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A10N2: L'ottavo numero di VICE dedicato alla moda

Un archivio intimo

Io e il mio ragazzo ci siamo lasciati. La fase di rottura è andata, ma vivo ancora ogni giorno con un’irremovibile tristezza addosso, che aumenta al solo pensiero di dovermi disfare dei sette anni passati insieme. Questo è quello che ho fatto finora...

Illustrazioni di Jocelyn Spaar.

Io e il mio ragazzo ci siamo lasciati. La fase di rottura è andata, ma vivo ancora ogni giorno con un’irremovibile tristezza addosso, che aumenta gradualmente al solo pensiero di dovermi disfare dei sette anni che abbiamo passato insieme—comprare gli scatoloni, svuotare il suo armadio, dividere i nostri libri. Non ho ancora fatto nulla di tutto ciò.

Questo è quello che ho fatto finora: ho aperto il cassetto della lingerie e ho fatto una cernita.

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È stato un processo lungo e doloroso, anche se alcune decisioni sono state più facili di altre. Ad esempio, c’erano due completini che ho buttato subito via, direttamente nello scivolo condominiale della spazzatura così da essere sicura di non rivederli più. Non potevo avere ripensamenti. Me li aveva regalati lui: un reggiseno a balconcino e un tanga di raso grigio di Elle Macpherson decorati con nastri gialli, e un altro completo grigio a rete con un reggiseno imbottito e piccoli fiori fucsia. Erano entrambi carini e in buone condizioni, ma associati spesso a quelle tristi serate in cui lui arrivava tardi e tutti e due sapevamo che le cose erano cambiate.

Ci sono state anche decisioni semplici. Alcune cose (un reggiseno nero col ferretto da una recente svendita da Agent Provocateur, un pezzo a pois di Fifi Chachnil in stile anni Cinquanta comprato su eBay) potevano restare dov’erano. Probabilmente lui ha visto queste cose e gli sono anche piaciute, ma le avevo comprate in sua assenza e non avevano nessun particolare significato. Alcune cose (dell’intimo di Princesse Tam-Tam che avevo comprato durante i saldi online della mia boutique preferita) erano talmente nuove che non si era mai imbattuto in esse.

Gli ultimi tre completini rimasti sono andati nell’Archivio, uno dei cassetti più importanti della mia toletta. Nell’Archivio c’è una scatola marrone di cartone contenente svariati tipi di boxer e biancheria insieme ai reggiseni e alle mutande, tutti delicatamente incartati in carta velina. L’Archivio comprende in totale 12 completini, il più vecchio (un demi-bra rosa pieno di buchi di Liberty Print) risale al mio primo fidanzato. A questo si sono aggiunti un reggiseno a pois leggermente imbottito e un bikini arricciato ai lati che sono sempre stati i suoi preferiti, un top blu in seta di Mimi Holiday e un bikini francese dello stesso colore che indossavo l’ultima volta che ci siamo visti, e un completo verde in pizzo di Princesse Tam-Tam che ho comprato durante una felice vacanza a Parigi anni fa. Mi ricordo quanto mi divertivo a indossare quel vestito traslucido color ambra e sfilare per lui nella nostra camera d’albergo; gli piaceva vedermi felice, facendo finta di essere interessato alla marca che a quel tempo era quasi impossibile trovare negli Stati Uniti.

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Il mio pensiero, nel commemorare questi momenti intimi, non ricadeva semplicemente sul fatto che non volevo che altri uomini potessero vedere queste cose. Nonostante sia una delle possibili ragioni, mi sembra quella più remota e grottesca. Mi sembrava piuttosto un modo per portare rispetto, un modo per seppellire qualcosa—come quando si smette di far usare il numero di un giocatore molto amato quando questo si ritira. Silenziosamente ho imbalsamato ciò che era rimasto di una relazione ormai a pezzi. Ho deliberatamente messo da parte quegli indumenti imbevuti d’intimità.

Ovviamente l’Archivio non è solo per le reliquie degli amori passati. Persino prima della nostra rottura, ho conservato certe cose (il completino blu floreale con il reggiseno senza coppa che indossavo al nostro primo appuntamento; il reggiseno nero a balconcino di Princesse Tam-Tam della prima volta che mi vide senza vestiti). La selezione è abbastanza idiosincratica. Ci sono dei completini talmente vecchi che sono immettibili—elastici molli, tessuti rotti—ma che non potrei mai buttare, perché li associo alla fortuna che mi hanno portato durante i colloqui di lavoro o alla sicurezza che avevo in me stessa a una festa particolarmente orribile. C’è un completo di pizzo di un colore blu foglia di té, che pur sembrando innocuo—abbastanza coprente, reggiseno col ferretto, e mutande quasi da maschio—è in realtà un indumento potente, che ho dovuto riporre nel cassetto per contenere la sua forza; gli uomini sembrano impazzire quando lo vedono, come se fosse il busto di Afrodite, e non ero sicura di essere abbastanza donna da controllare questa forza.

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Uno dei motivi per il quale ho fatto questo Archivio è perché queste cose sono costose. Non puoi dar via i tuoi vecchi completini—be’, probabilmente puoi, ma non penso sceglierei mai questa opzione. E mi sembra sbagliato (nonostante l’episodio dello scivolo della spazzatura) buttar via la lingerie più cara che ho. Non essendo in grado di creare qualche forma d’arte dai miei indumenti, non riesco a immaginare cosa farmene a questo punto, se non buttarli in un cassetto. Il mio modo di fare ha un valore sentimentale, lo so, un processo simile al conservare nell’ambra momenti che sono irrevocabilmente estinti, ma lo faccio perché la lingerie ha sempre avuto un certo potere, e non parlo di un potere semplicemente sessuale.

Poco dopo la rottura sono andata a un festival di letteratura a Philadelphia e sono finita in un negozio di lingerie di lusso vicino al mio hotel. Il negozio sembrava un boudoir per signore con candelieri e un profumo persistente nell’aria; come i negozi di intimo contemporanei con la loro pretesa di essere “maliziosamente eleganti”, anche questo aveva una sezione di discreti vibratori e manette.

L’ho trovato alquanto fastidioso—volevo dell’intimo carino, non imbattermi in uno di quegli addii al celibato da incubo, e tra l’altro, se avessi voluto dei sex toy sarei andata in un sexy shop. Avevo bisogno di comprare dei completini per colmare il vuoto della rottura e la suddivisione della biancheria nell’Archivio; mi sentivo una persona terribile e bisognosa di supporto morale.

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Il posto non aveva le mie marche preferite, e l’arredamento non mi piaceva molto, ma ho trovato l’esperienza rilassante. Comprare lingerie è stato il mio palliativo sentimentale per anni. Ho cercato lo scaffale con la biancheria colorata e trovato un paio di top semplici in pizzo con i bottoni coordinati. La commessa mi ha preparato il camerino dietro una tenda di velluto viola, suggerendomi un po’ di completi che non erano proprio il mio stile, ma che ho provato ugualmente.

Poi è entrata una coppia. Questo particolare negozio incoraggiava le coppie a fare shopping—lo pubblicizzavano anche, l’ho capito dopo—e c’era una sedia messa apposta fuori dai due camerini. Dopo aver selezionato un po’ di roba per la sua lady, il tipo in questione si è accomodato sulla sedia mentre la commessa gli offriva continuamente dello champagne di bassa qualità e—non sto scherzando—fragole glassate col cioccolato. Il mio cuore (coperto da un orribile reggiseno velato con una fantasia a ciliegine che ho dovuto provare per cortesia) è sprofondato.

Se questa folie à deux porta con sé un brivido di passione alle coppie, allora questo shopping va incoraggiato. Ma lasciatemi dire che dal punto di vista della ragazza nuda del camerino accanto, la cosa non comporta certo una grande vendita. Ovviamente ero felice che quella bambola fosse molto sexy in quella ridicola guêpière, a disagio nel sentire che il perizoma le accentuava le maniglie dell’amore, e speravo veramente che il suo ragazzo non stesse guardando cosa stavo prendendo dalla pila da provare. Un uomo che si intrufola in un negozio di Victoria’s Secret può sembrare affettuoso. Mister Universo che ordina alla sua donna (gli piace riferirsi così a lei, “la sua donna”) che tipo di lingerie prendere mentre mastica una fragola glassata sembra tutt’altro che affettuoso.

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Il primo reggiseno moderno dopotutto fu inventato da una donna, una poetessa bohémienne ed editrice che scriveva con il nome di Caresse Crosby—nel 1914 le fu dato il brevetto per il “Reggiseno senza parte posteriore”.

Mentre i ragionamenti storici sulla lingerie riguardano principalmente l’attrazione dell’uomo verso l’intimo indossato dalle donne, nessuno può negare che alla fine lo scopo del reggiseno era funzionale—ed era anche un lieto addio all’era del corsetto. E non fa parte anche questo del suo appeal? Qualcosa creato con uno scopo pragmatico che noi scegliamo, sbattendocene della questione finanziaria, di rendere bellissimo e lussurioso? Certo, si può essere anche stravaganti: guêpière, corsetti, i reggiseni da pin-up a punta di qualsiasi forma e tipo. Però non è quello di cui sto parlando ora. Io parlo di quello che la maggior parte di noi indossa ogni giorno.

Le cose che mi piacciono tendono sempre ad avere una fantasia comune: sfumature di verde e blu, ferretti, mezza coppa, con uno slip che non sia né troppo rivelatore né troppo coprente. Mentre il tanga può essere un male necessario sotto certi pantaloni, io lo trovo sempre vagamente irritante. Stazionano nell’angolo della vergogna del mio cassetto dell’intimo, dove tutto viene riposto in ordine discendente di preferenza—in netto contrasto con il resto dei miei cassetti, o anzi, con la mia vita.

Potrei azzardare un’ipotesi sull’origine di questo mio amore per la lingerie. Forse risale a un pezzo di un romanzo adolescenziale, o a una scena di un film. O forse ancora, può risalire a una mia relazione passata. Mia madre di solito compra la sua lingerie negli outlet, e mentre vivevo a casa facevo lo stesso. La nostra casa non era una di quelle in cui ti sentivi continuamente gratificata e le mie fantasie erano segrete e disonorevoli.

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Mi ricordo che una volta mi sono intrufolata in un negozio di intimo trasandato per le famiglie borghesi del quartiere in cui abitavo, dove ho comprato un reggiseno DKNY color pesca e dei boxer da ragazzo dello stesso colore. Diciamo che non era Agent Provocateur; la scelta era tra l’altro limitata perché era un negozio specializzato in donne che avevano subito una mastectomia. Il primo completo non mi andava bene. Ripensandoci, la fascia dietro era larga almeno dieci centimetri più del dovuto e le coppe una taglia in meno della mia. (Avrei scoperto tutto questo solo qualche anno dopo, grazie a un commesso ebreo ortodosso particolarmente professionale del Lower East Side.) Ma non mi importava. Li ho fatti uscire di contrabbando e portati in casa, indossandoli una volta a un concerto, sentendomi figa e vagamente in colpa.

Non che qualcuno abbia mai visto quel completino. Non avevo un ragazzo all’epoca, neanche ci pensavo, e la possibilità che qualcuno potesse vedermi in lingerie era tanto bizzarra quanto remota. Ma era l’inizio di un cambiamento credo, cominciavo a capire che qualcosa di così necessario poteva trasformarsi in una forma di piacere e in una specie di performance. Era una cosa esaltante. Meno esaltante è stato quando mia madre è venuta a sapere dalla commessa che ero stata al negozio, che avevo comprato un reggiseno, e che era “tenero” il fatto che mi ero finalmente riempita e che stavo “diventando una piccola donna.”

I miei gusti sono generalmente semplici. Mi va bene la carta igienica ruvida, il vino scrauso, e i vestiti di seconda mano, ma da quando ho iniziato a guadagnare quattro soldi lavorando come baby-sitter, ho cominciato a spendere cifre spropositate per l’intimo. Non parlo di marche con prezzi esorbitanti come Eres e Carine Gilson—anche se piantono spesso il reparto lingerie di Barney’s toccando reggiseni da migliaia di dollari come una povera pervertita—ma in ogni caso le cose che compro costano decisamente più di quello che mi potrei permettere. Mi prendo estrema cura della mia biancheria (lavaggio a mano con un detersivo speciale, isolando alla perfezione tutti i reggiseni così che non si impiglino nei ganci degli altri) dicendo a me stessa che è un “investimento”, che per definizione non ha senso, soprattutto quando li ripongo al meglio della loro forma all’interno di uno scatolone con l’obiettivo di non indossarli mai più.

Tutti abbiamo i nostri totem e i nostri modi di esorcizzare i fantasmi incombenti dei nostri amori passati. Ovviamente, io non chiedo un esorcismo, ma ho voluto semplicemente un Archivio, un promemoria che mi ricorda che ci sono stati momenti tra il caos, quando quegli indumenti che ho amato e apprezzato per anni vivevano attimi speciali.

Sadie Stein è contributing editor di TheParis Review. Seguila su Twitter: @SadieStein