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Nello schifo sulle unioni civili in Senato sono tutti responsabili

Seguire il percorso parlamentare del disegno di legge sulle unioni civili, oltre che estenuante, sta diventando sempre più umiliante—e nelle ultime 48 ore se n'è avuta l'ennesima conferma.
Leonardo Bianchi
Rome, IT

Seguire il percorso parlamentare del disegno di legge sulle unioni civili, oltre che estenuante, sta diventando sempre più umiliante—e nelle ultime 48 ore se n'è avuta l'ennesima conferma.

In teoria il "giorno X," come l'ha chiamato la senatrice Monica Cirinnà, doveva essere il 16 febbraio—dal momento che, come la stessa aveva scritto su Facebook, "la vita di tante persone, gli amori di tante persone, i bambini, le famiglie" erano aggrappati "a un voto, un solo voto."

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Il voto in questione non era sulla norma in sé, ma sul famigerato " supercanguro", il maxi-emendamento presentato dal senatore Andrea Marcucci del PD per "blindare" il testo del ddl e superare le centinaia di emendamenti che le opposizioni (e anche alcuni esponenti della maggioranza) avevano fatto piovere sulla legge. Per la cronaca, si trattava anche di prese per il culo di questo tenore.

Le proposte dei senatori Mauro e Malan: "Un'unione renziana."

Facendo un attimo un passo indietro, c'è da ricordare che il Partito Democratico non ha i numeri necessari per approvare da legge da solo—anche per il fatto di essere lacerato al suo interno sulla stepchild adoption, questione su cui Matteo Renzi ha lasciato libertà di coscienza. Proprio per questo motivo si era puntato sulla collaborazione con il MoVimento 5 Stelle, che ha sempre espresso il proprio parere favorevole al ddl Cirinnà. Ma già nell'ultima settimana, la posizione del M5S era stata piuttosto ondivaga: il 6 febbraio, riconoscendo che sulla stepchild adoption c'erano sensibilità diverse, dal blog di Beppe Grillo si lasciava "libertà di coscienza ai portavoce M5S al Senato sulle votazioni agli emendamenti della legge Cirinnà e alla legge nel suo complesso."

L'intento di questa mossa era duplice: da un lato, quello di non sbilanciarsi troppo "a sinistra"; e dall'altro, quello di far emergere tutte le tensioni che attraversano il governo e la maggioranza. Insomma, si prefigurava il peggio per le sorti del disegno di legge—e il peggio è arrivato l'altro ieri con l'intervento del senatore Alberto Airola, preceduto da una fitta discussione tra i senatori del M5S e da una presunta telefonata di Luigi Di Maio.

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In un discorso oltremodo concitato, il Cittadino Portavoce ha fatto sapere che il "supercanguro" non sarebbe stato votato dal suo gruppo parlamentare, perché ritenuta una pratica scorretta e antidemocratica. Senza i voti del 5 Stelle, pertanto, il maxi-emendamento è carta straccia e la strada del ddl Cirinnà è aperta a qualsiasi stravolgimento.

Dietro alla questione di principio sul metodo—su cui, pur astrattamente, il M5S non ha tutti i torti—emerge distintamente la volontà politica di essere i veri protagonisti della discussione, e soprattutto di fare un grosso sgarbo a Renzi e alla maggioranza. Peccato che nel farlo sia stata impiegata una strategia da Prima Repubblica, piuttosto che da Paladini Anti-Sistema 2.0; per rendersene conto, basta dare un'occhiata a questa affermazione di Di Maio.

— Luigi Di Maio (@luigidimaio)February 16, 2016

Comprensibilmente, la scelta del M5S ha fatto incazzare un sacco di gente, dalle associazioni LGBT alla senatrice Monica Cirinnà, che ha parlato di "tradimento grave" e ha minacciato di lasciare la politica se "la legge sulle unioni civili diventerà una schifezza."

Qualcun altro, invece, ha apprezzato la mossa del M5S. Su tutti, due nomi: il senatore della Lega Nord Roberto Calderoli, che in Aula ha ringraziato i grillini per "l'onestà intellettuale"; e Massimo Gandolfini, presidente del comitato organizzatore del Family Day, che ha elogiato il partito per aver evitato "un vero e proprio golpe."

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Dopotutto però non c'è molto di cui sorprendersi: il M5S, con quella decisione, ha fatto precipitare la discussione parlamentare in un precipizio da cui non sarà facile risalire. Ieri mattina, infatti, c'è stato il rinvio al 24 febbraio—e lo slittamento è il male minore, se si guarda alle ipotesi che stanno circolando in queste ore. In base alle dichiarazioni ufficiali, il provvedimento dovrebbe tornare in aula così com'è, senza lo stralcio della stepchild adoption; ma dietro le quinte, come scrive l'Espresso, nel Partito Democratico c'è la convinzione che "i rapporti di forza sono cambiati," e che per salvare la legge "dobbiamo per forza fare una mediazione al ribasso."

Questo scenario, sempre secondo il settimanale, significa "la caccia ai voti centristi" e "anche a quelli forzisti," nella convinzione che "l'NCD a questo punto è 'più affidabile' dei Cinque Stelle." In pratica, si tratta di uno scenario da incubo: la legge Cirinnà—che è già il frutto di infiniti compromessi, ed è davvero il minimo sindacale a cui si può aspirare—verrebbe ulteriormente depotenziata.

E qui arrivo ad un altro punto importante, che non può passare in secondo piano: il Partito Democratico ha enormi responsabilità, essendosi dimostrato fin troppe volte incapace e pavido quando non direttamente schizofrenico. Mi riferisco, a quest'ultimo proposito, agli emendamenti infilati di straforo nel ddl Cirinnà che prevedevano 12 anni di carcere per la maternità surrogata (materia mai contemplata nel testo originario), o al fatto che i principali nemici delle unioni civili governino insieme a Renzi.

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È troppo comodo, quindi, addossare tutta la colpa al Movimento 5 Stelle. Con un minimo di decisione in più non dico che a quest'ora avremmo festeggiato l'approvazione, ma almeno si sarebbe iniziato a pregustare l'allineamento temporale all'Europa in materia di diritti. Invece, nulla di tutto ciò. Ci ritroviamo ancora una volta con una legge che rischia di essere seppellita tra le urla dei senatori in Aula e l'esultanza di Mario Adinolfi.

Non hanno i numeri, Zanda chiede il rinvio del ddl 'di qualche giorno'. Proveranno a comprarseli, intanto però abbiamo vinto noi

— Mario Adinolfi (@marioadinolfi)February 17, 2016

Dopo mesi di ritardi, promesse non mantenute e polemiche degradanti, mi sento di far mie le parole dell'eurodeputato Viotti e di estenderle all'intero arco parlamentare: hanno abbondantemente rotto il cazzo, tutti quanti.

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