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Vite Vere di Uomini Illustri

Come passare dalla controcultura alle American Express senza rimorsi

Jerry Rubin, morto il 28 novembre del 1994, è stato una delle figure più istrioniche della controcultura americana degli anni Sessanta. E il "padre degli yuppie" degli Ottanta.

Jerry Rubin nel 1970. Foto via ​Wikimedia Commons.

Un luogo comune molto diffuso sia in Italia che all'estero, è che la maggior parte di quelli che hanno partecipato ai grandi movimenti di protesta degli anni Sessanta e Settanta si sia infine riciclata abdicando a qualsiasi pretesa rivoluzionaria e—nei casi più estremi—finendo a ingrossare le fila dei nemici gioventù. Detto che, per una mera faccenda di statistica, non è esattamente così, è vero che gli esempi non mancano. E se in Italia abbiamo eccezionali casi di ex sessantottini passati dai musical su Bob Dylan alle crociate antiabortiste, negli Stati Uniti c'è un nome di cui in questi giorni ricorrono i vent'anni dalla scomparsa, e che suo malgrado ha incarnato in maniera persino grottesca quel tragitto che ha portato non pochi tra i suoi coetanei dall'utopia comunista/comunitaria dell'evo hippie ai più pragmatici propositi del potere capitalista.

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Parlo di Jerry Rubin, morto il 28 novembre del 1994 per i postumi di un incidente stradale, un nome che a seconda dei vostri interessi potrebbe risultarvi familiare perché: a) nei favolosi sixties fu uno dei più istrionici volti del Movement americano; oppure b) negli edonisti eighties si autoproclamò "leader di un movimento che avrà altrettanto impatto sui decenni a venire": i famigerati yuppies. Proprio loro, i giovani di successo che da Wall Street invasero le vie Montenapoleone del mondo intero, e a cui Carlo Vanzina dedicò un film nel 1986; anzi, secondo diverse fonti è proprio a Jerry Rubin che si deve la diffusione e conseguente fortuna del nomignolo che negli anni Ottanta fu praticamente sinonimo di "evo Reaganiano".

In effetti il termine yuppie compare per la prima volta nel 1980 come abbreviazione di Young Urban Professional, ma divenne d'uso comune solo nel 1983, quando il giornalista Bob Greene dedicò un articolo proprio a Rubin, all'epoca impegnato come uomo d'affari a Wall Street. C'era una chiara ironia nell'applicare a questo ex contestatore ormai ultraquarantenne la sigla che in Italia rimanda inevitabilmente ai volti di Massimo Boldi e Jerry Calà; perché solo vent'anni prima, Rubin era stato il leader di una formazione dal nome molto simile ma dagli intenti diametralmente opposti: i favolosi, incorreggibili, blasfemi impenitenti yippies.

La sigla yippies rimanda a sua volta allo YIP – Youth International Party, fondato da Rubin e il suo socio Abbie Hoffman alla fine del 1967. All'epoca i due si erano già fatti notare come irriducibili nemici della guerra in Vietnam, e a loro modo incarnavano alla perfezione la figura del contestatore che sul comodino teneva tanto un ritratto di Che Guevara quanto un flaconcino di LSD. Di certo, Rubin e Hoffman erano tipi molto teatrali, iconoclasti e soprattutto molto divertenti: prima ancora della nascita dello YIP, guidarono la famosa Marcia su Washington del 1967 tentando di far levitare il Pentagono a suon di vibrazioni cosmiche e om "esorcizzanti". Un'altra azione che scaraventò il nome degli yippies nella leggenda, fu quando un gruppo di militanti guidati da Abbie Hoffman entrò alla Borsa di New York lanciando banconote false ai broker che, figuriamoci, si precipitarono ad arraffarle (da allora, il corridoio per i visitatori della Borsa di New York è protetto da un vetro).

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La bandiera Yippie: Fondo nero dell'anarchia, stella rossa della rivoluzione, foglia di marijuana della perdizione. Via ​Wikimedia Comm​ons.

L'apoteosi yippie arrivò in coincidenza con la convention del Partito Democratico che si tenne a Chicago nel 1968: per l'occasione, Rubin e soci organizzarono un "Festival della Vita" in aperta sfida al presidente Lyndon Johnson e ai candidati che aspiravano a succedergli al titolo. Come prima cosa, gli yippies nominarono presidente degli Stati Uniti un maiale. Si chiamava Pigasus o meglio ancora Pigasus the Immortal, e ci crediate o meno alla fine il povero Pigasus fu arrestato dalla polizia, assieme ovviamente allo stesso Rubin che, visto che Pigasus non poteva parlare, si era incaricato di leggere al suo posto il Discorso di Accettazione.

Poi fu la volta dei concerti: è in questa occasione che gli MC5 si fecero conoscere al pubblico americano, ma andrebbe ricordato che altri affiliati al movimento furono il cantautore Phil Ochs, il prankster David Peel, e il futuro regista John Waters. Se, visto il nome, pensate che il Festival della Vita sia stato una specie di antesignano del "pace amore e musica" di Woodstock, lasciate perdere: il kick out the jams motherfuckers! degli MC5 fu semmai il grido di battaglia che accompagnò una lunga serie di durissimi scontri con la polizia, perché agli yippies piaceva sì scherzare, ma erano anche tizi parecchio bellicosi. La battaglia andò avanti per otto giorni, il tutto in diretta TV, e si concluse con l'arresto di Rubin e altri sei compagni (i famosi Chicago Seven: tra loro, anche il solito Abbie Hoffman e il leader delle Black Panthers Bobby Seale) con l'accusa di cospirazione.

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Il processo che ne seguì fu ricordato dal New York Times come "una delle più bizzarre scene che la giurisprudenza americana abbia mai conosciuto." Naturalmente, Rubin tenne fede a quelle che chiamava "tattiche di teatro-guerriglia hippie": si presentò alla corte al saluto di "Heil Hitler!", rispose agli interrogatori vestito della stessa tunica del giudice, e quando il giudice—quello vero—gli impose di toglierla, venne fuori che sotto portava una maglietta della polizia di Chicago. A quel punto, un fiancheggiatore e supporter come Norman Mailer l'aveva già definito "il più combattivo, imprevedibile, creativo, e quindi il più pericoloso leader filo-hippie a disposizione della Nuova Sinistra."

Nel 1970, Rubin raccolse le sue idee sul rapporto tra rivoluzione e media nel libro Do It!, uno dei grandi classici della controcultura americana. La sua figura ebbe un certo impatto anche in Italia: gli yippies furono gli ispiratori di gruppi come Stampa Alternativa di Marcello Baraghini e la rivista Fallo! di Angelo Quattrocchi, entrambi nemici giurati dei fricchettoni collusi col potere di Re Nudo (il fatto che Re Nudo fosse milanese, mentre Stampa Alternativa e Fallo! erano romane, fu chiaramente un motivo di attrito non secondario). Diverse delle sue trovate fornirono anche un precedente per le azioni degli Indiani Metropolitani e dell'ala creativa dell'Autonomia. Gli MC5 invece—che a dire il vero nascevano come emanazione delle White Panthers, più che dello YIP—divennero come sappiamo tra i sommi padrini del punk.

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Intanto però, col fiato dell'FBI sul collo, l'inevitabile declino del Movement, e l'amico Abbie Hoffman che scappava da un arresto all'altro, a partire dagli anni Settanta Rubin cominciò a trovarsi isolato, perso, senza un vero seguito e confuso sul da farsi. Come tanti reduci dei sixties, le provò tutte: meditazione, agopuntura, sex therapy, ovviamente droga. Nel 1978 si sposò con Mimi Leonard, un'ex reginetta di bellezza che lavorava alla ABC. Da allora, anche se lui amava ripetere il contrario, la sua visione del mondo cambiò —e pure radicalmente.

Lo spiega bene Rubin in persona in un vecchio articolo comparso sul quotidiano della Florida Sun-Sentinel: "Magari mi ricordate dagli anni Sessanta: sono stato uno dei principali attivisti contro la guerra e ho guidato migliaia di studenti nelle piazze. I presidenti schizzavano in piedi al mio nome. Ero conosciuto in quasi tutti gli stati, ma benvenuto in pochi. Il governo ha speso un sacco di soldi nel tentativo di mettermi in prigione. […] Adesso, non esco mai di casa senza la mia American Express. Sono uno dei leader di un nuovo movimento che avrà tanto impatto negli anni Ottanta e Novanta, quanto i capelloni yippies lo ebbero nei Sessanta. Dai ranghi della ribellione di ieri, è nata una nuova generazione di giovani professionisti urbani, ambiziosi e svegli. Gli insorti sono diventati gli insider. Gli yippies sono diventati yuppies."

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È un testo del 1985. Quindici anni prima, aveva dichiarato: "Tutte le forme di denaro sono un furto. Rubare ai ricchi è un atto sacro, religioso." Nel frattempo però, Rubin aveva avuto modo di, nell'ordine: investire in una nuova azienda chiamata Apple Computers; lavorare a Wall Street per la compagnia John Muir & Company; diventare un esperto di multi-level marketing o, per dirla altrimenti, schemi finanziari "a piramide"; guadagnare 60.000 dollari al mese. Qualche anno dopo, e per la precisione nel 1991, avrebbe lanciato una bevanda energizzante chiamata Wow. A quel punto era un rispettato miliardario che da New York si era trasferito a Los Angeles.

Da quasi tutti i punti di vista, Rubin è un po' l'archetipo del vecchio contestatore che agli ideali comunitari di un tempo ha infine sostituito la più spudorata adesione alle leggi del mercato, del consumismo e del capitale, insomma: del potere. Ma se la maggioranza dei contestatori pentiti tende a considerare il proprio passato barricadero un piccolo ma comprensibile errore di gioventù, Rubin non ha mai smesso di rivendicare le sue esperienze a fianco di Pigasus e gli altri vecchi eroi dello YIP. Al contrario: per Rubin, lo yuppie che "non esce mai di casa senza la sua American Express," era la naturale evoluzione nonché la logica conclusione dello yippie che tentava di far levitare il Pentagono.

È un'interpretazione che piacerebbe molto a certi aspiranti opinion maker che tra un aperitivo e l'altro discettano di serie tv americane e ogni volta che qualcuno si lascia scappare parole tipo, chessò, "neoliberismo", sghignazzano pensando che il tuo quoziente intellettivo vada drasticamente rivisto al ribasso. Che Pigasus li maledica, ma tornando a noi: per Rubin, l'avvento dei giovani professionisti urbani tanto cari all'iconografia —appunto—neoliberista, andava implicitamente letto come un'autentica vittoria dei sixties contestatori; un concetto che Rubin ripeteva spesso era: abbiamo provato a fare fuori il potere dall'esterno, adesso è arrivato il momento di cambiarlo dall'interno. E sappiamo tutti come va a finire quando uno comincia così, no?

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Insomma, è difficile non subodorare l'ipocrisia di una retorica che, all'atto pratico, si traduceva in nessi tenuti assieme da una logica forse troppo provata dagli acid tests di gioventù: "Per gli yippes degli anni Sessanta, se non fumavi marijuana eri square. Per gli yuppies, sei fuori moda se non hai una segreteria telefonica. Le case degli yippies erano zeppe di poster, macramé e copriletti indiani. Quelle degli yuppies hanno il computer, il videoregistratore e una palestra personale. Gli yippies si accampavano ai margini delle proprietà immobiliari altrui. Gli yuppies, quelle proprietà immobiliari le detengono."

Perché uno debba preferire una segreteria telefonica a una sana tirata di marijuana, ancora non sono riuscito a decifrarlo. Ma poco importa, quello che conta è: "Può sembrare che gli yuppies vogliano solo fare soldi e spassarsela. Ma non è vero: gli yuppies sanno che c'è solo un modo di fare soldi: creare prodotti e servizi per persone disposte a pagarne il prezzo. Diventi ricco migliorando la qualità della vita." È praticamente un manifesto ideologico allo stesso modo del Do It! di quindici anni prima.

A suo modo Jerry Rubin fu lungimirante. Più che negli yuppies interpretati alla nostre latitudini da Ezio Greggio e Christian De Sica, l'hippie-capitalismo da lui vagheggiato si sarebbe infine concretizzato in figure come quella di Steve Jobs, il sedicente visionario dal volto umano di cui, come abbiamo visto, Rubin fu anche finanziatore. "Gli yuppies credono nella meritocrazia," continuava ancora Rubin, tra i primi a riabilitare un concetto quintessenzialmente di destra destinato poi a riempire la bocca della cosiddetta sinistra della terza via. "Se decidi che funzionerà, ce la farai. Gli yuppies rispettano la tecnologia: più facilmente le nostre macchine sono in grado di lavorare, più possiamo ottenere. Gli yuppies sostengono l'autosufficienza: la vita è dura? Allora fai qualcosa."

"Yippies vs. Yuppies"

Infine, quella che ha tutto il sapore di una profezia: "Lo yuppie lifestyle fatto di impresa individuale, autoresponsabilità, crescita personale e godimento della vita, cambierà il mondo con la sola forza dell'esempio." Forse assieme al semplice esempio c'è stato qualche aiutino extra, ma è difficile non scorgere l'attualità di parole che risalgono a quasi trent'anni fa. Il suo slogan era "Never give up, keep the Vision"; "Stay hungry, stay foolish" ne è di fatto un upgrade particolarmente fortunato. ​

Ovviamente non tutti gli ex yippies seguirono l'esempio di Rubin. Il suo sodale storico Abbie Hoffman non recise mai i legami con le parole d'ordine della controcultura, e a metà degli anni Ottanta i due si sarebbero confrontati in una serie di incontri itineranti chiamati giustappunto "Yippies vs. Yuppies". Anche Hoffman non c'è più: si suicidò nel 1989 dopo una vita a dir poco rocambolesca, forse anche amareggiato dall'aver visto il patrimonio politico e idealistico di un'intera generazione piegato ai più dubbi propositi del capitalismo rampante. Ma di tutte le profezie di Rubin, ce n'è una che nella sua vicenda mi sembra particolarmente appropriata. Fu anzi uno dei suoi slogan più famosi ai tempi della convention democratica e dei cortei contro la guerra in Vietnam: "Mai fidarsi di chi ha più di trent'anni." Avrebbe dovuto ricordarsene quando scrisse il suo yuppie-manifesto: perché all'epoca, di anni ne aveva quarantasette.

Segui Valerio su Twitter: ​@thalideide