FYI.

This story is over 5 years old.

Stuff

La mia vita da tossicodipendente a Brooklyn

"L'eroina è come la lampada di Aladino: ti fa pensare che i tuoi sogni stiano per avverarsi. Ma nella pratica sei solo una persona in un cesso dimenticato da Dio con una siringa in vena, senza una casa, senza soldi e senza amici."

Negli ultimi quattro anni, il numero dei sequestri di eroina negli Stati Uniti è aumentato dell'80 percento. Dal 2001, i casi di morte per overdose di eroina sono quintuplicati.

I morti non parlano. Le storie delle persone morte per overdose di eroina sono destinate ad essere dimenticate. Ma quando coloro che sono stati a lungo affacciati sull'orlo del precipizio riescono a tirarsi indietro, diventano testimoni di un'esistenza vissuta sul limite più estremo.

Pubblicità

Ho incontrato Anastasia a una conferenza internazionale sulla droga in Lituania, nel 2013, a cui lei era presente in qualità di rappresentate di un'organizzazione che si occupa di aiutare i tossicodipendenti di New York. Anastasia, un'immigrata russa, era arrivata a New York a 13 anni con la sua famiglia. A 18 anni faceva uso quotidiano di droghe pesanti.—Max Daly

La prima volta che sono andata in overdose, il mio ragazzo mi ha lasciata per sette ore in stato di incoscienza. Ha cercato di rianimarmi facendo cose tipo strofinarmi del ghiaccio addosso e non so cos'altro, ma quando poi ho effettivamente ripreso conoscenza in casa non c'era nessuno e fuori era buio. Più tardi, era tornato a casa e mi aveva detto che pensava fossi morta e che stava cercando i capire fuori da quale ospedale scaricare il mio corpo.

Ci facevamo in giro per Brooklyn, dove vivevamo. Ovunque: per la strada, da McDonald's, nella tromba delle scale dei palazzi, nei bagni pubblici, in macchina di altre persone. Affilavamo le siringhe su rampe di scale sporche. Io avevo 19 anni, ero totalmente dipendente dall'eroina, frequentavo una scuola d'arte, lavoravo in un negozio di vestiti e condividevo con un'amica un piccolo appartamento a Hell's Kitchen, un quartiere conosciuto essenzialmente per la droga e la prostituzione. A volte mi sembrava di stare in paradiso. Mi sentivo come se fossi destinata a diventare una delle tante leggende morte che avevano camminato per le strade di New York, come Billie Holiday, Janis Joplin, Hendrix e Basquiat. Mi ritrovavo in loro e riuscivo a capirli, sentivo di essere come loro. Ero ferita, ero in cerca d'amore. Avevo paura di vivere, eppure lo volevo così tanto, e sopratutto desideravo uno scopo.

Pubblicità

Ero arrivata a New York nel 1996 da Alexandrov, una piccola città non lontana da Mosca, con lo status di rifugiata. Ricordo che a scuola venivo presa di mira perché ero di ascendenza zingara ed ebrea. Mio fratello era stato quasi picchiato a morte dal padre della sua ragazza quando questi aveva scoperto che era ebreo.

Quando sono arrivata negli Stati Uniti, non avevo amici e non parlavo inglese. Sono andata in una scuola per stranieri. I miei litigavano sempre. Mi mancava molto casa mia, ma sapevo che non ci sarei mai potuta tornare. L'unica cosa che sapevo fare era disegnare, e disegnare mi teneva viva. Alla fine mi sono iscritta a una scuola di disegno. Era un posto particolare, pieno di immigrati e di artisti. Mi sentivo a mio agio.

A non farmi sentire a mio agio, invece, ero io stessa. Avevo problemi con la mia sessualità perché all'epoca mi piacevano sia gli uomini che le donne. Poi, a 18 anni, mi è stato diagnosticato un disturbo bipolare e sono stata curata con il litio. La malattia mi spingeva a farmi un sacco di domande su che persona fossi. Quando ho provato per la prima volta la cocaina con due amiche ci sono rimasta immediatamente sotto. Anche a loro era piaciuta, ma io ero rimasta proprio sconvolta, chiedendomi dove fosse stata fino a quel momento quella sostanza e perché non l'avessi mai provata prima.

Quello stesso anno mi sono innamorata di Sky, un amico di mio fratello. Aveva sei anni più di me, era un ex modello e sembrava un tipo a posto. Un giorno ci siamo incontrati per caso sul treno e da lì abbiamo iniziato a frequentarci. Ho scoperto che si faceva di eroina già da diverso tempo. All'inizio ho provato ad aiutarlo a uscire dalla dipendenza, ma poi è andato tutto storto.

Pubblicità

Sky continuava a dirmi che dovevo provare l'eroina, che non dovevo sprecare soldi in cocaina, che stavo diventando sempre più schizzata e che dovevo rilassarmi un po'. Siamo finiti a farci di speedball tutti i giorni per sei mesi. Era diventato molto intenso. Appena ci svegliavamo la mattina ci sentivamo male e sapevamo di dover raccattare qualche soldo prima che insorgessero i primi sintomi dell'astinenza. Durante il giorno tiravamo a campare, facevamo qualche furtarello in negozi e farmacie. Io rubavo soldi a casa o vendevo le mie cose. Sky viveva con sua madre e spacciava eroina. In due, ci facevamo sei bustine di coca e sei bustine di eroina al giorno.

Io mi facevo così tanto che a un certo punto mi era venuto un ascesso e non riuscivo più a trovarmi la vena. Dovevo bucarmi cinque o sei volte prima di riuscire a trovarla. Ho iniziato ad avere allucinazioni uditive. Mi sembrava di parlare con una persona quando invece ero da sola a casa. A un certo punto pensavo di poter camminare sui tetti senza rischiare di morire. Alla fine ho smesso di farmi di cocaina e iniziato a farmi solo di eroina.

Sky era un vero pezzo di merda. Fin da subito aveva voluto che iniziassi a farmi di eroina solo per avere qualcuno con cui dividere la droga e i soldi. Più tardi ho scoperto che c'erano altre donne e altre persone che andavano a casa sua a drogarsi con lui, e che io ero solo una persona con cui si drogava e con cui occasionalmente faceva sesso. Dopo che ha provato a convincermi a fare sesso con diverse persone che in cambio di droga, ho iniziato a essere molto più sospettosa nei suoi confronti. Eppure, sono rimasta insieme a lui.

Pubblicità

La violenza sessuale è un rischio costante per un tossico, specie se è una donna. Ricevevo proposte praticamente ogni settimana, sia dagli spacciatori che dalle persone con cui mi drogavo. Devo dire che mi ero ripromessa di non arrivare mai al punto di fare sesso in cambio della droga, perché per me sarebbe stato come grattare il fondo: mi sarei uccisa piuttosto che farlo. Questa era una delle regole che mi ero data. Detto questo, sono stata comunque vittima di violenza sessuale in diverse occasioni. Sono fortunata di esserne sempre uscita viva e praticamente illesa.

Ho anche avuto diverse crisi di astinenza perché mi rifiutavo di fare sesso in cambio della droga. Non potevo farmi prescrivere il metadone perché ero ancora minorenne e perciò ero costretta a comprarlo per strada per sopravvivere nelle giornate in cui non riuscivo a trovare niente. Quella vita ti lascia senz'anima, diventi solo un corpo.

In quel mondo di cliniche, disintossicazione, ospedali e spacciatori, la morte è sempre intorno a te. Senti sempre parlare di qualcuno che è morto—la maggior parte delle volte di overdose, altre volte di HIV o di morte violenta. Di qualcuno che è stato accoltellato mentre andava a comprare la droga, oppure che è stato ucciso e derubato, o ancora che dopo essersi bucato si è addormentato con la sigaretta accesa ed è bruciato vivo con tutta la casa. Quando fai parte di quel mondo, queste storie diventano molto comuni. È per questo che se ci sei dentro perdi ogni speranza.

Pubblicità

Una volta siamo stati fermati dagli SWAT. Ci hanno fatti sdraiare per terra e ci hanno fatti spogliare. La nostra macchina è stata smontata pezzo per pezzo. Siamo stati interrogati per tre ore, perché gli agenti cercavano della droga. Ci hanno sequestrato le siringhe e hanno arrestato il mio ragazzo. Io avevo della droga addosso ma loro non l'hanno trovata e mi hanno lasciata andare. Avevo 19 anni. Quell'esperienza mi ha traumatizzato: quattro uomini muscolosi vestiti di nero, armati, che ti saltano addosso.

A 21 anni ero diventata un fantasma e volevo solo morire. Non avevo passato né futuro. Dopo aver cercato di uccidermi due volte, una volta con un'intera scatola di litio e del vino e un'altra volta tagliandomi i polsi, sono stata messa sotto osservazione.

Ho provato a smettere decine e decine di volte, ma nel giro di quattro giorni ci ricadevo sistematicamente dentro. E andavo agli incontri completamente fatta. Ho provato di tutto: disintossicazione, riabilitazione, gruppi di aiuto.

L'eroina è come la lampada di Aladino: ti fa pensare che i tuoi sogni stiano per avverarsi, ti dà l'impressione di poter controllare il corso delle cose. Ma nella pratica quando ti buchi sei solo una persona in un cesso dimenticato da Dio con una siringa in vena, senza una casa, senza soldi e senza amici. L'eroina ti incasina la testa, e le cose prive di logica diventano improvvisamente logiche. Ti fa perdere il senso del tempo.

Pubblicità

Ma io non volevo morire per strada con l'ago ancora dentro.

Ho iniziato a cercare di smettere poco dopo aver iniziato a farmi. E in tutto ci sono voluti più di tre anni per riuscire a uscirne. Ho trovato una consulente che mi ha seguita senza sosta per assicurarsi che stessi sempre un pochino meglio. Mi ha consigliato di provare l'impianto di naltrexone, che all'epoca era una novità. Mi sono obbligata a farlo per tre volte, e per i nove mesi successivi sono andata avanti a pillole. Andavo anche in terapia e mi erano stati prescritti dei farmaci leggeri.

È stato un incubo, ma non avevo niente da perdere. Avevo gli attacchi di panico e non riuscivo a dormire. Pensavo di essere sul punto di impazzire. In quel periodo mi sono riscritta all'università perché volevo laurearmi. La sera dipingevo per tenermi occupata, e di giorno stavo sui miei libri di psicologia.

A 22 anni ho festeggiato il mio primo anno senza droga. Dovevo riprogrammarmi, riprendere il filo per imparare di nuovo ad amare e a capirmi, parlare e rapportarmi con la gente. Insomma, tornare a essere me stessa. Ho anche deciso di rallentare con le pillole per il bipolarismo. A 25 anni ho smesso definitivamente.

Da quando mi sono ripulita, quasi 11 anni fa, mi sono laureata in psicologia e specializzata in criminologia. Per circa sei anni ho lavorato a VOCAL-NY, aiutando i senzatetto e i giovani in situazioni a rischio. Poi ho lavorato ai servizi sociali per aiutare i tossicodipendenti. Adesso faccio ricerche sull'uso di droga tra i giovani di Brooklyn per conto del National Development and Research Institute. Non ho mai smesso di dipingere e sono anche riuscita a esporre alcuni dei miei lavori. E l'anno scorso ho avuto il mio primo figlio, Nikita. L'ho chiamato così in onore di mio nonno.

* I nomi dei personaggi sono stati cambiati per proteggere la loro identità.

Segui Max Daly su Twitter.