Un prete si allontana da alcune pire funerarie a Nuova Delhi.
Fotografia di copertina per gentile concessione di Anindito Mukherjee via Getty Images.
Attualità

Le foto che mostrano la catastrofe del COVID in India, raccontate da chi le ha scattate

Abbiamo parlato con i fotografi che stanno facendo vedere al mondo la catastrofe sanitaria e sociale in India, a costi altissimi per la loro salute fisica e mentale.
Daniele Ferriero
traduzione di Daniele Ferriero
Milan, IT

In India la seconda ondata di COVID-19 ha raggiunto picchi a dir poco apocalittici. Lunghe code si snodano davanti agli ospedali nella speranza di trovare un letto disponibile, mentre il personale sanitario comunica di aver esaurito le bombole di ossigeno a disposizione e i medicinali.

I forni crematori sono sommersi di cadaveri e i social media come Twitter vengono ormai usati come una sorta di numero verde. Sono stati segnalati più di 22 milioni di casi e quasi 250mila morti, in quello che ormai è l’epicentro globale della pandemia. In India, ogni cinque minuti una persona muore a causa del COVID-19, ma gli esperti temono che questo dato sia sottostimato.

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Diversi fotografi stanno documentando questo orrore, andando a vedere cosa c’è davvero dietro le statistiche. E sono state proprio queste fotografie così scioccanti a spingere il mondo a prendere atto della situazione in India.

Chiaramente, un simile lavoro richiede un grande sacrificio personale agli autori. Abbiamo quindi parlato con i fotografi che stanno rischiando la loro vita, e la loro salute mentale e fisica, per documentare la crisi indiana del COVID-19.

Bhat Burhan, fotoreporter freelance

Un giovane guarda nel vuoto mentre si appoggia alla barella dove è morto suo fratello maggiore

Un giovane guarda nel vuoto mentre si appoggia alla barella dove è morto suo fratello maggiore. Fotografia di Bhat Burhan

“Il 23 aprile mi trovavo al Guru Teg Bahadur Hospital a Nuova Delhi, quando un giovane uomo mi è corso incontro chiedendomi delle bombole d’ossigeno per suo fratello maggiore. Non c’era niente che potessi fare, quindi gli ho detto di parlare ai dottori o agli infermieri. Il paziente aveva difficoltà a respirare ed era sdraiato su una barella. Pochi minuti dopo ho visto i dottori tentare di rianimarlo e praticargli la respirazione artificiale e un massaggio cardiaco. Era morto, lo sapevamo tutti. Penso di aver pianto un po’, ma mi sono anche sentito stordito dalla situazione.

Non era la prima volta che vedevo morire qualcuno davanti a me, ma questa volta mi ha colpito particolarmente. Ero combattuto all’idea di scattare la foto di quest’uomo morto, ma poi mi sono detto che sono un giornalista e devo fare il mio lavoro.

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Da quel giorno però non sono riuscito granché a dormire. Quando torni a casa dopo essere stato testimone di tutta questa morte e quest’angoscia, cosa puoi fare? Ho tutto il giorno in testa le immagini dei cadaveri, dei forni crematori e delle fosse.”

Money Sharma, fotoreporter AFP

Un corpo solitario nel mezzo delle pire funerarie.

Un corpo solitario nel mezzo delle pire funerarie. Fotografia: Money Sharma/AFP

“Ho visitato la zone di cremazione di Seemapuri a Nuova Delhi il 26 aprile. Era il mio primo incarico dopo essermi io stesso ripreso dal COVID. Ero ancora un po’ debole ma ho deciso di andarci lo stesso, e quello che ho visto mi ha fatto venire i brividi. Per lavoro ho già seguito scene di violenza e bombardamenti, ma non è niente paragonato all’orrore del COVID. L’immagine che mi si è maggiormente piantata in testa è quella delle pile di corpi accatastati uno in cima all’altro.

Diverse persone su Twitter hanno affermato che le immagini degli impianti di cremazione pieni di corpi, e le cremazioni stesse, mancano di rispetto alle loro convinzioni e sentimenti religiosi. Capisco cosa intendano, ma dobbiamo raccontare questa fase così tetra della nostra storia.

Ho avuto diversi esaurimenti da quando ho visitato Seemapuri. Va comunque riconosciuta l’importanza del fotoreporter che documenta tutto questo, soprattutto quando le autorità riportano cifre false.”

Anindito Mukherjee, fotoreporter freelance

Un prete si allontana da alcune pire funerarie a Nuova Delhi.

Un prete si allontana da alcune pire funerarie a Nuova Delhi. Fotografia: Anindito Mukherjee via Getty Images

“La fotografia per me più difficile da realizzare è stata quella scattata al forno crematorio a Delhi, dove il calore delle pire funerarie era insostenibile. Stavo scattando alcune foto alle pire riprese da molto vicino e per un secondo ho pensato che forse avrei potuto ammalarmi. Nessuna cifra o assicurazione sanitaria ora come ora è abbastanza, visto che la città non ha letti per provvedere ai propri pazienti.

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Ho provato a mostrare il dramma in corso attraverso foto che restituiscano la dimensione reale del tasso di mortalità. Ma per me è anche importante non scatenare il panico nelle persone con le mie foto. Temo che molti fotografi ora siano preoccupati più dall’idea di restare a galla, invece della propria salute mentale.”

Suprakash Majumdar, giornalista freelance

Un uomo che sta per dare fuoco alla pira funeraria della madre.

Un uomo che sta per dare fuoco alla pira funeraria della madre. Fotografia: Suprakash Majumdar

“Si è trattata della prima volta in cui ho scattato delle foto per un servizio del genere. È difficile parlare a persone in lutto e visibilmente tramortite dal dolore, negli ospedali o nei luoghi di cremazione.

Prima di parlare con le persone le osservo per almeno una decina di minuti. Stavo scattando fotografie per il mio servizio per VICE World News quando ho incontrato quest’uomo che stava per dare fuoco alla pira funeraria di sua madre.

Stava piangendo, era praticamente inconsolabile. È stato un momento molto difficile da testimoniare, tanto che appena me ne sono andato da lì sono crollato. In più, in quanto giornalista, le persone si aspettano che tu possa aiutarle a trovare qualche letto d’ospedale libero, oppure delle bombole d’ossigeno; ma ovviamente non è possibile. Anche le mie risorse sono limitate.”

Danish Pandit, fotogiornalista freelance

A body lies in a morgue with doctors around

A body lies in a morgue with doctors around. Photo: Danish Pandit

“Sono stato all’AIIMS (All India Institute of Medical Sciences) a Nuova Delhi, e ho fatto un giro nei corridoi per vedere dove tengono le scorte d’ossigeno. Ma per sbaglio sono entrato nel centro traumatologico: sono rimasto giusto cinque minuti ma ho visto almeno venti cadaveri in quello spazio. Un’esperienza terribile e paurosa. Le implicazioni etiche di fotografie simili sono difficili da gestire e comprendere fino in fondo, ora come ora.

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Da una parte, molte persone stanno soffrendo molto e qualche volta capita anche se la prendono contro giornalisti e fotografi, accusandoli di spettacolarizzare questa tragedia. D’altro canto, se non scatti foto simili la gente può arrivare a pensare che sei lì per diffondere un qualche tipo di propaganda governativa, e che non t’importa di chi soffre davvero.

Ti fa mettere in dubbio tutto quello a cui lavori e che pubblichi. Personalmente, visto che sto anche seguendo il Ramadan e digiunando, è stata molto difficile. La mia famiglia, che si trova in Kashmir, è preoccupata per la mia salute e incolumità.

Mi scrivono anche per chiedermi perché condivido immagini simili, ma io sono convinto sia importante diffonderle. Non per fare sensazionalismo, ma perché si tratta della realtà vissuta da tante, tante persone.”

(Con il contributo di Dhvani Solani)

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