dipendenza da videogiochi
Immagine: Adobe Stock 
videogiochi

Non riesco a smettere di giocare, anche se non mi diverto. Ho una dipendenza da videogiochi?

È notte fonda e stai giocando allo stesso videogioco per la duecentesima sera di fila? Forse hai un problema di ‘completismo’.
Kris van der Voorn
Amsterdam, NL
Djanlissa Pringels
illustrazioni di Djanlissa Pringels

Sono appena passate le tre del mattino e io sto giocando a The Legend of Zelda: Breath of the Wild da ore. È il tipo di gioco che, in genere, apprezzo di più: un mondo enorme e aperto. Ma nonostante abbia accumulato più di 300 ore—o 12 giorni interi della mia vita—di gioco, non riesco ancora a ritenerlo finito e la ragione è una: i Semi Korogu.

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Questi semi sono un tipo di valuta secondaria nel gioco, usata soprattutto per aggiornare il proprio arsenale. Ne esistono 900 in totale da raccogliere e sono sparpagliati per tutto Hyrule, il regno immaginario dove sono ambientate più o meno tutte le iterazioni di Zelda da 35 anni a questa parte. Mi piace cercare semi senza sosta? No. Sono capace di smettere di giocare per chissà quante altre ore, pur di trovarli? No.

Non sono l’unica persona al mondo che gioca in maniera compulsiva a notte fonda. I videogiochi sono un’industria tanto grande da sembrare assurda e con l’aumentare del numero di persone che decidono di spenderci soldi e tempo libero, sta salendo anche il tasso di dipendenza. La dipendenza da videogiochi (o “disturbo da gaming”) è stata riconosciuta formalmente dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2018, per quanto diverse figure esperte ritengano che le basi fattuali per questa definizione non siano ancora sufficienti.

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Sperando di scoprire di più su ciò che rende una persona adulta così disperata da voler raccogliere 900 semi virtuali e rinunciare del tutto al sonno, ho contattato Nastasia Griffioen, dottoranda che si occupa dell’impatto che i videogiochi hanno sul nostro comportamento. Griffioen lavora con il laboratorio GEHM (Games for Emotional and Mental Health) nella città olandese di Eindhoven, dove persone esperte da tutto il mondo studiano il rapporto tra i videogiochi e la salute mentale in infanzia e prima età adulta.

In quanto giocatrice, Griffioen stessa sa cosa significa ignorare la voce della ragione e continuare a giocare per ragioni futili (come i semi). “L’impulso a finire completamente tutte le missioni di un gioco è legato a un concetto psicologico chiamato effetto Zeigarnik,” spiega.

Bluma Zeigarnik era una psicologa lituana vissuta in epoca sovietica e nota per le ricerche condotte negli anni Venti sulla pressione sul nostro cervello che svolgere o lasciare incompiuto un dovere esercita. I suoi studi dimostrano che è più facile ricordarsi di cose che dobbiamo ancora finire, piuttosto che di quelle già concluse. “Gli sviluppatori di giochi usano questo fenomeno, in un certo senso, per tenerci in catene,” spiega Griffioen. “Pensa a tutte le missioni in-game che non possono essere completate in una sessione di gioco sola e che finiscono per ossessionarci.”

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L’effetto Zeigarnik è legato al cosiddetto completismo. “Con questo termine si intendono persone che non vogliono semplicemente finire la storia del gioco, ma che sentono il bisogno di raccogliere ogni possibile oggetto nel gioco, completare tutte le missioni secondarie e scoprire ogni angolo della mappa,” dice Griffioen.

Il completismo è alle volte chiamato anche “trophy hunting” (“caccia ai trofei”), dal termine generico con cui si indicano le varie ricompense che chi gioca può ottenere nel completare missioni e sfide. Esistono siti e forum che offrono a chi “caccia” uno spazio per discutere di strategie, condividere storie e vantarsi delle proprie conquiste.

La fissazione di completare ogni cosa è sfruttata da chi sviluppa giochi per tenere le persone legate a un certo prodotto il più a lungo possibile. È un sistema di ricompense: io sono ancora qui che cerco quei semi di Korogu perché ho letto su un forum che raccoglierli tutti e 900 mi farà vincere un premio. Il premio, a prescindere da cosa sia, mi genera curiosità.

Griffioen ritiene che la teoria del consumo concettuale—già oggetto di studio nel mondo del marketing—possa aiutare a comprendere anche il mondo dei videogiochi. L’idea è che, dato che molti dei nostri bisogni primari come cibo e riparo sono risolti in fretta nel lato privilegiato del mondo moderno, la nostra attenzione si è spostata sul cercare uno sfogo per i nostri bisogno psicologici—e dunque sul consumare concetti. “Più è rara un’esperienza dentro al gioco, meglio ci farà sentire,” dice Griffioen. “Sai che non sono tante le persone che hanno raccolto tutti quei semi, dunque se e quando ci riuscirai tu, vivrai un’esperienza che ti farà sentire speciale.”

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Stando a Griffioen, le persone che giocano tanto si dividono in tre gruppi principali. “Il primo gruppo è composto da casual gamer, come me. Gioco a un gioco finché mi va, poi faccio altro,” spiega. Poi, ci sono le persone completiste, come me. “E, infine, c’è il gruppo composto da speedrunner, cioè persone che vogliono completare un gioco il più in fretta possibile,” prosegue Griffioen. “Per farlo, entrano in uno stato mentale diverso, di flusso, lasciandosi immergere nel gioco al punto da perdere la concezione del tempo.”

Griffioen spiega che questo stato di flusso è l’obiettivo di molte persone e offre benefici per la salute mentale. “I media parlano tanto degli effetti negativi dei videogiochi, ma questo stato di flusso ha effetti positivi dimostrabili nel combattere ansia e depressione,” spiega. “Il nostro cervello spesso pensa troppo e lo stato di flusso aiuta a regolare quegli impulsi.”

So esattamente di cosa parla Griffioen. Certe volte—quando non prende il sopravvento il nervoso—cercare i semi diventa una pratica meditativa. Ma a prescindere, mi chiedo se non ci sia qualcosa di inquietante nel mio modo di giocare—è più facile per chi è completista sviluppare una dipendenza da videogiochi?

“Esistono molte persone che giocano come fai tu. Non corri rischi di dipendenza più della media,” dice Griffioen. “Dovresti, però, essere consapevole di quanta influenza ha il gioco sulla tua vita. È così che riconosciamo un principio di dipendenza. Condiziona negativamente altre parti della tua vita? Parlo anche del sonno, ovviamente.”

Griffioen ritiene che la mia tendenza a giocare anche quando non mi diverto più non sia necessariamente un segno di dipendenza. Anche se ti accorgi che il giocare sta inglobando altre aree della tua vita, hai comunque il potere di cambiare la situazione. “Considererei di giocare meno nel tempo, meno frequentemente, e di ascoltarsi. Non continuare a giocare se ti accorgi che non è divertente farlo e andrà tutto bene.”