Migliori croissant di Milano
Tutte le foto di Roberta Abate per Munchies 
Cibo

Ho fatto un tour delle pasticcerie di Milano per scovare i migliori croissant della città

Tutto in una mattinata: nove indirizzi a Milano dove scovare i croissant più burrosi e più ripieni che possiate mai concepire.
I nostri insani food tour in tutta Italia, alla ricerca del cibo di strada migliore o ricette iconiche senza tempo.

Sono ormai al settimo croissant e, memore delle attività fisiologiche saltate per la sveglia presto, sono tripla cintura marrone di kakaté

Si scrive “croissant”, in Italia lo pronunciamo “cruassàn” ma in realtà si dice cruassòn, più o meno, con la O che diventa un tutt’uno con la N in un processo di nasalizzazione. Cioè, la devi dire col naso, non con la bocca. Allenati davanti lo specchio che poi t’interrogo. 

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Non di rado, poi, croissant e cornetto finiscono per sembrare sinonimi. La parentela c’è ma non sono gemelli. Il croissant, di origini austriache ma acclimatatosi nei ricettari francesi, ha un impasto di latte, burro, farina, lievito, sale e zucchero. Rispetto al nostro cornetto, erroneamente e da più parti chiamato “brioche” (da cui, sia nella forma che nel nome, deriva la broscia siciliana col tuppo: col cornetto non c’entra nulla), gli manca l’uovo e ha meno zucchero. Con meno dolcezza e tolte le uova, nel croissant le frequenze burrose spiccano al palato.

I passaggi chiave per ottenere un buon croissant sono la lunga lievitazione che permette di sviluppare gli aromi – più pregiati saranno farina e burro, più complessità si otterrà – e la laminatura con burro, steso su fogli d’impasto fino a coprirne l’intera superficie, incorporato strato su strato, piega su piega e se la temperatura dell’ambiente non è adeguata il disastro è dietro l’angolo.

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Un croissant ripieno. Foto di Roberta Abate

La sfoglia è fine e si avvita in un vortice di sottili circonvoluzioni. La crosta non deve perdersi in un arcipelago di scaglie una volta addentata, dev’essere croccante ma resistente e non spogliare l’alveolatura interna, che resta umida. È raro trovare un croissant che rispetti certi parametri.

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A Milano bar e pasticcerie che servono cornetti zampillano, come nel resto d’Italia ma voglio vedere quanti croissant a regola d’arte riesco a beccare. Non pretendo di trovare quello parigino perfettamente riprodotto ma qualcosa che gli si avvicini o che lo ricordi. Non il consueto cornetto all’italiana tutto bombato e dagli angoli smussati, ma scalini rigati di strati di sfoglia che hanno giovato del forno ottenendo un incarnato scuro che profuma già alla vista.

Il food tour per scovare i migliori croissant di Milano

La sveglia suona alle 6, un’ora e mezzo prima del solito e, disorientato da questo rude cambiamento della routine giornaliera, il mio corpo decide di uscire da casa senza espletare la consueta evacuazione, alea non da poco quando c’è da mangiare a raffica e star fuori a gironzolare. Con la speranza che il passaggio a livello resti abbassato, sono pronto a incassare ingenti dosi di burro sfidando il primo gelo autunnale.

ZIVA (De Angeli)

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L'autore frastornato alle 7.45 davanti alla prima tappa.

La prima tappa è in zona De Angeli, sono le 7.45 e Ziva ha aperto da quindici minuti. L’insegna nasce due anni fa grazie a Marcello Salvatori, discendente di una famiglia di fornai, in curriculum una militanza nella partita pasticceria di Carlo Cracco con il ruolo di lievitista.

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Il layout della sala richiama da vicino altri noti bar della città: lo standard è quello scandinavo ridotto all’osso misto a un casual leggermente patinato. Torte, tartellette, panettoni in vasocottura fanno bella vista di sé su bancone e scaffali in legno.

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La vetrina di Ziva ancora intonsa

Una goccia di crema pasticcera sgorga immota su una timida coltre di zucchero a velo proprio al centro del mio primo croissant di giornata. Sintatticamente ben fatto, crosta dal bruno seducente e un’alvoelatura ricca ma in bocca non c’è l’opulenza che m’aspetto.

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Manca qualcosa, sento poco burro, c’è poca croccantezza che dovrebbe essere all’apice della sua forza, vista l’ora. Anche la crema ha un sapore troppo timido, blando, scarica di zucchero, priva di sfumature. Non mi sento di dire che sia malvagio, evidentemente da Ziva il croissant è interpretato in questo modo ma personalmente voglio sentire dei sapori che qui non avverto. 

Costo del cornetto alla cream: 1,80 euro

ALAIN LOCATELLI (Solari)

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Il neon che campeggia dentro il locale Alain Locatelli

Non ci metto molto a raggiungere la Boulangeria/Pastisseria (si chiama così) di Alain Locatelli in via Coni Zugna - zona Solari - su cui campeggia un’insegna storica al neon con su scritto Gelateria. Se non sai che sta lì non hai grandi riferimenti per trovarlo. 

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La saletta è stretta e con poche sedute all’interno (ne conto 6), c’è qualche tavolo in più all’esterno. Di base qui il croissant è vuoto, si farcisce sul momento e chiedo la crema di nocciole fatta in loco, inoculata con due colpi di sac à poche. 

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Sul dorso del croissant non c’è zucchero a velo ma qualche striatura di glassa che riflette la luce come la carrozzeria di un’auto appena spacchettata. Mordo e: uh-la-la, direi se fossi un vero parisien. Fragrante fuori, arioso e soffice dentro, non si sfalda in un diluvio di briciole, non si sfoglia mentre proseguo addentando. M’imbratto il baffo il giusto senza che accadano disastri, il burro è ben dosato, la quantità di crema all’interno è perfetta ed è ben bilanciata tra la parte zuccherina e la carezza terrosa delle nocciole. Niente cacao, niente tagli con sostanze strane, la lisergia qui è solo palatale. 

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Costo: 2 euro croissant vuoto, 2,50 euro farcito

CLIVATI (Coni Zugna)

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Clivati è una pasticceria storica di Milano, aperta dal 1969. Sono le 8.40 e la clientela formicola all’interno a caccia della colazione. Mi dirigo all’angolo di cornetti e croissant e chiedo con cosa siano farciti questi ultimi e la signora al banco mi recita il santo rosario dei gusti, chissà quante volte ogni mattina dovrà ripetere sta litania che però devo stoppare perché mi sta elencando le farciture dei cornetti.

No no, voglio sapere cosa c’è nei croissant, non dentro i cornetti. Scelta limitata: o vuoto con crema chantilly al pistacchio. Indico il pistacchio col dito.

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Anche qui sulla superficie non c’è zucchero a velo ma una glassa ancora più accentuata rispetto a quella di Locatelli coperta qua e là da un arcipelaghetto di granella di pistacchio. Visivamente è molto elegante e rispecchia l’atmosfera altolocata della sala e l’allure della clientela. Tutto coerente. Assaggi compreso.

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La sfoglia è aggraziata e ha un colore più dorato rispetto ai due assaggiati prima, perfino il crunch, al morso, suona raffinato. In bocca la sensazione tattile è interessante, nonostante il sapore del pistacchio sia abbastanza diluito, le microscopicissime bollicine d’aria della panna montata, che è la base della chantilly, mi accarezzano la superficie della lingua con finezza. Ma devo confessarvi che la parte più buona di un croissant, per me, resta la punta, laddove gli strati di sfoglia si comprimono e non c’è spazio per un minimo alveolo. Mi godo l’ultimo morso e sento che il livello si sta alzando.

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Costo: 1,60 euro

CUCCHI (Corso Genova)

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Pasticceria Cucchi e i suoi tavolini all'esterno

La storia della Pasticceria Cucchi inizia ancor prima di quella di Clivati, anno 1936, a fondarla sono Luigi Cucchi e sua moglie Vittorina col nome di Cafè Chantant. Resistendo ai decenni e ai mutamenti della zona, prendendo il nome del fondatore e restando in mano alla stessa famiglia da tre generazioni, il locale conserva il fascino di un tempo coi banconi in legno scuro e i lampadari di cristallo in stile candeliere. 

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Il mio croissant viene arpionato con una pinza come un astice estratto all’improvviso da un acquario. La forma è diversa rispetto ai precedenti, con gli angoli che si piegano in dentro formando un paio di corna. Anche la consistenza è diversa, più croccante e meno umido dei tre assaggiati prima ma c’è comunque classe a ogni morso, poche briciole sul tavolo, la crema pasticcera d’un giallo intenso e dalla dolcezza di livello medio, zucchero a velo generoso a far da mantello.

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È molto arioso e a ogni morso elargisce sbuffi burrosi. Che si stesse alzando il livello mi pare di averlo già scritto.

Costo: 1,60 euro

LONGONI (Piazzale Libia)

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Il panificio di Davide Longoni in via Tiraboschi

Sono quasi le 10, più passa il tempo, più per i prossimi assaggi dovrò tenere in conto la fisiologica riduzione della fragranza e la mia tappa successiva è il panificio di Davide Longoni in via Tiraboschi.

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Il croissant visivamente somiglia parecchio a quello di Cucchi, sia nel pantone che nella forma, cicciuto al centro e oblungo e snello alle estremità senza però curvature. Non c’è glassa ma zucchero a velo.

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Al naso spicca l’uovo della crema pasticcera, la crosta emana equilibrio tra note grasse e caramellate e in bocca è raffinata, ha mantenuto un’ottima croccantezza, friabile ma non si smantella a ogni morso.

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La crema è fin qui la migliore del lotto, ricca ma non analfabeta come le cremacce foodporn, dolce senza oltrepassare la soglia, felpa la bocca in modo piacevole. Aleggiano agrumi che ne arricchiscono il bouquet, rinfrescandolo. Roba di una certa caratura.

Costo: 2 euro

PAVÉ (Crocetta)

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Sarei voluto andare nel punto vendita originario, quello di via Casati ma Pavé Break in via Commenda è “di passaggio” così entro con la speranza di trovare il croissant con ripieno al lampone, mangiato diverse volte e che ritengo sia il migliore della casa. Finito. D’altronde che pretendo alle 10.45? Ripiego su ciò che è rimasto, confettura all’albicocca. 

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La sfoglia è consistente ma, data l’ora, ha perso parte della fragranza ma non tutta. Le punte croccano ancora e il tutto vibra di burrosità a ogni affondo.

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La confettura è fatta in loco ed è eccellente, l’acidità spiccata va a braccetto con la parte zuccherina ma il tutto è tenuto a guinzaglio da una lieve eco amara sullo sfondo che non la rende banale. Appena sfornato è ancor più competitivo. 

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Costo: 2 euro

CROSTA (Porta Venezia)

Crosta è un panificio-pizzeria con altri due locali, oltre al primigenio di via Bellotti (uno in via Melzo e il terzo aperto al Mercato Centrale in stazione). Il croissant è quello che, fin qui, si discosta più dagli altri. Nella forma perché è tozzo e panciuto ma con gli angoli aguzzi, il giallo della sfoglia è tenue, solo qua e là striato dal calore del forno.

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Gli interni di Crosta in via Bellotti

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In bocca si sente che la mano qui è di un panificatore e non di un pasticcere, sebbene conservi l’identità-base del croissant, mentre mastico e studio ciò che avviene tra le fauci mi ricorda molto un panino sfogliato (il cosiddetto “scrocchio”). L’impasto è neutro e starebbe bene anche farcito al prosciutto. Nonostante sia uscito dal forno alle 5, pallottoliere alla mano quasi 7 ore fa, la crosta ha mantenuto friabilità, la dose di burro è ridotta.

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Il neo è che c’è pochissima crema, veramente una lacrimuccia che va via con un morso neanche troppo veemente, appunto che notifico a Giovanni Mineo, titolare di Crosta che si siede con noi per scambiare quattro chiacchiere.

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Non ho ancora detto che non sono da solo, con me c’è Roberta che mi accompagna e immortala fotografando ogni tappa questa mia discesa negli inferi del Regno della Sugna. E che mi dice che il mio incarnato sta peggiorando di minuto in minuto.

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Sono ormai al settimo croissant e, memore delle attività fisiologiche saltate per la sveglia presto, sono tripla cintura marrone di kakaté. Se sgomberassi l’hard disk intestinale potrei mangiarne ancora altri 5, garantisco, ma l’ora è ormai tarda e sento che la peristalsi non sta agendo a dovere. Resisto.

Costo: 2,10 euro

PICA (Lima)

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Chiedere un croissant alle 12.15 è da sopravvissuti ai decibel sotto cassa di un rave finito poco fa. Ma il mio sguardo, più che di paste, è in sovraccarico di burro. La pasticceria di Massimo Pica in via Ozanam, a un tiro di schioppo da Piazza Lima, è un posto che conosco perché nella mia precedente vita, quando lavoravo come copywriter e l’ufficio era in zona, andavo spesso a prendere caffè e qualche mignon post-prandiale.

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Richiedo alla banconista il croissant che, visivamente, mi sembra messo meglio tra quelli rimasti sotto la cloche di vetro che chiude l’alzata. Crema pasticcera o di pistacchio sono le opzioni, vado di seconda. Anziché ricevere la crema dall’orifizio con la sac à poche, il croissant si becca un taglio longitudinale tipo panino e viene farcito con un paio di spalmate. 

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Alla base la sfoglia è rimasta inaspettatamente croccante, se la picchietto con l’unghia dell’indice emette il suo suono secco. Sopra si è inevitabilmente ammorbidita. La crema è opulenta ma non ha grazia, la parte zuccherina è tirata all’estremo e mi risulta stucchevole. Non ci sono sfumature ma solo sta botta di dolcezza carichissima che quasi copre il pistacchio, di cui ci sono innumerevoli micropezzettini. Per mio gusto è esagerata e, senza voler essere gratuitamente severo, mi lascia in bocca una brutta sensazione.

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Costo: 1,80 euro

FÒLA (Nolo)

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Arrivo da Fola, gastronomia-pasticceria tutta al femminile aperta da pochissimo in zona Pasteur, che c’è già chi entra per la pausa pranzo. Sono le 12.45, mi sento estromesso dai ritmi normali della gente normale. 

La sala è graziosa, anche qui lo stile è minimale ornato da piante che campeggiano su alcune mensole. Dopo averne ingollati 8 mi sta bene mangiarne uno senza creme e confetture anche perché ho un persistente alone dolce in bocca che inizia a irritarmi. 

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Chiedo una riscaldatina in forno per rinvenire quanto meno aromi e profumi. Che ce ne sono e a spiccare è il burro, lo zucchero è quasi assente, il sapore è neutro. Potrei metterci il ragù dentro e non ravviserei errori sintattici. Mi lascia le dita unte, complice anche il calore che ha ammorbidito i grassi. A livello visivo manca però uno stacco netto tra i vari strati di sfoglia, che è un po’ il marchio di fabbrica del croissant ma mi sembra comunque un prodotto ben fatto. 

Dopo oltre 5 ore e 9 assaggi dichiaro chiusa la caccia al croissant a Milano, che però sarà sicuramente incompleta. Il mio cuore batte ancora e c’è sempre quel problema fisiologico che risolverò una volta tornato nella mia dimora. Prima però mi tocca passare dal tabaccaio per prendere la marca da bollo e caricare in fattura le mie prossime analisi del sangue a Munchies. 

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