FYI.

This story is over 5 years old.

News

E così ora nessuno in Italia è più Charlie

Oggi, dopo la "vignetta choc" che sta girando in queste ore, quella di Félix sul terremoto nel centro Italia, gli italiani hanno deciso che non saranno più Charlie. Ma la realtà è che non lo siamo mai stati.
Leonardo Bianchi
Rome, IT

Vi ricordate quando a gennaio 2015 eravamo tutti Charlie Hebdo? Tempi memorabili, vero? È stato davvero bello battersi, una volta tanto, per la libertà d'espressione—quel nostro valore così sacro, da difendere a tutti i costi contro di Loro, illiberali e mortiferi. Ed era davvero eccitante scoprire il potere della satira; specialmente dopo averla censurata, limitata e repressa in ogni modo possibile immaginabile.

Pubblicità

Questa rivoluzionaria scoperta, sempre se ricordate bene, ci aveva portati in massa nelle edicole a comprare il numero uscito dopo gli attentati. L'importante era compiere quel gesto, non capire quali potessero essere le sue implicazioni profonde. E così l'abbiamo sfogliato, poi abbiamo riposto quel numero da qualche parte.

Voglio pubblicare in Italia Charlie Hebdo

— Daniela Santanchè (@DSantanche)9 gennaio 2015

Nel frattempo le nostre vite sono andate avanti, e Charlie è diventato un simbolo impolverato, un'eco distante. Almeno fino a oggi, quando ci siamo accorti che non si può più essere Charlie. "Definirsi tale," ho letto in giro, "è davvero impossibile." Perché Charlie, questa volta, ci ha offeso tutti quanti.

Mi riferisco alla "vignetta choc" che sta girando in queste ore—quella di Félix sul terremoto nel centro Italia, pubblicata nell'ultimo numero di Charlie Hebdo.

Forze politiche che di solito seppelliscono le voci critiche sotto una montagna di querele si sono improvvisate esperte di satira; la politica italiana—da destra a sinistra—ha esecrato il "pessimo gusto" di Charlie Hebdo; e la rete si è incazzata, riversando una quantità di commenti sui social che è sintetizzabile in una successione logica di questo tipo:

a) Come si permettono di oltraggiare i nostri morti? Vergogna!1;

b) C'è un limite oltre il quale la satira non può spingersi;

c) Non dimentichiamoci, poi, che la satira deve far ridere. Questa vignetta non fa ridere, quindi non è doppiamente satira;

Pubblicità

d) Stai a vedere che l'ISIS (era Al Qaeda, ma non importa) alla fine non aveva tutti i torti.

Il dibattito sulla satira, insomma, si è riaperto di nuovo. Ma è un falso dibattito: a ogni vignetta "controversa," a ogni opera "scomoda", a ogni scritto "offensivo" si ripresentano le stesse argomentazioni di sempre. E come ogni volta pretendiamo di sapere tutto di satira, senza saperne mai niente.

A complicare il tutto, c'è poi l'ambiguità che riveste lo slogan #JeSuisCharlie, che fin da subito si è trasformato un feticcio da usare e pervertire a fini politici, con risultati imbarazzanti—su tutti, la presenza di Arabia Saudita e altri campioni della libertà di parola alla marche républicaine.

L'ex vignettista di Charlie Hebdo Luz, in un'intervista molto sofferta a VICE News, aveva parlato della difficile situazione in cui si era ritrovata una rivista satirica anarchica e di nicchia, e anche un po' anacronistica, dopo l'attentato: "Quando tutti hanno iniziato a dire 'Je suis Charlie', essere diventati un simbolo è stato difficile. Perché Charlie si scagliava contro i simboli. E come si fa a far scoppiare la bolla del simbolo che noi stessi siamo diventati?"

Abbiamo visto—e casi come questo lo dimostrano ancora di più—che non si può far scoppiare questa bolla. Perché, alla fine, la contraddizione in cui è rimasto impigliato il "simbolo Charlie Hebdo" è anche la nostra: ci battiamo il petto per la libertà d'espressione, ne glorifichiamo una versione idealizzata e inesistente, e vogliamo esserne i suoi più illuminati alfieri; ma nella realtà, invece, siamo i primi ad essere allergici alle sue "deviazioni" ed eccessi.

Pubblicità

Non ho alcuna intenzione di tentare un'analisi o una spiegazione della vignetta: non è una cosa che mi compete, e sono fermamente convinto che sia un esercizio completamente inutile. Può essere riuscita o meno, inoppurtuna, di cattivo gusto—quello che vi pare. Quello che dà fastidio è molto più a monte: è l'assenza di un terreno comune su cui confrontarsi, è l'incapacità di riconoscere l'infrastruttura culturale su cui disegni satirici del genere si poggiano.

Da un certo punto di vista, dunque, sono sollevato che si sia scatenato questo macello intorno alla vignetta di Félix. In primo luogo perché non ho nulla a che spartire con chi vuole mettere limiti alla satira, con chi pensa che debbano esserci delle regole stringenti, con chi invoca "l'opportunità" o altre stronzate del genere.

E in secondo luogo perché è finita una volta per tutte un'ipocrita anomalia che durava da fin troppo tempo: non siamo mai stati Charlie in Italia, non ci è mai interessato esserlo, e ora finalmente lo si sente dire senza alcuna remora.

Segui Leonardo su Twitter

Segui la nuova pagina Facebook di VICE Italia: