiti liberi di farlo alla luce del sole, che non è una cosa semplice: bisogna stare attenti a non fare del male alle persone che ti stanno intorno. Torno a farti l'esempio di Aline, che ha parlato dei suoi genitori… Non credo che sua madre abbia mai visto quel libro. La vita spesso non è gentile. Usare la maschera della fiction è più semplice, ed è stato un metodo molto usato nel passato. Ma oggi non ce n'è più bisogno: la società è cambiata, e le storie si possono raccontare per quello che sono.

E naturalmente, in questo momento storico in cui l'autobiografia è di moda, lei ha deciso di illustrare la Bibbia. E ai critici è piaciuto.
Sì, quasi a tutti. Qualche commentatore religioso non è stato proprio contento.

I mmagine da Il libro della Genesi, edito da Mondadori

Dopo aver finito il Libro della Genesi ha in programma altre opere così spesse?
A dire la verità, sto pensando a un altro progetto piuttosto grosso. Ma non ne sono certo, non ho mai fatto cose tanto impegnative: ci ho messo quattro anni a completare la Genesi…

Che è, credo, il tempo medio di gestazione di un romanzo a fumetti, di questi tempi.
Ma questo credo dipenda più che altro dal fatto che gli editori vogliono vendere grossi libri. Nessuno vuole più pubblicare piccoli formati.

Vogliono il "graphic novel", è la parola magica.
Esatto. Ma non è che sia un male: hai letto Joe Sacco? È incredibile, io non so quanto lavoro ci possa essere dietro a uno dei suoi libri sulla Palestina… Cioè, non devi solo essere un bravo disegnatore, devi anche essere coraggioso. Rischi di farti sparare.

E poi, se sopravvivi, devi pure sederti al tavolo per quattro anni a disegnare quello che hai visto.
Ecco: disegnare, quello sì che è un duro lavoro. (ride) E non credo che Joe sia diventato ricco, dopo tutta quella fatica. Non penso che abbia venduto milioni di copie, di quel libro.

Certamente meno di un Justin Bieber.
Questo è sicuro. Ma credo che per un disegnatore, la ricompensa sia il lavoro stesso. Vedere una storia finita, stampata. Quella è la soddisfazione.

Tornando alla Genesi, in generale il pubblico ha reagito bene. Cioè, zero minacce di morte, giusto?
Niente del genere. Magari qualche critica, ma niente roba pesante.

Mi è piaciuto molto il fatto che lei si sia definito, rispetto alla religione, come "gnostico".
Sì, nel senso che non sono "Agnostico". C'è una differenza fondamentale: l'agnostico dubita dell'esistenza di Dio, io invece accetto la possibilità che ci sia un'entità più grande, un'intelligenza superiore da qualche parte nell'universo. Ma non so dove sia, e il fatto che comunque possa esistere mi fa diventare pazzo.