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Sulle unioni civili non c'è davvero niente da festeggiare

Questa specie di palla di fango che porta il nome della Cirinnà è arrivata infine al Senato. Ma non c'è niente da festeggiare se alla richiesta di un riconoscimento di parità ci rispondono con un riconoscimento di disparità.

Questa specie di palla di fango che porta il nome della Cirinnà è arrivata infine al Senato. Ma ci è arrivata monca, sfinita e piuttosto diversa da come era stata presentata allo stadio iniziale.

Così come era in quello stadio iniziale, il ddl Cirinnà rappresentava a tutti gli effetti un buon modo per mettere "in regola" unioni che esistono già, famiglie composte da due genitori dello stesso sesso che già hanno figli e a cui manca solamente il riconoscimento legale per dirsi tali. Al contrario di quanto si è detto nel corso degli ultimi mesi, queste famiglie che esistono, queste coppie che esistono, non hanno in alcun modo distrutto la famiglia tradizionale: perché se vogliamo trarre conclusioni altrettanto riduttive basterebbe sentenziare che la famiglia tradizionale non esisteva già più dai tempi in cui sono stati approvati divorzio e aborto.

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Oggi invece, il decorso della proposta Cirinnà da buona a ridicola non mi stupisce. Partiamo da una considerazione semplice: il riconoscimento delle unioni civili andava fatto, e Renzi e questo PD hanno il solo merito di essere il governo (sbagliato) al momento giusto. Se al posto dell'ex sindaco di Firenze ci fosse stato l'ex cantante da crociera Silvio Berlusconi, il riconoscimento ci sarebbe stato ugualmente. Non è una legge di destra o di sinistra quella che sta passando: è un modo per evitare di essere considerati, come sarebbe anche giusto, un paese di serie B tra quelli cosiddetti democratici.

D'altronde la discussione che ha intasato i media in questi ultimi giorni è anche l'espressione di quanto violentemente sbrindellata sia la politica italiana: lasciando perdere il voltafaccia del MoVimento 5 Stelle, che essendo il partito della gente per la gente ha il polso politico di un branco di gente, è venuta a mancare una determinazione da parte del PD, che ha permesso a parlamentari assenteisti e senza cultura di mettere blocchi insensati e insultanti ai singoli emendamenti, tanto che, per usare le parole di Luca Bottura, sembra che "Pd e grillini lavorino per far saltare la stepchild a fini elettorali, e far ricadere la colpa sull'altro."

Ma, appunto, non c'è granché di cui stupirsi: da quando senza chiedere a nessuno—e ci tengo a dirlo, senza i miei due euro—Renzi è al governo non c'è stata mezza uscita che non fosse un goffo tentativo di raccogliere consensi dando un po' a civatiani delusi, un po' agli ineffabili grillini e un po' ad Alfano e a tutta la destra cattofascista che ancora impesta il nostro panorama politico.

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Il momento storico in cui la famiglia tradizionale è stata realmente distrutta, all'opposto, era un momento in cui gli ideali di sinistra erano ancora carichi di fiducia—non dico che le piazze e i partiti si muovessero in sintonia, ma quantomeno chi governava sentiva l'impellenza di rispondere in qualche modo ai movimenti, di considerarli come agenti della discussione politica. Ora questo parallelismo è di nuovo vero ma nel senso opposto: nel senso di sfaldamento, di assenza di coesione, di mancanza di una voce forte. La disfunzione del governo e quella della piazza sono talmente evidenti che ci ritroviamo così lontani da sentirci impotenti anche nella nostra insoddisfazione. Detto ciò, così come è arrivato al Senato ora il ddl passerà—perché non può fare a meno di passare, e non perché qualcuno ha voluto fortemente che passasse. Sarà una legge monca, che non riconosce alcun diritto che faccia veramente la differenza, ma consegna briciole di riconoscimenti di serie B a chi è considerato, e ora sarà legalmente considerato, un cittadino di serie B.

La step-child adoption è stata storpiata in mille modi, dal fraintendimento con tutta la questione "utero in affitto" (che per la cronaca è un procedimento utilizzato da molte coppie eterosessuali), alle incomprensioni nominali fino a diventare il nulla che è ora. E poi la caduta dell'obbligo di fedeltà, che i fedelissimi della famiglia tradizionale ritengono un discrimine importante per i matrimoni veri e i matrimoni "da babilionia", con grande soddisfazione del vice-premier Alfano che ne ha subito approfittato per commentare "Abbiamo impedito una rivoluzione contro natura e antropologica."

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Quindi no, nonostante da parte dello stesso PD ci si sforzi di farla passare come un trionfo, non c'è niente da festeggiare.

L'accordo sulle unioni civili è un fatto storico per l'Italia. È davvero — Matteo Renzi (@matteorenzi)24 febbraio 2016

Onestamente se andassi in pizzeria e mi portassero un piatto di croste non vorrei pagare il conto, se mi regalassero una scatola di cioccolatini mezzi mangiati non mi verrebbe da ringraziare, e se mi organizzassero una festa di compleanno in cui mi vietassero al contempo di mangiare la torta o di scegliere gli invitati non potrei considerarla la mia festa. Non c'è niente da festeggiare, oggi, e non ci sarà niente da festeggiare finché queste leggi saranno i giochini malati dei politici per i politici. Non c'è niente da festeggiare se alla richiesta di un riconoscimento di parità ci rispondono con un riconoscimento di disparità. Al contrario: è esattamente questo il momento di urlare a gran voce la nostra insoddisfazione, è il momento di svegliare noi stessi, di infilarci la sveglia in culo e iniziare a pensare che non possiamo appaltare la nostra speranza in una serietà politica a quei pochi senatori del PD che "ancora ci credono."

Da un po' di giorni mi chiedo come sia possibile che le uniche forme di protesta che gli arcigay e le associazioni hanno architettato siano stati quei ridicoli flash mob in cui suonavano all'unisono le sveglie dei telefonini e da un piccolo palco, sulle note di qualche vecchia canzone degli ABBA, una voce di qualcuno che nemmeno si capisce se fosse Vladimir Luxuria o Paola Concia pronunciava frasi già sentite, di una protesta debole, sfinita, che nemmeno più sa aggregarsi. Al contrario di quanto succedeva negli anni delle grandi proteste, non abbiamo un movimento coeso, non abbiamo nessun portavoce credibile dei nostri diritti, nessuno che ci metta la faccia e sappia fare un discorso che fila, che trovi le parole chiave per unire le forze di milioni di individui tutti diversi che si trovano ad affrontare, insieme, una battaglia gigantesca.

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Dalla manifestazione Svegliatitalia a Milano. Foto di Vincenzo Ligresti.

Nello stesso momento in cui scrivo mi chiedo che senso abbia continuare questa protesta online, con metodi da social network, e non con qualche azione che possa generare un vero blocco politico. Stamattina ipotizzavo un enorme sciopero, uno sciopero che coinvolgesse chiunque si senta insultato da questa situazione, per dimostrare che i cittadini considerati di serie B a livello di diritti, se si comportano come cittadini di serie B anche in relazione ai propri doveri, possono causare seri problemi di gestione.

Ma se quest'idea non funzionasse, che altri modi avremmo per contrastare questo governo? Bloccare questo PD alle comunali? Osteggiarlo sui referendum? Più ci penso, più una soluzione "istituzionale" al problema mi riesce difficile da concepire. Più ci penso e più credo che un blocco completo da parte dei cittadini che si sentono insultati da questa situazione sia l'unico modo di avere un minimo di voce in capitolo.

Negli ultimi giorni, non solo il nostro Parlamento, il Senato, il governo e quasi tutti i nostri politici si sono dimostrati inetti, ignoranti o disumani, ma le ripercussioni sociali di questa discussione hanno sollevato un tappeto di considerazioni e commenti omofobi che è molto più spesso di quanto ci immaginavamo. Non so bene che forma di protesta dobbiamo scegliere, ma non può più essere una protesta all'acqua di rose, con i campanellini in piazza. E deve riguardare tutti, perché dal caso Cirinnà non sono stati offesi e mutilati solamente i "cittadini di serie B": chiunque desideri vivere in un Paese realmente democratico deve sentirsi offeso da questa maniera deviata e infima di fare politica.

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