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Attualità

Cosa succederebbe se Mad Max vincesse l'Oscar come miglior film

Un'eventuale vittoria di Mad Max nella categoria miglior film agli Oscar potrebbe segnare una specie di rivoluzione—una rivoluzione in grado di ridefinire il futuro prossimo dell'intrattenimento visivo.

Screenshot via YouTube.

La statuetta degli Oscar è qualcosa di affascinante, in primis perché è dorata e visivamente appagante—e a tutti piacciono le cose dorate e appaganti, soprattutto quando sono incluse in uno spazio e una durata che comprendonoChris Rock e Alicia Vikander. Per questo motivo, da un paio di anni a questa parte, per puro appagamento delle mie pupille, faccio il dritto davanti al televisore per seguire questo sfarzo.

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Il 28 febbraio 2016 si terrà l'88esima edizione degli Oscar, e nonostante quanto sopra agli occhi dei più puristi l'abbia reso l'equivalente americano del Festival di Sanremo (dove per americano si intende con gente molto più interessante), rimane il fatto che un Oscar sia il massimo riconoscimento di valore per un film, qualcosa capace di regalare a una pellicola un'aura di protezione dalla normale caducità delle cose.

Tra i film più nominati di quest'anno, rispettivamente in lizza per 12 e dieci statuette, ci sono The Revenant e Mad Max - Fury Road. Se non sorprende che l'ultima fatica di Iñarritu gareggi nella categoria "miglior film", lo stesso non si può dire di Mad Max. Forse mi sbaglio, ma associo agli Oscar film di una certa caratura sociale, film che trattano temi profondi—e l'obiettivo di Mad Max non è certo far riflettere. Quindi potevo benissimo immaginare che il film sarebbe stato nominato per gli Oscar più tecnici, ma a forza di pensarci mi sono convinto che un'eventuale vittoria di Mad Max nella categoria miglior film potrebbe segnare una specie di rivoluzione. Una rivoluzione in grado di ridefinire il futuro prossimo dell'intrattenimento visivo (termine con il quale mi riferisco sia a film che a serie TV).

Ovviamente è solo un'ipotesi, figlia di una tendenza tuttavia radicata nelle produzioni del cinema e della TV degli ultimi anni: il primo mette al centro la qualità visiva, e lo fa a discapito, se vogliamo, della trama, che è invece sempre più centrale per le seconde. In questo senso Mad Max è la prova estrema della tendenza, dato che mette in secondo piano dialoghi e trama—nonostante qualche flashback e sottotrama, il film non è altro che un grande inseguimento nel deserto—per esaltare al massimo i colori, i suoni e tutto ciò che può essere sconvolgente per lo spettatore.

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Per questo un Oscar come miglior film a Fury Road rappresenterebbe un indicatore forte del corso futuro del cinema, che poi è anche un po' un ritorno al suo passato originario: uno spettacolo anzitutto pensato per stupire il pubblico. E devo ammettere che quest'idea non mi spiace affatto, visto che le cose che mi sono piaciute di più del cinema di quest'anno sono state Mad Maxe il settimo capitolo di Fast& Furious, e che trovo quasi deleterio tentare di concentrare una narrazione che si vuole profonda in due ore o poco più. Due ore sono spesso poche per approfondire realmente una storia, ma troppe perché il cervello mio e di quelli che come me sono vittime di disturbo dell'attenzione da multitasking rimanga focalizzato.

Già l'anno scorso, grazie a film come Boyhood e Birdman, abbiamo assistito all'esaltazione della tecnica sul contenuto. Nel caso di Birdman, inevitabilmente il primo pensiero corre all'apparente piano sequenza che ha permesso al film di godere di ottima pubblicità anche al di fuori dei circolini tecnici: la risonanza della novità di un film girato "senza tagli" superò di gran lunga quella del contenuto, presente peraltro anche in modo evidente. Stessa cosa per Boyhood, che forse ricorderete come "quello girato in 12 anni che segue la crescita di un adolescente." L'incredibile trovata di Linklater è stata accolta molto bene e le candidature lo dimostrano, anche se l'unica statuetta effettiva è stata quella per miglior attrice non protagonista.

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Se poi torniamo ai film nominati agli Oscar di quest'anno, il più quotato è The Revenant (anche se per ragioni statistiche è difficile che Iñarritu vinca il premio al miglior film anche quest'anno). Pare che il film possa mettere fine alla maledizione Di Caprio-Oscar, ma a colpirmi è stato il fatto che la discussione sull'assegnazione o meno del premio a Leo verta su questioni più tecniche che recitative. Mi spiego: secondo molti Di Caprio meriterebbe l'Oscar per aver recitato con una barba di un anno e mezzo che fungeva da ricettacolo di batteri nelle condizioni avverse del set, per aver lavorato malato, per aver affrontato le formiche, per aver mangiato fegato di bisonte nonostante sia vegetariano. Insomma, quello che rimarrà della sua prestazione sono le questioni visive, i virtuosismi. Il fatto che il Guardian definisca The Revenant un "meaningless pain porn" non è che una lettura negativa dello stesso appagamento visivo di cui dicevo sopra, e che la bravura di Di Caprio non fa che avvalorare.

Ma a che format delegare, allora, la componente narrativa? Gli anni Dieci del 2000 hanno visto l'incredibile diffusione dei seriali che—grazie soprattutto all'avvento di Netflix e all'abolizione della dittatura del cliffhanger—somigliano sempre più a lunghi lungometraggi divisi in una decina di episodi da 45 minuti-un'ora (altro il discorso per le comedy, dove i tempi si dimezzano). Six Feet Under, Mad Men, Breaking Bad e Jessica Jones sono quattro esempi abbastanza trasversali che possono dimostrare come il futuro dell'intrattenimento visivo (pop) si dividerà in storie e estetica, messe in salvo le possibilità di contaminazione: le prime affidate ai seriali, la seconda di proprietà del grande schermo.

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Il film Age Of Ultron, tra i titoli Marvel usciti nell'anno appena passato, fa dell'estetica la sua forza. Ma proprio Marvel è un ottimo gancio per dimostrare la controparte seriale della rivoluzione filmica: contemporaneamente a Ultron al cinema, la casa di produzione lanciava su Netflix Daredevil e Jessica Jones. Poiché i budget erano fatalmente inferiori a quelli stanziati per il cinema, si è deciso in partenza di tagliare sugli effetti speciali. E allora—ed è evidente soprattutto in Jessica Jones, dove i costumi e le location si possono contare sulle dita di due mani—si è scelto di portare tutto su un piano psicologico. Il risultato è un prodotto decisamente più profondo e adulto di quelli cinematografici, complice un incredibile Tennant, ma soprattutto la fruizione del prodotto. Non per niente, queste serie sono pensate per essere viste al computer o addirittura sullo schermo di un telefono; per questo puntare sul piano psicologico piuttosto che su quello visivo era molto meno rischioso rispetto a farlo con un prodotto pensato per un maxi-schermo.

Da un maxi schermo ci aspettiamo quella che qualche mese fa Christopher Nolan definiva "esperienza cinematografica"; credo che nessuna parola rispecchi meglio di "esperienza" quello che cerco oggi nel cinema. Ogni volta che ho visto Mad Max (al cinema, in streaming e poi di nuovo in HD proiettato su un muro in casa) ne sono uscito profondamente scosso. Se poi pensiamo che originariamente il film doveva essere muto, è evidente che l'opera di Miller vuole essere, e non c'è critica ma ammirazione in quello che sto per dire, solo cibo per gli occhi—e non facile riuscire a esserlo.

Se è vero che da anni si discute del ruolo delle serie TV come nuovi romanzi (con tutti gli strumenti a cui la letteratura ci ha abituato), oggi anche ciò che lo spettatore cerca nel cinema potrebbe cambiare radicalmente. E un Oscar a Mad Max - Fury Road potrebbe significare che siamo pronti a fare nostro pubblicamente il cambiamento nell'immaginario visivo sopra delineato. Per cui incrocio le dita e spero di godermi i ringraziamenti di Miller.

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