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Un inutile ma obbligatorio dibattito sulla fine dell'Erasmus

L'Erasmus: chiave dell'identità europea o scopa-vacanza semi-pagata? Due membri della nostra redazione, uno pro e uno contro, discutono su questo #temacaldo.

"Erasmus a rischio," "Progetto annullato," "Anzi no": nelle ultime settimane le voci sulle sorti del programma si sono accavallate in maniera contraddittoria, non mancando di scatenare il panico tra giornalisti, ex-studenti e potenziali partecipanti. E se le ultime notizie da Bruxelles confermerebbero il programma per il 2012 (mentre non ci sono certezze per il 2013), l'utilità di questo strumento rimane oggetto di dibattitoopportunità formativa o perdita di tempo e di tessuti cerebrali, chiave dell'identità europea o scopa-vacanza semi-pagata?

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Per avere un'idea di quali siano le parti in gioco abbiamo chiesto a due componenti della redazione, uno pro, ex Erasmus, e uno contro, anti-Erasmus e fiero di esserlo, di darci la loro opinione. Probabilmente non ne uscirete cambiati, ma almeno non si cita L'appartamento spagnolo.

KEEP THE ORGASMUS GOING

di Roberto Parente

Mi scoccia ammetterlo, ma quando penso alle ragioni per le quali ritengo che il mio Erasmus sia stato un "successo" vengono fuori i cliché più banali e scontati. Tant'è che non posso fare a meno di trovarmi d'accordo con quest'articolo di Famiglia Cristiana, quando dice che studiare all'estero è importante "soprattutto per l’esperienza umana che si vive: il contatto con altre culture, altri stili di vita, altri modi di pensare."

In effetti, se la memoria non mi inganna, ho seguito un totale di tre lezioni all'università (ero studente di Economia a Copenaghen). Il resto del tempo l'ho passato a fare quello che molte altre persone farebbero e probabilmente hanno fatto, anche secondo Famiglia Cristiana: uscire la sera, bere quantità mostruose di birra, cercare di scopare conoscere più bionde gente interessante possibile. In sostanza, non fare un cazzo. La magia dell'Erasmus però è proprio questa: raramente il "non fare un cazzo" può trasformarsi in qualcosa di così bello e soprattutto produttivo.

In che senso produttivo? Se vivere in una città europea, dove poter continuare la propria vita universitaria, o magari cominciarne un'altra, senza tutti i diti al culo che l'essere uno studente in Italia comporta, non è qualcosa che può risultare produttivo per voi, non so cos'altro possa esserlo.

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Perché dunque si è arrivati a considerare il fatto che divertirsi, conoscere gente, imparare una lingua ed eventualmente superare uno sfracelo di esami, sia qualcosa che fa di te uno stronzo? Come mai, adesso, la figura dello studente erasmus è quella di uno scemo patentato?

Il punto, secondo me, non è il fatto di stare all'estero a bruciare i soldi di mamma e papà. Quelli, se ce li hai, buon per te. Altrimenti te li procuri, come in qualsiasi altra situazione (io ho lavorato per due mesi in un Avis di Copenaghen, grazie a Dio NON quello dell'aeroporto).

Il vero problema è che col tempo si è sviluppata una sorta di "ansia da prestazione Orgasmus" responsabile del fenomeno per cui molti, ben prima di partire, si mettono a pensare alle cose che potranno (anzi, dovranno) raccontare al ritorno, dando vita a un circolo vizioso del divertimento forzato che ha finito per danneggiare irrimediabilmente l'immagine del programma stesso e trasformarlo in una grandissima cazzata agli occhi di chi non l'ha fatto.

Non stiamo parlando di qualcosa che deve necessariamente cambiare le persone: se parti scemo tornerai scemo—o forse ancora più scemo, dato che nel frattempo ti sarai illuso di aver combinato qualcosa. L'Erasmus non è l'esperienza in sé, ma molto più semplicemente un'infrastruttura, un'opportunità. E come ogni opportunità, la si può utilizzare e sfruttare al massimo, oppure sprecare e buttare al cesso.

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In altre parole, se i vostri amici, una volta tornati in Italia, vi romperanno i coglioni con le solite storielle, probabilmente dipende dal fatto che avete gli amici stronzi. Non date la colpa a Erasmus, lui voleva solo che tutti scopassero bene.

Pensate che l'Erasmus sia sul serio una trovata per bambocci perditempo? Leggete la pagina successiva, magari sarete d'accordo.

ERASMUS IMMUNDUS

di Matteo Gagliardi

Nel nostro Paese, se vuoi stare sul cazzo a più persone contemporaneamente in sette secondi hai due scelte: dire che Steve Jobs non era un visionario, oppure che l’Erasmus è da trogloditi.

Proverò in poche battute a inimicarmi duemila studenti pronti a partire cazzo in mano e palle in spalla, per perdere sta benedetta verginità in anfratti stranieri.

Il governo ha intenzione di tagliare i fondi per lo “gnocca travel legalizzato” e i nostri audaci Casanova in cerca di rivincita, già eccitati dal raccontare le loro storielle piccanti agli amici entusiasti, proprietari anche loro di miserabili vite, saranno costretti con la forza a diventare degli individui migliori. Vaglielo a spiegare che è per il loro bene.

Il primo dato avvilente leggendo il numero di ragazzi italiani che si sono iscritti all’Erasmus è che più di duemila universitari tra i 20 e i 28 anni non hanno mai avuto un rapporto sessuale o se l’hanno avuto ne sono usciti devastati.

Adesso che finalmente qualcuno lassù ha capito che l’Erasmus è una fottuta perdita di tempo, i giovanotti senza qualità cacciano fuori il loro personalissimo prontuario di puttanate e ci informano di “quanto è utile”, di “quanto ti forma”, di “come un amico di un amico loro che c’è stato si è fatto il culo”, di “ma che ne sai te”.

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I due moventi classici di quel delitto cerebrale che è l’Erasmus sono lo studio duro e l’incontro delle culture.

Scoprire che il 3 percento degli studenti che è partito ha superato due esami, con un voto che in Italia non avrebbe mai accettato, mi dà una soddisfacente dose di disperazione. Non vedo alcun atto eroico nell’aver fatto il proprio dovere di studente come l’ho fatto io che non mi sono mai allontanato da Roma. Sempre che non gli si riconoscano i requisiti dei “bambini speciali”.

Venire a sapere inoltre che molti sono partiti per sostenere all’estero quegli esami che in Italia sono reputati “tosti”, per portare a casa il risultato con un test a crocette, mi fa sentire complice di questo crimine per il solo fatto di averlo ascoltato.

Fare i frontali con le altre culture è il secondo motivo. Parlare solo italiano (lingua inutile allo scopo) o, quando va meglio, un inglese standard, asettico, finto, banale, utile al massimo a sapere “dove la trovo l’erba” e “quanto viene un mojito,” non rende giustizia a nessuno. Andare in Erasmus e dire di aver fatto il C.I.D. tra le culture è come dire di essere stato a Parigi e tornare cambiati, avendo trascorso in realtà tutto il tempo nella lounge room fumatori dell’aeroporto De Gaulle.

L’amore dei genitori per i loro figli scellerati, quell’ingiusto pagargli le scopate, dopo essere stati ingannati dallo stesso figlio che gli ha assicurato la massima serietà, è qualcosa che mi strugge.  A immaginare una madre a tal punto accecata d’amore che non vede chiaramente che suo figlio, che una volta poteva chiamarsi essere umano, adesso è uno scroto gigante pronto a esplodere, provo un disagio immenso che diventa dolore irredimibile quando lo scroto svuotato torna da Barcellona ancora con quei cinque esami da sostenere e mentendo nuovamente ai suoi cari che si sono rovinati per le sue sborrate, si tramuta nel terzo stadio evolutivo dell’homo Erasmus: la faccia da culo.

I resoconti di chi è tornato dall’Erasmus sono privi d’interesse tanto quanto quelli dei fuori sede che mi fermano a Roma per raccontarmi la storia della soppressata.

Interessa solo a voi che lo fate. La difficoltà di cenare ogni sera con la pasta al tonno non è un argomento valido intellettualmente. Aver lavorato due settimane in un bar a Düsseldorf non vi riscatterà da vent’anni di vita mediocre.

Aver lasciato la donna o l’uomo con cui stavate in Italia, perché volevate essere liberi di vivervi l’“Erasmus per davvero”, vi renderà soltanto più vulnerabili alla “paura di morire da soli”.

Chi parte a vent’anni per l’Erasmus sarà lo stesso tronfio omuncolo che andrà via per sempre dall’Italia “perché gli sta stretta”, illudendosi che l’Italia non lo meriti più, senza capire che la selezione naturale ha deciso in verità l’inverso: che è lui a non servire più al suo Paese.