Pescare le Moeche è uno dei lavori più duri della Laguna di Venezia
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Cibo

Pescare le Moeche è uno dei lavori più duri della Laguna di Venezia

Sono andata a pesca di Moeche e ho scoperto che per questo lavoro sono essenziali i gatti e la fortuna a tombola.
Diletta Sereni
Milan, IT

La moeca è il granchio in fase di muta, cioè appena perde il carapace. È un processo naturale della crescita: quando il carapace diventa troppo stretto, il granchio se lo sfila.

Il battello per l'isola di Mazzorbo delle cinque del mattino è praticamente deserto, che fa effetto pensando a come sono i battelli durante il giorno: carichi di turisti che sgomitano per fotografare il profilo di Venezia. Ci è voluto un po’ per convincere Emiliano a portarmi con lui a pesca di moeche sin dalle prime fasi del mattino, continuava a dirmi: “vara che xè dura, xè notte, ghe xè umidità” e io a dirgli: tu ci vai tutti i giorni, potrò farcela un giorno pure io.

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La Laguna all'alba

La pesca delle moeche è una pesca stagionale tipica della Laguna di Venezia, che si concentra in due periodi dell’anno: uno primaverile da marzo a maggio e uno autunnale da settembre a novembre.

La moeca è il granchio in fase di muta, cioè appena perde il carapace. È un processo naturale della crescita: quando il carapace diventa troppo stretto, il granchio se lo sfila. Prima che si sviluppi il nuovo carapace, il granchio resta molto tenero per un giorno o poco più e lo puoi mangiare intero. Le moeche sono considerate una vera e propria prelibatezza, per via della brevità di questo stato e quindi anche per quanto è complicato pescarle e riconoscerle in tempo. Morale: al mercato possono arrivare a 40-50 euro al chilo.

Pescatori Moeche foto Diletta Sereni

Emiliano, figlio e nipote di moecanti, ovvero i pescatori specializzati nelle Moeche

Salgo sulla barca di Emiliano che sono le sei, lui sta lavorando da quasi due ore. Emiliano è figlio e nipote di moecanti, che sono i pescatori specializzati nelle moeche. Ha le mani gonfie, la pelle dura e gli occhi chiari sottili. Ha quarant’anni e ha iniziato a pescare che ne aveva sedici: “io la laguna la conosco a memoria come se fosse casa mia, come se fosse il posto dove nascondi i soldi”. E comincia a indicare luoghi dove io vedo solo una indistinta distesa d’acqua: “quella è Donzella, poi Refossa, Forte dei Cavalli, Carbonera, Tessera, San Giuliano, in fondo Forte della Madonna”. Siamo da qualche parte nella Laguna nord, tra Mazzorbo e l’aeroporto Marco Polo.

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Dove ogni pescatore posiziona le reti è deciso per estrazione una volta l’anno: “ad agosto andiamo tutti in cooperativa e tiriamo a sorte con le pedine della tombola”.

Pesca alle moeche pescatori

Prima fase della pesca alle moeche: andiamo a tirare su le reti. O meglio: lui le tira su e io mi rannicchio a prua cercando di dare meno fastidio possibile. Le reti emergono dall’acqua come una barriera a zig zag tenuta su da una fila di pali. A intervalli regolari lungo questa barriera sono attaccate delle grosse reti tubolari (Emiliano scherzando le chiama “salami”) che con le correnti si riempiono di una fauna marina molto varia: granchi, pesci, moltissime alghe. Oppure anche assorbenti, preservativi, siringhe o quello che l’estro umano decide sia opportuno gettare in acqua.

Dove ogni pescatore posiziona le reti è deciso per estrazione una volta l’anno: “ad agosto andiamo tutti in cooperativa e tiriamo a sorte con le pedine della tombola”. Quest’anno a Emiliano è toccata una postazione comoda, molto vicina all’isola di Mazzorbo.

Reti Moeche

Emiliano tira su le reti

Tirare su le reti vuol dire issare questi “salami” con tutto quello che c’è rimasto intrappolato dentro e svuotarli in barca, in modo da selezionare cosa tenere e cosa ributtare in acqua. Ogni rete peserà almeno 30 chili, Emiliano si lamenta per lo sforzo in modo fantasioso e censurato dalla mia presenza, poi mi fa: “a fine stagione go ‘l fisico de un bronzo di riace”. Insomma, le alghe tornano in mare, i pesci piccoli pure, mentre pesci più grossi e crostacei vari si tengono. I granchi vengono separati e raccolti dentro a grossi sacchi di iuta.

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Selezione delle reti

In questa fase vengo a conoscenza di forme di vita che ignoravo e che Emiliano descrive come “frammenti di cose viventi”, come ad esempio le giuggiole, delle palline viscide di mare, o i mossi, in pratica del muco marino vivente. E poi vedo sfilare cose che riesco vagamente e riconoscere: ghiozzi, gamberetti, latterini, sardine, seppie.

L’operazione dura diverse ore, spostandoci lungo lo zig zag della rete, mentre la laguna si illumina a giorno. In lontananza, all’altro capo della rete, c’è la barca dello zio di Emiliano, Marco, i due si dividono lavoro e guadagni. Quando si ritrovano vicini vuol dire che hanno finito.

“Fare” le moeche vuol dire essenzialmente saper riconoscere i granchi prossimi alla muta, selezionarli dalla massa e metterli nei vivai, dove vanno monitorati di continuo ed estratti nel momento in cui perdono la corazza.

Verso le otto la marea cambia. Sei ore sale, sei ore scende: è una delle prime cose che impari quando stai a Venezia, anche se non fai il pescatore. Inizia ora la fase crescente e, mi dice Emiliano, tra qualche ora il livello dell’acqua coprirà quasi del tutto le reti e il lavoro diventerà ancora più faticoso. Ecco spiegata la sveglia alle tre del mattino.

"[I gatti] ci aiutano a tenere lontane le nutrie, che altrimenti farebbero grossi danni alle reti e ai vivai”. In cambio della protezione, i gatti si beccano pesce fresco da mangiare.

Verso i vivai

Con le reti finiamo verso le nove e mezza, a quel punto si rientra verso Mazzorbo, dove ci sono i vivai per fare le moeche.

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gatti e moeche

I gatti che proteggono i vivai delle moeche dalle nutrie

Ad accoglierci, nel silenzio del canale, venti gatti che riconoscono la barca da lontano e si affollano sul molo a guardarci attraccare. “Ci aiutano a tenere lontane le nutrie – mi spiega Emiliano – che altrimenti farebbero grossi danni alle reti e ai vivai”. In cambio della protezione, i gatti si beccano pesce fresco da mangiare.

Il gatto che si beccherà un sacco di pesce fresco

Una volta coi piedi per terra, Emiliano e suo zio iniziano a organizzare il pescato della giornata, ripulirlo dalle alghe, pesarlo, sistemarlo in cassette sotto ghiaccio pronte alla consegna. È la routine del pescatore, però con venti gatti che ti fissano.

In un’ora tutto il pesce è sistemato, le successive tre ore servono invece quasi solo per le moeche. Una proporzione di tempo che riflette la distribuzione del profitto: “col pesce non ti ciapi la giornata, con le moeche sì.”

La cernita delle Moeche

“Fare” le moeche vuol dire essenzialmente saper riconoscere i granchi prossimi alla muta, selezionarli dalla massa e metterli nei vivai, dove vanno monitorati di continuo ed estratti nel momento in cui perdono la corazza. La cernita si fa in barca, su una tavola di legno dove vengono svuotati uno a uno i sacchi di iuta pieni di granchi.

La muta delle Moeche

Appena toccano la superficie i granchi si mettono a correre come se fossero programmati solo per quello. I due pescatori, seduti di fianco alla tavola, ne sfilano alcuni dopo averli guardati un attimo e li raccolgono nei secchi che finiranno nei vivai. Tutti gli altri alla fine della corsa trovano il vuoto e cadono di nuovo in acqua.

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È qui che apprendo la tassonomia fondamentale: ci sono i gransi matti, i gransi boni, gli spiantani. I matti sono quelli lontani dalla fase di muta, che tornano liberi. Emiliano ha una teoria: “i matti i ga sempre raion, e i va in acqua. E xè la verità eh, in tutti i settor, anca in quello umano.” (i matti hanno sempre ragione, e tornano in acqua. Ed è la verità in tutti i settori, anche tra gli uomini.)

Gransi Boni

I gransi boni sono invece quelli vicini alla muta. I moecanti li riconoscono da un segno sul carapace che non rivelerebbero nemmeno sotto tortura, poi certo ognuno avrà la sua tecnica. Emiliano li guarda un secondo, li gira sulla pancia per avere conferma e li lancia nel secchio. “Raramente mi sbaglio” mi fa.

E poi ci sono gli “spiantani” che sono ancora più maturi dei gransi boni e per questo vanno separati perché sennò appena perdono il carapace gli altri granchi se li divorano, da carnivori feroci quali sono.

Spiantani

Oggi, a spanne, c’è un “granso bono” ogni venti matti, ma mi spiega Emiliano è perché la stagione è agli sgoccioli. Il periodo migliore per la pesca delle moeche è a marzo e poi c’è una seconda muta minore più in là a maggio. Insomma un sacco di iuta dietro l’altro Emiliano ributta a mare tutti i matti e raccoglie due secchi pieni a metà di spiantani e gransi boni.

Sono le undici quando ci spostiamo sui vivai (o vieri, in dialetto), delle grosse gabbie di legno, immerse a pelo d’acqua e piene di granchi sul punto di farsi moeche. Ci affianchiamo con la barca a un vivaio, Emiliano lo tira su e lo apre. Poi si sdraia pancia sotto sul bordo della barca e sporge mani e faccia verso i granchi: deve tirare fuori quelli più pronti, cioè gli spiantani, che verosimilmente già in serata potranno essere venduti come moeche.

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Vivai

Resto a guardarli, zio e nipote, testa in giù e mani a mollo, vanno avanti a selezionare per altre due ore, ormai è quasi l’ora di pranzo. “Questa xè la fase più faticosa” mi dice Emiliano “nelle giornate di vento e pioggia l’acqua ti arriva in faccia e allora dopo un po’ che sono fradicio e gelato chiamo mia moglie e le dico: more, tortellini in brodo.”

Il mestiere del moecante sta molto nella capacità di riconoscere i gransi boni in tempo, ma prima e dopo questo gesto quasi artistico, ci sono tante ore di fatica fisica e di ritmi senza pause per non perdere mai d’occhio cosa succede nei vivai. Non mi stupisce allora che Emiliano e Marco desiderino per i figli dei mestieri diversi: “io mio figlio a pesca non ce l’ho mai portato – mi dice Marco –, si lavora 7 su 7, ogni giorno è lunedì e ogni giorno dalle 4 di mattina fino alla sera. Conta le ore, xè un orologio pien!”

Cassetta di Moeche

Passo il viaggio di ritorno verso Venezia fissando il mio sacco di granchi vivi che si agitano e fanno le bolle con la bocca.

Prima di riaccompagnarmi al battello, Emiliano mi mostra il vivaio con le moeche. Stanotte verso le tre saranno già al mercato ittico di Venezia, pronte a distribuirsi tra pescherie e ristoranti. Me ne regala un po’ per assaggiarle e io passo il viaggio di ritorno verso Venezia fissando il mio sacco di granchi vivi che si agitano e fanno le bolle con la bocca.

Per non fare cavolate chiedo consiglio a Matteo Tagliapietra, che è di Burano come i moecanti ed è lo chef del Local di Venezia, un ristorante che fa un gran lavoro di valorizzazione delle materie prime locali e stagionali, presentate però con la creatività di un cuoco che ha fatto gavetta al Noma.

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Fotoper gentile concessione del ristorante Local di Venezia

La risposta è netta: “Fritte. Io le faccio anche crude, o alla brace, ma fritte sono quelle classiche, e forse la loro versione migliore. Altrimenti le fai con l’uovo, cioè sbatti un uovo e lo versi nella ciotola dove stanno le moeche, loro se lo mangiano e poi le friggi.” Questa dell’uovo è una scena crudele ma va a finire che l’amico veneziano che mi ospita a pranzo opta proprio per questa versione. Quindi ricapitolando: sto cucinando animali vivi, che si sono farciti da soli. Posso solo dire che questo non è rappresentativo della mia consueta alimentazione.

Moeche Impanate

Le addento, sono buone, diciamo che si sente la Laguna, nel bene e nel male. Mi piacciono soprattutto le zampe che restano croccanti, il corpo è un po’ spugnoso e davvero vorrei averle provate senza uovo, che tende a sovrastare il sapore.

Moeche fritte

Però come sempre (e per fortuna) dentro al gusto c’è la storia che il cibo è capace di raccontare. E qui ad esempio c’è quella di un mestiere che obbedisce ai tempi della laguna molto più che a quelli dell’umana alternanza lavoro-riposo.

Un mestiere tradizionale, che resiste alla tecnologia e si basa invece sul tramandare in segreto quel segno per distinguere i “gransi boni”. Mestiere che forse tra un paio di generazioni non esisterà più, e i granchi allora saranno solo quelli duri.

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