Attualità

Possiamo fare davvero a meno del gas russo in Italia?

La risposta è sì, ma dobbiamo mettere in campo provvedimenti coraggiosi e accelerare sulla transizione ecologica.
Leonardo Bianchi
Rome, IT
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Foto di hansenn via AdobeStock.

Tra le tante ripercussioni globali causate dall’invasione russa in Ucraina, quella sui prezzi dell’energia e del carburante è sicuramente uno dei temi più visibili e dibattuti—anche in Italia.

Come ha scritto l’Economist, il mondo intero sta per entrare nel più grosso “shock energetico” e di approvvigionamento delle materie prime dagli anni Settanta a oggi. A differenza di quella crisi petrolifera, tuttavia, l’attuale coinvolge praticamente tutte le fonti energetiche e impatta—tra le varie cose—su trasporti, riscaldamenti ed elettrificazione.

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L’entità del problema è vertiginosa, ed emerge anche dall’incredibile aumento dei prezzi al TTF di Amsterdam (il mercato di riferimento per il gas europeo): nelle scorse settimane si sono registrate punte di 200 euro a MegaWattora (MWh), contro una media che a settembre del 2021 si aggirava sui 20 euro a MWh.

L’Unione Europea dipende dal gas russo per circa il 45 percento delle proprie importazioni, e dunque non può applicare integralmente l’embargo su gas e petrolio dalla Russia come hanno fatto gli Stati Uniti.

Per correre ai ripari, l’Ue ha annunciato il piano REPowerEU, che punta a fare completamente a meno del gas russo entro il 2027. L’obiettivo è anche quello di diversificare i rifornimenti del gas (attraverso maggiori forniture da altri paesi), importare più gas naturale liquefatto (Lng) e dare una forte accelerata agli investimenti nelle rinnovabili.

Anche l’Agenzia Internazionale per l’Energia (Iea) ha presentato un piano in 10 punti che punta a tagliare le importazioni di gas dalla Russia di oltre un terzo in un anno, sempre attraverso la diversificazione e l’aumento delle “produzioni delle fonti a basse emissioni” già esistenti, tra cui bioenergie e nucleare (a tal proposito l’Iea invita a ritardare la chiusura programmata di alcune centrali in diversi paesi, su tutti la Germania).

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In tutto ciò, l’Italia si trova in una posizione particolarmente vulnerabile—evidenziata anche dal fatto che Draghi ha ventilato la riapertura delle centrali a carbone per fronteggiare l’emergenza.

Siamo tra i paesi europei che dipendono di più dal gas russo (ben il 40 percento delle importazioni nel 2021), usano di più il gas per produrre energia elettrica (il 42 percento nel 2020) e contemporaneamente quelli più in ritardo nel processo di decarbonizzazione. Nonostante ciò, sottolinea il giornalista scientifico Antonio Scalari su Valigia Blu, “una parte della politica continua a sostenere false soluzioni” come “estrarre più gas e tornare a produrre energia nucleare” in Italia.

Ma come siamo arrivati a questo punto? Ci sono davvero soluzioni praticabili? Oppure dobbiamo rassegnarci a passare il prossimo inverno al freddo? Per cercare di rispondere a queste domande mi sono fatto aiutare da Luca Iacoboni, responsabile della politica energetica nazionale del think tank italiano ECCO.

Perché la benzina costa così tanto, e non smette di aumentare

Se siete passati di fronte a qualsiasi pompa di benzina in questi giorni, avrete sicuramente notato che i prezzi sono schizzati alle stelle e non accennano a diminuire. Ecco: l’invasione dell’Ucraina è soltanto una delle cause.  

“Quello che si è visto è stato un aumento delle materie prime,” spiega Iacoboni, “e dei loro prezzi sui mercati. Ma l’aumento finale che arriva nelle tasche delle persone è più elevato rispetto all’aumento della commodity, cioè della materia prima.”

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Questo è dovuto al fatto che sui prezzi gravano anche tasse di vario tipo (tipo l’Iva) e accise—ossia l’imposta sulla fabbricazione e vendita di prodotti di consumo, una parola che si sente nominare spesso in questi giorni. In Italia, le accise sul carburante sono state introdotte nel corso degli anni anche per far fronte a disastri (come quello del Vajont del 1963) o catastrofi naturali (come il terremoto del Friuli del 1976).

Storicamente, le accise italiane sono sempre state molto alte. Secondo l’ultima rilevazione del Ministero della transizione ecologica (relativa al 14 marzo del 2022), la combinazione di accisa e Iva pesa sul prezzo finale della benzina per il 55,3 percento. Il governo ha annunciato l’introduzione di un’“accisa mobile,” cioè di un taglio che dovrebbe ridurre il prezzo alla pompa di 10-15 centesimi al litro.

Tuttavia questa è una misura temporanea che punta a tamponare l’incremento attuale. “Dobbiamo sempre considerare che quando si tagliano delle accise,” dice Iacoboni, “bisogna trovare una cifra equivalente in un’altra fiscalità di qualche tipo.”

Di base, prosegue, “la cosa più indicata sarebbe non dare sussidi a pioggia a tutte le persone, ma condizionati in parte al reddito e in parte alla tipologia di consumi, e soprattutto vincolarli a pratiche di efficienza e risparmio energetico.”

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Questa crisi epocale, infatti, ci sta “facendo capire che dobbiamo consumare meno e meglio: il governo dovrebbe non solo mettere un freno all’aumento dei prezzi, ma spingere verso risparmio ed efficienza perché sono misure strutturali che farebbero bene alle nostre tasche in maniera costante.”   

Come fare a meno del gas russo

Come detto prima, l’Italia è fortemente dipendente dal gas russo. La domanda che sorge spontanea, dunque, è la seguente: possiamo davvero farne a meno?

Nelle ultime settimane il ministro degli esteri Luigi Di Maio e l’amministratore delegato dell’Eni Claudio Descalzi sono stati in Algeria, Qatar, Repubblica del Congo e Angola per stipulare nuovi accordi di importazione del gas naturale, puntando per l’appunto a variare l’approvigionamento energetico dell’Italia.

In base alle previsioni del ministro Roberto Cingolani, l’Italia potrebbe ridurre in maniera netta la sua dipendenza dal gas russo in un lasso temporale che va dai 24 ai 30 mesi.

Per Iacoboni (e uno studio di ECCO) ci sono anche altre soluzioni praticabili che si possono affiancare alla diversificazione delle importazioni: secondo i loro calcoli, ad esempio, il risparmio energetico potrebbe eliminare fino al “50 percento del volume delle importazioni del gas russo,” portando a un risparmio di 14,5 miliardi di euro.  

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Concretamente, prosegue, si potrebbero “abbassare di 1 o 2 gradi le temperature del riscaldamento e restringerne anche la finestra d’uso sia nelle abitazioni che negli uffici” senza “andare incontro a una vita di stenti”: le temperature medie si sono alzate, sebbene la legge che regola i riscaldamenti risalga a oltre vent’anni fa. In questo modo, si arriverebbe al 15 percento di risparmio rispetto ai consumi attuali.

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La domanda di gas in Italia, dal paper di ECCO "Risparmio e rinnovabili per uscire dalla dipendenza del gas."

Gli altri due pilastri indicati da ECCO sono l’efficienza energetica (perseguibile, ad esempio, attraverso la sostituzione delle caldaie a gas con le pompe di calore) e “l’immediato sblocco sia delle rinnovabili di rete, sia di quelle industriali, sia del fotovoltaico sul tetto degli edifici industriali e anche civili.”

L’estrazione del gas dal territorio italiano, invece, è considerata da Iacoboni Uun palliativo.” L’Italia “di gas ne ha abbastanza poco” (assolutamente insufficiente a coprire il fabbisogno), e comunque “attivare nuovi pozzi richiede un paio di anni, e aumentare quelli attuali qualche mese.”

Il “gas italiano,” inoltre, non esiste: “chi lo estrae,” continua, “diventa proprietaria di quel gas e naturalmente lo vende a un prezzo di mercato. Per abbassare i costi bisogna introdurre prezzi calmierati, e quindi dare qualcosa indietro all’azienda sotto forma di corrispettivo economico o sgravio.”

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Anche il ricorso al nucleare—che in Italia è stato sottoposto a due referendum nel 1987 e nel 2011, dagli esiti noti—non è una soluzione immediatamente praticabile nel nostro paese, in questa contingenza. “I tempi di realizzazione di una centrale sono più che decennali,” afferma Iacoboni, “e inoltre le curve dei costi sono in salita rispetto a tutte le altre energie, che costano sempre meno. Per non parlare poi della questione delle scorie, della sicurezza e degli usi militari.”

L’ultima occasione per una vera transizione energetica

A ogni modo, i prossimi mesi potrebbe essere meno apocalittici di quanto si prospetta in questi giorni.

Iacoboni ricorda che ad oggi non si sono ancora chiusi i rubinetti del gas dalla Russia, ma anche se ciò dovesse accadere “abbiamo un’infrastruttura tale tra stoccaggi, gasdotti e rigassificatori che ci permettono—con una politica lungimirante—di affrontare l’idea di un inverno senza grandi problemi, nonostante tutto quello che sta succedendo.”  

In un momento così difficile e complesso, serve comunque guardare oltre l’emergenza. Il progressivo abbandono del gas russo, spiega un paper di ECCO, dovrebbe andare in parallelo con il “generale abbandono di questa fonte fossile,” il cui consumo è calato costantemente dal 2005 al 2019.

La grande sfida, insomma, è la transizione dal gas verso un sistema diverso. Negli ultimi anni si sono però persi diversi treni, specialmente per quanto riguarda le rinnovabili: sebbene forniscano oltre il 35 percento della produzione elettrica nazionale, evidenzia Iacoboni, “le nuove installazioni sono ferme da ormai cinque anni.”

Ciò è legato in gran parte alla farraginosità del percorso autorizzativo. “Paradossalmente è più facile aprire una centrale a gas che un parco eolico,” continua, “e questo allontana anche gli investitori.” Anche la Strategia energetica nazionale (risalente al 2017) è poco chiara, perché a parole punta sulle rinnovabili mentre in realtà vorrebbe fare dell’Italia un hub del gas europeo.

In generale, sottolinea Iacoboni, manca proprio una “visione di emancipazione dei combustibili fossili.” E se non si mettono in campo gli interventi necessari per far fronte a questa crisi energetica, conclude, “sarà davvero un’occasione persa, forse l’ultima.”

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