Il 12 agosto del 1944, tre reparti delle SS invasero il paese di Sant’Anna di Stazzema, in provincia di Lucca, mentre un quarto sbarrava ogni via di fuga. L’obiettivo dei nazisti era quello di rompere ogni collegamento tra i civili e i partigiani della zona, e per farlo decisero di sterminare la popolazione: l’eccidio costò la vita la vita a oltre cinquecento persone, tra cui più di cento bambini.
Come ha ricordato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella nella commemorazione del 2020, la strage di Sant’Anna “fu una delle più efferate compiute nel nostro paese durante l’occupazione nazista.” Ma non si è trattato dell’unica commessa tra il 1943 e il 1945, come dimostra la banca dati dell’“Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia.”
Inaugurata nel 2016—e realizzata da un gruppo di studiosi sostenuti da Anpi, Istituto per la storia del movimento di liberazione (Insmli) e il governo tedesco—la banca dati ha documentato per la prima volta l’estensione dei massacri nazifascisti: in totale si contano 5.429 episodi di violenza e 23.371 vittime sul suolo italiano.
Nel presentare il progetto, il responsabile Paolo Pezzino ha dichiarato che “questi numeri non ce li aspettavamo; in un recente passato eravamo convinti che il tetto massimo fosse di 15mila decessi.” Per lo storico Bruno Maida, gli eccidi di massa erano stati compiuti per “disinnescare qualsiasi desiderio di opposizione” nella penisola, da Nord a Sud.
Il lavoro dei ricercatori ha infine smontato la credenza comune che attribuisce la responsabilità dei massacri unicamente ai nazisti tedeschi. Se è vero che questi ultimi compirono da soli il 61 percento degli eccidi, i membri della Repubblica Sociale Italiana—lo stato fantoccio nato dopo l’armistizio dell’8 settembre del 1943—fecero spesso da supporto ai tedeschi e agirono in piena autonomia nel 18 percento delle stragi. L’Atlante è consultabile all’indirizzo straginazifasciste.it.
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