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Siamo andati a sputare vino al Vinitaly

Il nostro report dalla rassegna annuale durante la quale la regola "mai mischiare il bianco con il rosso" viene dimenticata da migliaia di persone.

Foto di Alessandro Rampazzo - Collettivo Fotosocial.

Non so se siete mai stati all'"Italia In Miniatura", la versione bonsai del Belpaese che si trova a Rimini, ma ho una confessione da farvi: all'Italia In Miniatura preferisco il Vinitaly, "l'annuale salone internazionale del vino e distillati." Il Vinitaly di Verona, rispetto al parco romagnolo, ha due vantaggi che lo rendono ineguagliabile: a) è meno in miniatura dell'originale; b) è pieno di vino.

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Ci siamo arrivati mercoledì attorno a mezzogiorno in una giornata di sole in cui i vari casermoni della Fiera brillavano ubriachi. Doveva esserci anche Matteo Renzi, che infatti è passato attorno alle dieci mattina, l'ora ideale per osservare Luca Zaia trangugiare prosecchini. Il fiorentino, un n00b nel mondo delle ombre, ha tentato di resistere al governatore veneto che pare comunque averlo vinto—almeno a giudicare dal tono e del contenuto delle dichiarazioni renziane di fine mattinata, un resoconto sudaticcio in cui ha ammesso di non avere il "physique du rôle per fare brindisi di mattina." Mentre il premier affrontava mestamente la realtà, Zaia faceva la scarpetta con il pane all'ennesimo barile di Barolo e veniva gentilmente invitato ad andarsene.

Le Elezioni Europee, in Veneto, hanno già un vincitore.

Ma il Vinitaly è vino, affari e assaggini squisiti: si vola altissimo quindi, oltre la politica. Entrando in Fiera, lo stabilimento dell'Emilia-Romagna accoglie i visitatori con un enorme stand attorno alla quale vorticano vini, espositori e ragazze immagine, tutti inevitabilmente attratti come un buco nero da Loro: i Salumi. Meglio ricordarsene, qualora venisse voglia di uno spuntino a mezza giornata. Anche da questi puntini sulla mappa dipende la sopravvivenza all'Expo del vino, la rassegna annuale durante la quale la regola "mai mischiare il bianco con il rosso" viene dimenticata da migliaia di persone.

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La giornata di mercoledì, quella conclusiva, è dedicata al business: c'è un via vai di giacche e cravatte, di stranieri e di iPad sfoderati al momento giusto; pochi invece i non addetti al lavoro interessati all'ebbrezza. Aumenteranno nel corso della giornata, ma ciò non toglie che l'euforia della domenica d'apertura è del tutto sfumata: gli espositori sono stanchi, le otri mezze vuote, la sete quasi chetata.

Il vero spettacolo diventa la lettura delle frasi ad effetto trovate dalle regioni per promuovere i propri vini: ci sono bizzarre citazioni di Camilleri nello stand siciliano, l'inglese dell'Emilia-Romagna che promette un'"experience" da favola, pessimi giochi di parole tra "divino" e "di vino", come se il nome stesso della manifestazione, Vinitaly, non fosse già abbastanza. Per non farsi mancare proprio nulla in fatto di nomi-smart-che-mettono-malinconia, c'è anche un piccolo ristoro Eataly.

Proseguendo di regione in regione, difficile non accorgersi degli spazi giganti di Marche, Toscana, Friuli-Venezia Giulia e Veneto.

Quest'ultima si regala per l'occasione una struttura monolite corredata da sofisticati leoni all'ingresso, una visione che umilia la mia idea di "kitsch". Più tardi, verso metà pomeriggio, le bestie verranno cavalcate da intrepidi ubriachi e perderanno parte del loro mistero, ma ci piace ricordarle indomabili e protette da una cordicina rossa.

All'interno il capannone serenissimo è molto ambizioso, vuole trasmettere il senso di potere e supremazia nel settore vinicolo: c'è una moto appesa a uno stand e una imperdibile riproduzione del Ponte di Rialto, una cosa misteriosa e biancastra che sembra fatta di polistirolo e pare comunque più residente del vero ponte di Calatrava.

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Viaggiando in questa Italia in miniatura incontriamo un gruppo di ragazzi che sembrano fatti apposta per noi: non sono "del settore", sono qui per passare una bella giornata assaggiando vino. Li seguiamo per capire i loro movimenti, i loro obiettivi, i loro gusti: sono quasi tutti veronesi e hanno tutti sete. Girovagare tra gli espositori è un'esperienza molto causale, si cercano nomi conosciuti, etichette già assaggiate o "di cui ho sentito parlare bene" ed è quindi utile avere tra le proprie file un Conoscitore. Quest'ultimo è subito riconoscibile per la grazia con cui regge il calice, lo agita, lo avvicina alla bocca (o al naso? Prima alla bocca e al naso? È una coreografia indecifrabile) e lo assaggia.

Il Conoscitore Classico sorseggia soddisfatto ed è sempre convinto di sé nel recensire una bottiglia: pronuncia frasi come "buono, forse un po' troppo giovane" o "si sente il ciliegio, forse fin troppo" a cui seguono severe riflessioni sulle botti in acciaio. Il Conoscitore Vero, invece, vuole solo assaggiare: ama a tal punto il vino da limitarsi al sondaggio del palato per poi sputare la bevanda in un apposito gadget scuro presente in ogni banco (una specie di secchiello nero in cui tutti sputano mantenendo una lodevole eleganza).

I Conoscitori sono minoranza nei confronti dei Bevitori, gente che non necessita di secchielli essendo loro stessi dei secchielli. Tracannano sorsi, passando di stand in stand come un'orda di Unni. A questi l'idea di sputare il vino sembra blasfema, il secchiello-da-sommelier come first world problem per antonomasia.

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A fine giornata nell'area della Lombardia (sopraelevata e marchiata Expo 2015) scorgiamo un giovane a terra, bianco cadaverico, che viene soccorso dagli infermieri: un semplice malore o un Bevitore che ha osato troppo? Non riusciamo a capirlo, un signore ci sta cantando la bellezza delle espositrici dell'Oltrepò Pavese. Ha gli occhi quasi commossi e serve un buon vino frizzante.

Continuiamo a esplorare. Nell'area dedicata all'Irpinia (l'Irpinia non è una regione ma nessuno l'ha avvertita e infatti ha uno spazio tutto suo) troviamo le prime voci sincere della giornata: non tutti sono soddisfatti dell'andazzo.

Il Vinitaly dovrebbe essere LA vetrina mondiale del vino italiano: come tale, dovrebbe essere pensato, costruito attorno alle esigenze dei venditori e compratori. Una vera fiera, insomma, senza la componente-Oktoberfest che spesso la caratterizza. Basta comprarsi un biglietto d'entrata a 50 euro, infatti, per ritrovarsi in un piccolo paradiso in cui le migliori etichette del mondo ti versano calici a gratis, sorridendo.

Negli scorsi anni la fiera cominciava il venerdì e proseguiva per tutto il weekend, fino a metà settimana; in tal modo, i primi giorni erano sacrificati a Bacco, con passanti, curiosi e sinceri ubriaconi a dominare la scena mettendo in ombra l'aspetto più importante dell'evento: il business. E un business essenziale per l'Italia della crisi: 5 miliardi di euro nel 2013 e una crescita del 9 percento, con l'export a trainare selvaggiamente le nostre vigne. "E per il 2020 puntiamo a 7,5 miliardi di euro," ha dichiarato Renzi mercoledì. Un risultato che sembra possibile grazie alla domanda di Russia, Cina, Australia, Stati Uniti e Brasile, non al mercato interno, che invece cala, specie per quanto riguarda le bottiglie di fascia alta.

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Così, da quest'anno la formula è cambiata: si inizia domenica e si finisce mercoledì, saltando il weekend per demotivare i baccanali. Una misura non sufficiente, pare, a giudicare da una frase che nasce come lamentela e cresce di stand in stand, diventando ritornello: "Al Prowein di Düsseldorf queste cose non succedono." Il Prowein è un'altra fiera del vino che si tiene in Germania, grandissimo mercato per gli italiani, e si tratta di un ambiente—si dice—serio, professionale e completamente business-oriented.

Eventi simili sono in crescita in tutta Europa, in Asia e in America, creature nuove per un settore molto cambiato e un mercato globale. Vinitaly, secondo alcuni, deve cambiare per fare fronte alla concorrenza perché la certezza del vino italiano in una fiera italiana potrebbe col tempo non bastare più. C'è chi chiede maggiore serietà, chi sogna che "siano solo le partite Iva a poter entrare," chi concederebbe un solo giorno ad entrata libera, chi sospetta che i biglietti-omaggio siano troppi e consegnati con eccessiva libertà a persone non del settore. In molti fanno notare quanto sia difficile concludere un affare con un cinese o americano mentre a due passi dallo stand un giovine lotta tra la vita e la morte. "Al Prowein di Düsseldorf queste cose non succedono."

Vinitaly rimane un evento da non perdere, per ora, ma dovrà cambiare per mantenersi tale nel futuro. Nel frattempo sempre più produttori prendono le proprie bottiglie e vanno alla London Wine Fair, o in Germania, in Cina, o comunque lontano dall'Italia, patria del vino, per poter meglio vendere… il vino. È un controsenso incredibile ma quel tipo di controsenso a cui ci stiamo purtroppo abituando.

Segui Pietro su Twitter: @pietrominto